Rassegna stampa - Spettacoli
       
      T.E.L.
       
     

Renato Palazzi, Le doppie verità del palcoscenico

Maria Grazia Gregori, Lawrence d'Arabia eroe da palco

Osvaldo Guerrieri, Lawrence d'Arabia quanto sudore per una rivoluzione

Luca Errichiello, T.E.L. e 338171 TEL

Enrico Fiore, L'utopia lacerata di Lawrence d'Arabia

Camilla Tagliabue, Nel deserto del teatrale

Nicola Ruganti, C'è qualcosa che non va, serve un deserto

Alessandro Fogli, Il Lawrence di Fanny & Alexander

Maria Grazia Gregori, T.E.L., teatro a distanza per Fanny & Alexander

Italia Santocchio, T.E.L. e 338171 TEL - Molo San Vincenzo (Napoli)

Daniele Martino, Lawrence è qui e là

Giacomo Trevisan, Teatro sonoro d'assalto: progetto T.E.L. di Fanny & Alexander

Marco Petroni, Cancellare le parentesi

Enrico Pitozzi, Il teatro del suono. La ricerca acustica di Fanny & Alexander

Franco Cordelli, Il pregiudizio (e il suo doppio)

Elisabetta Torselli, Lawrence d'Arabia, il sogno e il dominio

Maria Giovanna Grifi, "T.E.L.", spettacolo ispirato a Lawrence d'Arabia

Nicola Arrigoni, T.E.L.

Roberto Rinaldi, La parola prende vita e si diffonde, il Regno Profondo, Grattati e Vinci, T.E.L., Vie Festival

       
       

    Le doppie verità del palcoscenico
     

Renato Palazzi, Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2011

     

 

     

Come si potrebbe definire T.E.L., la nuova proposta del gruppo Fanny & Alexander creata a cavallo tra due festival, tra due teatri diversi e realizzata con un piede da una parte e uno dall'altra? La definizione tradizionale di spettacolo come qualcosa che viene rappresentato direttamente sotto i nostri occhi gli va troppo stretta o troppo larga, visto che una buona parte di ciò che accade è sottratta alla nostra percezione e ancor più alla nostra consapevolezza del suo effettivo accadere.

Ma allora cos'è T.E.L., questo "studio" iniziale di un progetto che si svilupperà per almeno un paio d'anni? Un esercizio di drammaturgia multipla, dislocata nello spazio e forse anche nel tempo? Un incrocio virtuale tra due ribalte lontane, dove azioni complementari e simmetriche si svolgono davanti a platee specularmente escluse dalla totalità dell'evento? E quindi - domanda non di poco conto - il risultato dell'operazione è la divisione di un intero, o la somma di due metà?

La performance si compone di tre elementi: un tavolo dotato di sensori che lo trasformano in una macchina sonora. Due attori che dialogano a distanza, collegati fra loro via radio. E la figura di Thomas Edward Lawrence, attorno al quale ruoterà l'intero percorso. Lawrence d'Arabia significa l'illusione, l'utopia di poter appartenere a due mondi diversi. Significa la rivolta dei popoli del deserto. E significa il rapporto fra sogno e realtà, che è anche rapporto fra teatro e vita.

Al debutto dell'altra sera, in simultanea fra Napoli e Torino, di qua un'attrice, di là un attore. L'attore veste un frac, ma dipinto in colori mimetici, l'attrice un lungo abito, anch'esso mimetico. A tratti, guidato dalla voce dell'attrice, l'attore compie i gesti dell'addestramento militare: gli ordini che riceve, "alza i pugni", "inspira", rimandano alla protagonista eterodiretta in cuffia di West, il precedente lavoro del gruppo, e un po' anche a The brig del Living Theatre, dove agli interpreti era imposta la stessa disciplina dei marines.

I gesti dell'addestramento alludono al periodo in cui Lawrence, deluso dal fallimento dei suoi ideali, si arruolò come soldato semplice nella RAF. Il passato alla testa dei beduini ribelli è invece evocato dal sofisticato apparato sonoro: toccando il piano del tavolo, ne ricava echi di tamburi, di canti tribali. In altri momenti sentiamo invece le parole dei ministri Sykes e Picot, gli emblemi del potere coloniale, che si accordano a sua insaputa sulla spartizione dei territori arabi.

Questa, a mio avviso, è la chiave dell'esperienza cui assistiamo, una riflessione sulle doppie verità della Storia e del teatro, sull'ambigua verità di quel che viene o non viene mostrato: è il primo caso di uno spettacolo in cui ciò che non si vede - le trame oscure, i segreti - è più importante di ciò che si vede. Alla fine un bambino e una bambina subentrano ai due attori, Chiara Lagani e Marco Cavalcoli, ridando spazio ai desideri, usando i loro tavoli musicali come un gioco. La sera dopo lei arriva al posto di lui, e si ricomincia a parti invertite.

       
       

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  Lawrence d'Arabia eroe da palco
     

Maria Grazia Gregori, L'Unità, 3 luglio 2011

     

 

     

Nel mondo del gruppo ravennate Fanny & Alexander il viaggio dentro la lanterna magica, il buio della camera oscura, l'occhio della cinepresa, intesi non solo come scelta estetica ma anche come progressiva appropriazione di mezzi diversi con cui rappresentare e rappresentarsi, sono sempre stati i punti di partenza, la spinta più decisiva. Da lì e da una commistione anche letteraria che si ritrova in ogni loro lavoro, sono nati spettacoli importanti come il ciclo dedicato alla figura del Mago di Oz: un mondo immaginario che ha bisogno di un processo di avvicinamento alla realtà, che si costruisce per capitoli più che con una sintesi immediata, ma senza mai cadere nella fissità e nella frigidità. A questa scelta non sfugge neppure T.E.L., primo episodio di una nuova saga incentrata sulla figura di Thomas Edward Lawrence più noto come Lawrence d'Arabia e sul suo ruolo nella costruzione di uno stato arabo sostenuto dai ministri Sykes e Picot, voci di una realtà da potenza coloniale più che del sogno di libertà per quei popoli, di cui Lawrence fu strumento forse inconsapevole.

DUE FILONI
T.E.L. si rappresenta diviso in due filoni uno al maschile interpretato da Marco Cavalcoli e uno femminile con Chiara Lagani (autrice e regista dell'affascinante progetto insieme a Luigi de Angelis): così lo spettacolo di Cavalcoli, che ha debuttato al Festival delle Colline Torinesi, trova il suo spiazzante doppio nella contemporanea esibizione della Lagani al Festival di Napoli, per poi alternarsi nel luogo e nello spazio nelle serate successive sui palcoscenici delle due città. Lawrence, in smoking mimetico, si muove di fronte a noi con un'iperattività devastante eseguendo gli ordini secchi di lei, raffigurata in un quadro in abito da sera anch'esso mimetico: una figura elegante e lontana che ci aspettiamo si materializzi al proscenio, dove lui ripete come in una vertigine gesti e richiami, inseguendo una musica dagli echi tribali, ancestrali. Un'evocazione quasi onirica di un passato (il sogno), di cui, nell'universo militare della Raf in cui Lawrence si è poi arruolato come soldato semplice (la realtà), riaffiorano le immagini e i suoni. Un mondo immaginario, teatrale, fra oggetti che appaiono e che spariscono sull'onda di una modulazione sonora rarefatta se non fosse per quel corpo in perenne movimento che sa inventare su di un'ideale scacchiera - un tavolo con sensibilissimi sensori -, una miriade di suoni diversi come in un gioco da bambini. Proprio come quei due che alla fine, inserendosi con i loro semplici giocattoli dentro quel labirinto misterioso di sogni e di realtà, sono la chiusa ingenua e dolce di questo lavoro ancora in divenire che conoscerà altre tappe e che avrà la sua ideale conclusione nel 2013 con uno spettacolo corale.

       
       

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  Lawrence d'Arabia quanto sudore per una rivoluzione
     

Osvaldo Guerrieri, La Stampa, 3 luglio 2011

     

 

     

Per una volta non si comincia né si finisce bene. TEL è la nuovissima creazione di Fanny & Alexander, un progetto articolato nel tempo e imperniato sulla figura di TEL, alias Thomas Edward Lawrence, alias Lawrence d'Arabia, alias il colonnello della British Army, la spia, il guerrigliero, lo scrittore che tentò di sollevare le tribù arabe contro gli Ottomani. Spettacolo biografico? È più verosimile che si tratti di uno studio sulla comunicazione. Non a caso i due poli drammatici si collocano a distanza, uniti fra loro da un ponte radio. L'altra sera, Chiara Lagani si trovava sul Molo Beverello di Napoli e Marco Cavalcoli nel Teatro Astra di Torino. Inauguravano in questo modo il Festival di Napoli e chiudevano quello delle Colline che, a suavolta, passava il testimone al Teatro a Corte in rampa di lancio.

Non è facile immaginare lo sviluppo futuro di TEL. L'attuale tranche di un'ora è occupata per metà dagli ordini espressi dalla voce senza volto cui Cavalcoli obbedisce ciecamente con enorme dispendio di energie: «scrolla la testa, stringi i pugni, scalcia, corri, fianco dest» eccetera. Ci sono poi i rumori che l'attore fa scaturire da un tavolino munito di invisibili sensori e l'enigmatico dialogo tra presente e assente che rinvia a quell'epopea lontana, al deserto, alle città di Aquaba e di Damasco che attendono di essere conquistate. Insomma, evanescenza suprema che rischia di lasciare sul terreno non vittime e sangue, ma soltanto il sudore del povero Cavalcoli.

       
       

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  T.E.L. e 338171 TEL
     

Luca Errichiello, flanerì, www.flaneri.com, 3 luglio 2011

     

 

     

C’è qualcosa di cupo nel bus militare che porta gli spettatori all’estremità del molo San Vincenzo, quella propaggine di terra rocciosa che si colloca sfrontatamente nel bel mezzo del tramonto del golfo di Napoli. E’ forse la luce dei neon, o i sediolini di un marrone che si discosta da qualsiasi moda, se non da quella militare. All’arrivo ci accolgono tende da campo militari e un faro che scruta il cielo in modo ossessivo. È un luogo situato in zona militare, inaccessibile di norma, quello in cui è inscenato T.E.L. e 338171 TEL, ultima creazione della compagnia Fanny & Alexander. Già con il precedente West si era dimostrata la massima attenzione posta sul corpo e l’attitudine a sperimentare il movimento plastico dell’attore, ordinato da una voce esterna. Questo studio trova la sua naturale e ottimale evoluzione proprio nella rappresentazione di personaggi come Lawrence d’Arabia, la cui vita è un intreccio di una volontà di libertà e la coercizione militaresca.

È proprio questo dibattersi dello spirito che si può seguire osservando il soldato che domina la scena. Tra il pubblico e l’attore vi è solo uno scrittoio, ma proprio il tocco amplificato delle dita di Lawrence su di esso sarà la fonte di rumori aspri inizialmente e poi suoni sempre più stilizzati, fino ad assumere i connotati di una trasmissione radio e persino di un bombardamento in atto. Sullo sfondo c’è la storia di un popolo che si ribella, quello arabo, che si agita per non cedere al colonialismo europeo. Ma il fulcro e centro di equilibrio della scena è sempre Lawrence, che interpreta lo scalpitare del suo spirito allontanandosi man mano dagli ordini imposti dalla voce fuori campo. Sempre più i compiti assegnati sono eseguiti in modo fiacco, il sudore si accumula sul colletto rigido della camicia scura, facendo strada all’umanità che si cela anche dietro la facciata di un freddo soldato. Intanto accordi internazionali tra Inghilterra e Francia sanciscono la spartizione del globo, in barba ad ogni velleità di autodeterminazione e alla spinta libertaria di chi non è definito semplicemente dalla casacca che indossa, come Lawrence d’Arabia. È questo controllo subdolo ma violento che condiziona la mente e il corpo di Lawrence, fino a quando egli non riuscirà a dismettere il suo passato da inglese per supportare pienamente la rivolta del popolo arabo.

La rappresentazione segue una sapiente alternanza tra scene statiche, in cui Lawrence interagisce con le voci fuori campo, e fasi in cui il personaggio è preda passiva delle influenze esterne e, come un burattino, diventa vittima di una macabra danza, spasmodica commistione di gesti militareschi. Eppure ogni tensione si allenta nel poetico finale, quando all’uomo di guerra si sostituisce un bambino, che sullo scrittoio muove ingenuo le pedine del conflitto. La compagnia Fanny & Alexander ha l’indubbio merito di riuscire ad interpretare personaggi storici di notevole complessità psicologica, attraverso una tecnica corporea ormai ben elaborata ed efficace. È proprio questa tuttavia, a tratti, a diventare un elemento sin troppo preponderante nella rappresentazione, esaurendo il suo ruolo di simbolo di un animo tormentato. Ad ogni modo il fascino dello spettacolo è accresciuto dall’intuizione di collegare via radio il golfo di Napoli con Torino, dove un analogo spettacolo ha preso luogo. La combinazione di un’ambientazione in area militare, l’uso del collegamento via radio, l’intuizione di riprodurre in scena gli aspri rumori della guerra attraverso pochi strumenti quotidiani, riesce, se non fisicamente, senza dubbio psicologicamente, a calare lo spettatore in una realtà estremamente vicina a quella di Lawrence d’Arabia.

       
       

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  L'utopia lacerata di Lawrence d'Arabia
     

Enrico Fiore, Il Mattino, 6 luglio 2011

     

 

     

«La sapienza si è costruita la sua casa: ha intagliato le sue sette colonne». È il versetto del quarto capitolo dei Proverbi da cui Thomas Edward Lawrence, meglio noto come Lawrence d'Arabia, trasse il titolo del suo capolavoro, appunto «I sette pilastri della saggezza». E sembra proprio che a quello stesso versetto si siano ispirati Luigi de Angelis e Chiara Lagani, autori dello spettacolo - «T.E.L.», giusto l'acronimo di Thomas Edward Lawrence - che la compagnia Fanny & Alexander ha presentato sul molo San Vincenzo nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia.

L'indagine tesa a mettere a fuoco senza fideismi o preconcetti (ecco la sapienza) il complesso e controverso personaggio in questione poggia, se non su sette (è tempo di penuria, mi si passi la battuta), almeno su due pilastri, che sono (ed ecco la casa, ovvero la forma dell'allestimento) la dislocazione e la disarticolazione. Due attori, la stessa Lagani e Marco Cavalcoli, dialogavano via radio stando l'una a Torino e l'altro a Napoli, salvo scambiarsi le postazioni ad ogni replica. E Cavalcoli, appunto nei panni di Lawrence, o restava pressoché immobile dietro un tavolo che sprigionava suoni distorti appena lui lo toccava (la leggenda) o si dava alla più anarchica frenesia della testa, delle braccia e delle gambe (la spinta verso l'utopia confusa con gli ordini dall'alto).

Nemmeno una volta veniva pronunciato il nome di Lawrence. Eppure ce l'avevamo davanti con tutte le sue sfaccettature: archeologo e agente segreto, scrittore e teorico della guerriglia, ufficiale britannico e guida della rivolta araba d'inizio Novecento. E non era un caso, dunque, che gli fosse stato attribuito, come costume, un tight fatto di tessuto mimetico. L'«alto» e il «basso», se vogliamo riassumere: gl'ideali coltivati strenuamente da Lawrence e, per contro, le manipolazioni interessate di quelli da parte dei governi o i sotterfugi che lui stesso dovette adottare per difenderli.

Insomma, Fanny & Alexander ha dato l'ennesima prova della sua capacità di spingere il teatro verso territori nuovi e, soprattutto, verso frontiere concettuali estreme. È stato un bene che il Napoli Teatro Festival Italia le abbia affidato il compito di tenere alta la bandiera della sperimentazione. E stava lì a dimostrarlo l'ultima sequenza di «T.E.L.», che accoppiava la tenerezza con la denuncia.

Ci si presentava un Lawrence bambino, interpretato con tranquilla sicurezza da Leone Curti, figlio del produttore Angelo. Giocava con modellini sul tavolo di cui sopra. Ed era l'innocenza, certo, ma somigliava pure al gioco delle tre carte praticato dalle grandi potenze.

       
       

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  Nel deserto del teatrale
     

Camilla Tagliabue, Attente Disattenzioni, www.fenjus.blogspot.com, 8 luglio 2011

     

 

     

«T.E.L. è un dispositivo per comunicazioni utopiche», così presentano il loro ultimo lavoro i Fanny & Alexander, tra i più pensosi artisti della scena teatrale italiana. Lo studio fa parte di un progetto triennale sulla figura, e le opere, di Thomas Edward Lawrence, il leggendario capo della rivolta araba a inizio Novecento, meglio conosciuto come Lawrence d’Arabia. Dalla dichiarazione di intenti è chiaro, però, quanto il contenuto sia secondario, se pur attuale e perspicuo, rispetto alla forma. Forzare i limiti del linguaggio teatrale: con piglio filosofico, questo sembra l’obiettivo di T.E.L. che, raddoppiando il qui e ora della rappresentazione, è in scena contemporaneamente su palchi diversi, in luoghi distanti. Il debutto ha coinvolto il Molo San Vincenzo di Napoli e il Teatro Astra di Torino, in occasione dei rispettivi Festival. Inoltre, sempre nello stesso lasso di tempo, ma con vita autonoma, va in onda il radiodramma 338171, TEL., condotto da Rodolfo Sacchettini, che estrapola frammenti sonori della doppia recita e li restituisce agli ascoltatori di Radio3 dopo accurato rimpasto. Intanto gli spettatori assistono alle performance di Chiara Lagani e Marco Cavalcoli, che in abiti mimetici eseguono, diretti da misteriose voci fuoriscena, una danza schizofrenica, ripetitiva, parossistica (Terzo Teatro?), e suonano un tavolo «preparato» come fosse uno strumento musicale: il tavolo è «il deserto», spiega il regista Luigi de Angelis, e i suoni da esso generati una «bruma radiofonica», un’eco beduina. Ottimo è il tentativo di sabotare linguaggio e convenzioni, di abbozzare un’utopia moltiplicando i mondi visibili e non: il “teatro e il suo doppio” è un’apertura sull’altrove... Ma se non si sapesse dell’esistenza del doppio (o triplo)? Se non ci fossero il programma di sala o il “presentatore” o il comunicato stampa che spiegano tutta l’operazione?... Per decodificare T.E.L. occorrono una nota a fondo pagina, una legenda, un metalinguaggio: qui il linguaggio «fa vacanza», e così sorgono i «problemi filosofici». Allora «i critici e il pubblico si lamentano: “È andato perduto tutto ciò che noi abbiamo amato. Siamo in un deserto... E cercano parole “schiaccianti” per allontanare il simbolo del deserto e per ritrovare sul “quadrato morto” la preferita immagine della “realtà”, “l’oggettività reale” e la “sensibilità morale”». Ma questo succedeva nel 1913; Malevic aveva appena esposto Quadrato nero su fondo bianco.

       
       

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  C'è qualcosa che non va, serve un deserto
     

Nicola Ruganti, Nero su Bianco, 10 luglio 2011

     

 

     

Al “Supercinema” di Santarcangelo è stato presentato 338171, TEL, un radiodramma che porta dritti dentro a un gioco con accesso a entrata doppia: il dialogo in diretta da due campi separati – l’Almagià ex artificerie dello zolfo di Ravenna e l’Unicem ex cementificio di Santarcangelo – e la narrazione della sfida di Inghilterra e Francia contro Turchia e Germania per la conquista di Damasco.
Rodolfo Sacchettini, la voce del racconto radiofonico, sciorina le regole precise per poter partecipare e rendere possibile un contatto tra l’ascoltatore e gli spettacoli: i due T.E.L. che stanno andando in scena contemporaneamente sui due campi da gioco.
Il radiodramma mette in chiaro alcuni aspetti: c’è necessità di regole precise altrimenti il gioco entra nel caos più totale, se gli elementi del gioco sono al massimo si scatenerà l’inferno. Dunque le aspettative sono alte e l’invito è consapevolmente concitato ad avvicinarsi ai terreni di gioco oppure ad ascoltare, non si percepisce un pericolo reale, ma il tentativo di restituire a chi ascolta la dimensione magnetica degli avvenimenti.
Il britannico Thomas Edward Lawrence, tenente colonnello della Royal Air Force, è la figura ispiratrice di tutto il lavoro dei Fanny & Alexander, ma il perimetro della sfida ha un orizzonte più ampio che riguarda una tessitura musicale fatta di cori rimescolati di matrice araba e i suoni di uno strumento, un tavolo di ciliegio. Con possibilità tridimensionali l’accarezzamento “cartesiano” amplificato rende ipnotico lo sfregamento, mentre la possibilità di accogliere i colpi è data dalla disponibilità del tappeto a sostenere lo spaesamento dell’attore che percuote il tavolo secondo l’asse della profondità. Il compito del radiodramma risulta essere quello della sana persuasione, attraverso un rapporto vincolante con la cronaca della rappresentazione, per arrivare al punto in cui il racconto non basta più ed è necessario precipitarsi nelle zone del gioco.
Il gioco a cui si assiste è T.E.L.: in scena le suggestioni del radiodramma lasciano spazio al corpo dell’attore, a un incedere guidato dalla compresenza di pulsioni opposte, quelle di una voce che guida, che comanda e quelle di una sopravvivenza legata all’andare avanti nonostante tutto in modo cieco e folle.
Ci preme sottolineare che lo sfinimento che si palesa sulla scena non è solo una meccanica fisica, ma la materializzazione di un feroce punto di domanda: “Ci sei? Non ho ancora capito se sei un ribelle o soltanto un deficiente”. Per porre una domanda sulla presenza a se stessi e non essere pretenziosi è necessario che ogni muscolo della scena sia ordinato al sacrificio quotidiano della sfida con il potere. La reazione e la contaminazione con il comando è nella geometria delle luci, nelle scosse elettriche del tavolo costruito da “Tempo Reale”, nello sguardo gravemente scosso di Marco Cavalcoli, nella luce inquietante degli occhi di Chiara Lagani. Nella drammaturgia soppesata trova spazio un nome: Termine Eternamente Lontano, che spiega che il deserto sarà raggiunto dalle telecomunicazioni, uno spazio residuale in cui continuare a chiedersi il significato della parola fallimento e della parola utopia.
Fanny & Alexander raccoglie la sfida, testimonia le impasse quotidiane personali e collettive: “C’è qualcosa che non va, serve un deserto” e con estenuata disperazione, stabilisce le regole per il tragitto, porta lo spettatore nel deserto creando una preziosa e unica occasione per far pensare.

       
       

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  A Santarcangelo, l'attore
     

Massimo Marino, Controscene, www.controscene.corrieredibologna.corriere.it, 11 luglio 2011

     

 

     

(...)

L'attore e il suo doppio

Così Fanny & Alexander interpreta il tema dell’attore con un lavoro sdoppiato, in contemporanea e in sincronia tra Ravenna e Santarcangelo, su Lawrence d’Arabia, in collaborazione con Tempo Reale di Firenze. In T.E.L., primo atto di una saga su Lawrence d’Arabia, l’attore e qui è altrove, come l’uomo occidentale, tra le sue tradizioni e il sogno (nostalgico o propulsivo) di un altrove. A Santarcangelo,a sere alterne, Marco Cavalcoli e Chiara Lagani si spendono fisicamente iterando un faticosa partitura fisica che li trasforma in guerrieri, agiti da ordini (un po’ ripetendo la formula del fortunato West), producendo suoni che da sfregamenti di mani, passaggi di dita su un piano preparato acusticamente, si trasformano in onde o sciabordare di mari e oceani, in scoppi, spari, esplosioni. Tutto è insistito, ripetuto, con una storia ancor balbettata, con l’indecisione se trasformarla in narrazione o confonderla, spezzarla, smontarla. Echeggiano canti esotici, fascini beduini, idee di tradimenti e fondazione di altre patrie: ancora la doppiezza dell’attore, sospeso tra menzogna e invenzione, tra memoria e possibilità, tra realtà e impossibile. L’attore diventa metafora, e in questo modo perde spessori, si sgonfia, si trasborda in emblema, in simulacro di un dover essere che si guarda, mette in scena il suo stesso discutersi, dubitarsi, e così si assolve, si spiega, si nega.

       
       

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  Il Lawrence di Fanny & Alexander
     

Alessandro Fogli, Il Corriere di Ravenna, 12 luglio 2011

     

 

     

Un’attrice che interpreta un personaggio storico che era a sua volta una sorta di attore che interpretava vari ruoli; un’attrice che interpreta un’attrice che interpreta il parossismo dell’attorialità – l’eseguire in scena tutti gli stati d’animo, i sentimenti, le espressioni, i movimenti richiesti da una stesura drammaturgica –; un’attrice che sprofonda nel gorgo da lei stessa innescato nel tradurre in scena il labile, beffardo, pericoloso velo che separa se stessa dall’incarnazione del messaggio a noi, il pubblico, diretto tramite un medium – quello del linguaggio teatrale – che si pone come momento unico, isolato, destinato in qualche modo a smarrirsi nell'attimo del suo contatto con il referente. Un’attrice che fa tutto ciò contemporaneamente.

“T.E.L.”, il nuovo lavoro di Fanny & Alexander, offre una visione radicale e selvaggia, sonda terreni misteriosi, frutto della ricerca ossessiva che da anni la compagnia sta conducendo sull’idea di comunicazione utopica, intesa come «possibile e impossibile apostrofe poetica e politica a un pubblico comunità». E dopo Nabokov e il Mago di Oz, questa volta è Thomas Edward Lawrence a ispirare le mosse del gruppo diretto da Luigi de Angelis, ossia Lawrence d’Arabia, eroe ambiguo, giocatore e pedina allo stesso tempo, doppiogiochista suo malgrado, traditore quasi per forza, potente narratore ma scaltro militare. Il tutto nel luogo sfuggente per antonomasia, il deserto. In scena, all’Almagià, Chiara Lagani è il tramite folle e ipercinetico di tutti gli stimoli comunicativi che, semplicemente, scaturiscono da voci nascoste (fuori e dentro di lei), è il terminale in tilt di un’evoluzione scenica fatta di due, tre, dieci, enne livelli narrativi che si stratificano, collidono, si fondono, riemergono mutati dal tavolo sonoro a centro scena. Da un’altra parte intanto, in un altro luogo fisico (in questo caso il Festival di Santarcangelo), sta avvenendo forse la stessa cosa – lì con Marco Cavalcoli –; nascono frammenti di dialogo a distanza, i due attori si sfiorano nell’etere, la comunicazione sembra lineare, ma sono momenti brevi, l’attrice-militare-marionetta non riesce a reggerli più di tanto. La sua esogena possessione fisica è ormai irreversibile, probabilmente lo è sempre stata; probabilmente si tratta di fede. O, come suggerisce il delicato finale, di natura. T.E.L. fa a pezzi ogni forma di comunicazione drammaturgica, o, piuttosto, la riforma a partire dalla sua unità minima, il simbolo.

Il simbolo è un’entità bisognosa di senso, quando è preso come semplice parte di un codice espressivo, ma qui raccoglie in sé ogni potenzialità futura di linguaggio: ha in sé qualcosa della potenza primordiale; qualcosa che aggrega visibile e invisibile.

       
       

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  T.E.L., teatro a distanza per Fanny & Alexander
     

Maria Grazia Gregori, myword.it, luglio 2011

     

 

     

Il nuovo progetto teatrale della compagnia ravennate si confronta con un personaggio metà uomo e metà mito come Lawrence d’Arabia. Il suo sogno di unificare i popoli arabi in un unico stato viene sezionato in due distinti filoni, messi in scena in luoghi diversi da Marco Cavalcoli e Chiara Lagani, seguendo un processo concettuale destinato a concludersi solo nel 2013

Del tutto in sintonia con il nome che si sono scelti – in omaggio all’omonimo film di Ingmar Bergman – Fanny & Alexander, uno dei gruppi leader del teatro di ricerca italiano, hanno privilegiato nel loro percorso i rapporti fra sogno e realtà, fra mito e vita, sviluppati anche grazie a una profonda esigenza di confrontarsi con una letteratura che - fantastica o realistica che fosse - riuscisse a trasformarsi in teatro. Coniugando così, nello stesso tempo, la tensione verso la scena alla dimensione onirica di un ficcante occhio cinematografico, aprendosi non tanto alla realtà quanto alla dimensione di un realtà parallela attraverso la quale rappresentare e rappresentarsi dentro un mondo immaginario che si costruisce a tappe più che con una sintesi immediata.

Il loro nuovo spettacolo T.E.L. in scena contemporaneamente in due luoghi diversi come Torino e Napoli con interpreti che si alternano (ma può essere rappresentato anche in sequenza nello stesso luogo), rientra in questo tipo di scelte. È, infatti, il primo episodio di una nuova saga che ha per protagonista l’inglese Thomas Edward Lawrence (le cui iniziali danno il titolo a questo spettacolo) più noto come Lawrence d’Arabia, discusso e sostanzialmente misterioso personaggio, e sul suo ruolo nella costruzione di uno stato arabo caldeggiato secondo criteri di politica coloniale dai ministri Sykes e Picot, che cozzavano con il sogno di libertà per quei popoli nutrito da Lawrence, del tutto lontano da ragioni di Realpolitik.

T.E.L. si rappresenta diviso in due filoni, uno al maschile interpretato da Marco Cavalcoli e uno femminile con Chiara Lagani (che firma anche il progetto con Luigi de Angelis): così lo spettacolo di Cavalcoli, che ha debuttato al Festival delle Colline Torinesi, trova il suo spiazzante doppio nella contemporanea esibizione della Lagani al Festival di Napoli, per poi alternarsi nel luogo e nello spazio nelle serate successive sui palcoscenici delle due città.

Destinato a concludersi nel 2013 con uno spettacolo corale, T.E.L. (è stato prodotto anche un radiodramma, 338171 (il numero di matricola di Lawrence quando si arruolò volontario nella RAF), vede dunque in scena, nello spazio delimitato da due file di sedie su cui siedono alcuni spettatori, Lawrence-Cavalcoli stretto nel suo smoking realizzato in tessuto mimetico, che si muove di fronte a noi con un’iperattività che ci toglie il respiro, eseguendo gli ordini secchi di una donna che non c’è, raffigurata in un quadro in abito da sera anch’esso mimetico: una figura elegante e lontana che ci aspettiamo si materializzi al proscenio, dove lui ripete come in una vertigine gesti e richiami, inseguendo una musica dagli echi tribali, ancestrali.

Un’evocazione quasi onirica, mitica di un passato (il sogno), di cui, nell’universo militare della RAF in cui Lawrence si è poi arruolato come soldato semplice (la realtà), riaffiorano le immagini e i suoni. Un mondo segnato dalla provvisorietà, immaginario, fra oggetti che appaiono e che spariscono sull’onda di una modulazione sonora estremamente concettuale se non fosse per il corpo dell’attore in perenne movimento che sa inventare e dilatare su di un’ideale scacchiera - un tavolo con sensibilissimi sensori -, una miriade di suoni diversi in grado di inventare un mondo. Come fanno i due bambini che appaiono alla fine con i loro giocattoli, entrando dentro quel labirinto misterioso di sogni e di realtà, con commovente ingenuità e fiduciosa speranza.

       
       

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  T.E.L. e 338171 TEL - Molo San Vincenzo (Napoli)
     

Italia Santocchio, Saltinaria.it, 14 luglio 2011

     

 

     

In uno dei posti più belli e suggestivi di Napoli, la compagnia Fanny e Alexander ci propone il suo nuovo progetto sulla figura storica di Lawrence d’Arabia, per entrare in ciò che fu, ma soprattutto ciò che non riuscì ad essere, conducendoci nelle sue mille ombre dai mille volti ai quali egli stesso diede un nome. Tutto questo tramite un’innovativa sperimentazione narrativa che abbraccia il lavoro di scena ma soprattutto arriva via etere.

T.E.L. e 338171, TEL

È con un numero, 338171 TEL, che la compagnia Fanny & Alexander, volta costantemente alla ricerca e alla sperimentazione nell’ambito del teatro italiano, porta in prima assoluta a Napoli il suo nuovo spettacolo, inaugurando così questo suo nuovo progetto che ha come protagonista Lawrence d’Arabia.

“338171 TEL” è proprio uno dei numerosi alias di questo personaggio: il numero indica la matricola che gli fu assegnata al suo incontro con la Royal Air Force, mentre TEL indica il suo acronimo. Quindi alias tra altri molteplici che accompagnarono il mitico generale, quello che fu uno dei più significativi capi della rivolta araba di inizio Novecento, non solo uomo militare ma soprattutto scrittore de “I sette pilastri della saggezza”, in cui egli stesso raccolse le emozioni e le avventure della sua vita. Innanzitutto lo spettacolo abbraccia livelli di comunicazioni differenti: due attori situati in due luoghi diversi, Chiara Lagani presso il Molo San Vincenzo di Napoli e Marco Cavalcoli presso il Teatro Astra di Torino, così lontani nello spazio ma in collegamento continuo tra loro via internet satellitare, danno vita a un dialogo a distanza. Ma c’è una terza ulteriore dimensione, ovvero quella dello spettacolo come Radiodramma ed ecco quindi che lo spettacolo è trasmesso tramite radio e si diffonde ovunque, anche con l’ausilio di un cronista che intercettando e interpretando gli eventi acustici dello spettacolo li rende poi accessibili per frammenti al pubblico in solo ascolto. Per quanto riguarda la dimensione del pubblico partecipante a Napoli, gli spettatori vengono condotti all’inizio del Molo trasportati su un autobus militare, il che crea subito la premessa a quello che sarà lo spettacolo, ovvero entrare nella vita di un uomo di guerra, vivere le sue gioie e i suoi dolori. Sentire e toccare tramite suoni, che echeggiano in modo violento ma anche altrettanto dolce la durezza della guerra, il calore del deserto, la solitudine della necessità del silenzio. Tutto questo “raccontare” senza perdere mai la bravura della ricerca e del lavoro sul corpo sulla scena. A darci la seconda dimensione, quella dell’altro palco; un comando dall’alto, dall’esterno, che consente movimenti attuali e che entra in sintonia con la dimensione presente. A fare da legante un tavolo al centro della scena usato come strumento di suono, al suo tatto ecco che si possono ricavare i momenti di guerra, le sensazioni, le ripercussioni delle avventure su un animo perfettamente umano che si contrappone ad una volontà interiore che va oltre, che si ostina a cercare di arrivare più lontano, più in alto, rispetto ad ogni cosa e a qualunque costo, ma che incontra il limite in se stesso, perché è solo un uomo, non leggenda o mito, se non a definizione posteriore.

Un progetto sicuramente che va elaborato e portato avanti con fatica, ma per nostra fortuna con lo spessore degli ineguagliabili artisti di una compagnia instancabile nella ricerca e nella sperimentazione, del corpo, della voce, ora anche del modo di vivere il teatro, cercando di raggiungere quante più persone possibili, in modo che il teatro esca fuori dal luogo “teatro” e si realizzi nella sua vera forma di semplice “arte”, disponibile ovunque e a chiunque. Ecco quindi trovata una chiave importante, soprattutto per il teatro italiano, ma anche per quello internazionale.

       
       

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  Lawrence è qui e là
     

Daniele Martino, Doppiozero, www.doppiozero.com, 27 luglio 2011

     

 

     

Lei è qui. Indubbiamente. Non si muove. Si muove poco. Anzi, si muove un poco. C’è una voce, una radio: lui le dà comandi subliminali. La ossessiona proprio, la burattina: a destra, a sinistra, mano in alto, testa di qua, testa di là. Lei, la drammaturga e attrice Chiara Lagani, ha un bellissimo vestito: come di un festa ottocentesca: la stoffa è mimetica: sì, effettivamente, c’è qualcosa di militare in questo Laura Graziani Alta Moda. Lei è a Torino, lui, l’attore Marco Cavalcoli, è a Napoli; in simultanea satellitare, stanno recitando insieme in due luoghi diversi. Spaesati, siamo tutti spaesati. Si allude, si echeggia, di un uomo che diventa mito. Un ufficiale dell’esercito inglese che diviene il trascinatore della liberazione araba dall’Impero Ottomano, durante la Prima Guerra Mondiale. Lawrence prende Aqaba dal deserto, e arriva a Damasco.

T.E.L. è il nuovo progetto di Fanny & Alexander: visto in luglio a Torino (Festival delle Colline), Napoli Teatro Festival, Ravenna Festival e Santarcangelo. Sentito a Rai Radio3. Un nuovo progetto in capitoli, e frammenti. Attrici che si muovono a marionetta sadica, come già nel Progetto OZ: segni sul corpo dell’attrice. Il sadismo del regista maschio (Luigi de Angelis, l’Alexander di Lagani-Fanny) sul corpo di una azione femmina. T.E.L. (le iniziali anagrafiche di Lawrence d’Arabia) andrà avanti: 2012, 2013… è il Progetto Lawrence.

Lei, quando l’ha finita di fare la bambola meccanica, va sul tavolino nudo: lo tocca, lo graffia, lo picchia, e accadono cose sonore che l’Istituto Tempo Reale di Firenze (Damiano Meacci e Francesco Casciaro) provoca imbottendo il tavolino, sotto, di sistemi interattivi… Nel buio c’è la musica massiva di Mirto Balani. Forse è un incubo perché, nei suoi libri, il guru Thomas Edward Lawrence racconta l’inebetirsi delle reclute-marionette nell’addestramento militare, lo spaesamento allucinato che ti prende quando sei nel deserto e non senti più che il silenzio del nulla e una stanchezza strana. de Angelis & Lagani lo scrivono chiaro: «Ogni rumore, animale, vento, sparo, voce, gola, lingua nota e ignota vi dirà che altrove, certo non dove voi sostavate, qualche cosa sta accadendo, in maniera nient’affatto discontinua, con apparente ritmica scansione».
Sogno, smarrimento, utopia, solitudine, successo, vergogna e sacrificio del corpo, fascino della cultura altra, guerriglia, rivolta: ecco i tag di T.E.L.

       
       

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  Teatro sonoro d'assalto: progetto T.E.L. di Fanny & Alexander
     

Giacomo Trevisan, MusicaElettronica.it, 29 luglio 2011

     

 

     

Andati in scena in prima assoluta fra Napoli e Torino e replicati poi fra Ravenna e Santarcangelo di Romagna (Rimini), T.E.L. e il radiodramma 338171, TEL inaugurano il nuovo progetto triennale (2011/2013) di Fanny & Alexander in collaborazione con il centro Tempo Reale, per la drammaturgia di Chiara Lagani e regia, spazio scenico e luci di Luigi de Angelis. Sviluppati a partire da una riflessione sulle opere e sulla figura storica di Lawrence d’Arabia (al secolo Thomas Edward Lawrence), si tratta di due progetti paralleli, prime tappe del percorso. Come già accaduto per il ciclo ispirato ad Oz, un progetto ambizioso e in cui si accumulano sin da subito suggestioni, piani di interpretazione e riflessioni a cavallo fra reale e teatrale.

Un progetto ambizioso che, è bene dirlo da subito, in molti passaggi mina la possibilità stessa della comprensione e dell’interpretazione da parte del pubblico se lasciato privo di un supporto esplicativo o un apparato critico. Sembra più semplice chiudere gli occhi e abbandonare il proprio orecchio alle evocazioni della parte sonora progettata da Mirto Baliani: grida e ritmi rituali compongono il crescendo di una tensione drammatica in cui c’è un conflitto che vorrebbe esplodere. Ecco, riaprendo gli occhi, possiamo tentare di interpretare ciò che vediamo: un rito, un confronto con il proprio sé, una preparazione atletico/psichica del performer alla prova con se stesso. Chiara Lagani e Marco Cavalcoli, lottatori in mimetica, riscaldano i muscoli lontani nello spazio e forse nel tempo, sottoposti alla stessa routine di azioni stereotipate (protesta, scalcia, scalda le mani, scalda i pugni…), ripercorrendo tutto quello che Lawrence d’Arabia fu: archeologo, agente segreto, ufficiale britannico, scrittore, uno dei capi della rivolta araba di inizio Novecento e stratega della guerriglia. Frammenti di storia (reale o ipotetica?) sospirano alle orecchie del pubblico: qualcosa si prepara, qualcosa di grosso, capovolgimenti politici, deflagrazioni.

Ma se sul piano drammaturgico e sonoro non manca una risoluzione (fallimentare) al conflitto che vediamo crescere, durante il percorso in questo deserto sonoro (in cui più di qualcuno ha smarrito la via), simboleggiato dal tavolo sensibile con il quale i due performer si interfacciano in scena, una soluzione equivalente sul piano dell’azione/visione non ci è concessa. L’apparizione salvifica di un bambino che restituisce in un sol colpo la loro dimensione ludica alla guerra e al teatro lascia, dopo tante sollecitazioni, un senso di insoddisfazione in fondo al cervello.

E’ su un piano di costante e duplice confronto che si regge l’arco della creazione: due luoghi, due spazi sonori, due interpreti, due pubblici generano infinite realtà, nelle quali come in un gioco di specchi si materializzano personalità, scelte e approcci ad una verità che appare irraggiungibile. La stessa verità che è difficile rintracciare nel percorso di Lawrence e che avrebbe finito col segnare d’insoddisfazione quanto da lui fatto nella prima parte della sua vita. Solo a frammenti sembra riaffiorare la parabola di Thomas Edward Lawrence, evanescente e idealista, come il teatro Fanny & Alexander. Il conflitto insoluto è guerriglia costante con lo spettatore.

Quello che appare in costante dissolvenza nello spettacolo dal vivo, acquista invece una forma, seppur anch’essa della breve durata dell’ascolto, nel radiodramma che fa da progetto parallelo a T.E.L, andato in diretta su RaiRadio3 venerdì 1 luglio e su Radio San Marino sabato 9 luglio. 338171, TEL è un impasto di frammenti dello spettacolo catturati dal vivo, interviste, commenti e spiegazioni all’azione, entusiasmante come una puntata di 90° minuto che racconti una partita a Risiko giocata – però – con un cubo di Rubik al posto dei classici carroarmatini. E’ in questa versione, priva di referenti contingenti come il luogo, i corpi, ma distillata in puro (e informato) ascolto, che i molteplici piani di questo doppio progetto riescono, a mio parere, davvero ad impressionare.
Il ruolo strategico di questa versione radiofonica è quello del radiocronista (Rodolfo Sacchettini): strategico perché punto d’intersezione fra il piano cronachistico, quello formale delle regole del gioco-radio/teatro-conflitto e quello ludico (proprio del teatro e del conflitto – chiave della riflessione sulla figura dell’attore-giocatore/spettatore-giocatore); tanto da risultarne annullato, essendo egli stesso “nel” gioco. E’ nel radiocronista stesso che i tre piani si metamorfizzano costantemente. Di più: tutto, nell’assieme, non rimane più solo se stesso ma tanto meno permette di parlare di unione dei vari piani.

In questo assalto teatrale sonoro, Fanny & Alexander assieme a Sacchettini, creano un piano di gioco/conflitto trascendente nel quale spazia la libera fantasia psichica dello spettatore. Che cos’è – ammesso che sia descrivibile – questo piano? Lo strumento radiofonico è interrogazione diretta dello spettatore e qui sta la sua forza, che in questo radiodramma gli autori hanno saputo rilanciare. Lo spettatore all’ascolto è campo di gioco, giocatore, arbitro e regola/assenza di regola. Possiamo allora parlare ancora di spettatore? O dovremmo dire Uomo?

Lawrence è solo una scusa, uno spunto per parlare di una condizione universale: “l’ostinazione e la fede a un’ideale dell’ufficiale (e il suo fallimento) e l’ostinazione utopica del teatro nella società di oggi” in grado di toccare chiunque sia disposto a farsi assalire.

       
       

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Marco Petroni, Abitare, www.abitare.it, luglio 2011

     

 

     

Archeologo, agente segreto, ufficiale britannico, scrittore, Lawrence d’Arabia fu soprattutto uno dei capi della rivolta araba di inizio Novecento e stratega della guerriglia. T.E.L. è l’acronimo di Thomas Edward Lawrence. T.E.L. anche è un dispositivo per comunicazioni utopiche. Due attori, collocati in due luoghi diversi (uno al Molo San Vincenzo di Napoli e uno al Teatro Astra di Torino), lontani nello spazio, forse anche nel tempo, ma in collegamento continuo tra loro via internet, danno vita a un dialogo a distanza. Due pubblici differenti sono testimoni simultanei del loro possibile- impossibile confronto. Un interessante “esperimento” teatrale presentato durante il Teatro Festival Italia di Napoli ( prima assoluta Molo San Vincenzo 30 giugno e 1, 2 e 3 luglio). Ho incontrato Chiara Lagani per approfondire i temi dello spettacolo.

Il vostro ultimo lavoro T.E.L. apre una riflessione sullo spazio. Luoghi uniti (Napoli – Torino nella versione che ho visto al Molo S.Vincenzo per TFI) nel loro vuoto di senso, una sorta di flatlandia. Da dove nasce quest’idea di azzeramento dell’esperienza spaziale?

Chiara Lagani: è curiosa questa idea di azzeramento… è vero che il deserto di T.E.L. rimanda anche a questo. Ma il deserto è una metafora che solo in apparenza allude a una tabula rasa. C’è un ribaltamento continuo dell’idea di pieno e di vuoto, infatti, nella figura del deserto, o se preferisci uno slittamento continuo, che lo trasforma nel terreno di coltura ideale della visione, dei miraggi. Il deserto non è un vuoto, al contrario è popolatissimo di presenze, e non è privo di architettura e la sua architettura è ben disegnata, solo che intrattiene un rapporto molto forte con l’invisibile. Il teatro, un palco che attende, nella nostra metafora è come il deserto. E in questa metafora il fatto più potente è che il palco diviene luogo di uno scambio di reciproci miraggi, tra chi vede e chi è visto. T.E.L. si colloca in uno spazio misterioso, fatto di una intersezione tra due spazi reali che dà vita a un terzo luogo immateriale, che ne deriva, e che potremmo vedere come una strana, misteriosa possibilità. In questo spazio si creano le relazioni tra le immagini della storia. Non parlerei di azzeramento, dunque, ma di una superpresenza. Il “vuoto” di partenza infatti è anche un pieno molto caratterizzato e il miraggio che nasce in questo luogo, nonostante la sua natura fantasmatica, è sempre e perfettamente descrivibile. Del resto questa è la natura del miraggio: anche nell’opera di Lawrence, “I sette pilastri della saggezza”, ogni cosa sembra sempre nascere dalla bruma, paesaggi, storia, uomini, un misterioso liquido amniotico che contiene ogni cosa.

In un mondo senza profondità. Il vostro teatro apre continuamente lo sguardo alla possibilità di conoscere il mondo (non le singole cose, ma la “totalità”). Noi spettatori non possiamo cogliere questa possibilità se non abbandonando il suolo del mondo, trascendendolo.

La profondità nel teatro, la terza dimensione, è semplicemente la vita. Una traiettoria, forse, tra chi guarda e chi agisce. Prima, mentre mi parlavi dello spettacolo, hai citato una parola, “sopravvivenza”, che è una parola tecnica, una parola chiave nel nostro discorso sull’immaginario. Non so cosa significhi trascendere questo mondo, perché è proprio e solo in questo mondo che noi abitiamo continuamente luoghi fantasmatici, pieni di epifanie. Oz, Lawrence, Alice sono proprio epifanie, e le epifanie, col loro potere fantasmatico, ci mettono di fronte continuamente alla questione della sopravvivenza delle immagini, degli archetipi inscritti nel nostro immaginario. Riattualizzare le immagini che ritornano è forse il compito, l’attività dell’artista. A volte il caso, la vita stessa, ti propone la questione della riattualizzazione di un tema, di un’immagine, con una forza quasi brutale, senza che tu l’avessi direttamente convocata. Mi spiego meglio. Il primo germe di T.E.L nasce, forse, nel 2000, durante un viaggio tra Siria e Giordania, molto prima che scoppiassero le rivolte recenti in Africa e nei paesi arabi. Noi avevamo pianificato questa produzione ben prima che tutto ciò succedesse. E quando la Storia più attuale ha richiamato all’attenzione pubblica questi temi, per noi è stato ancora più difficile andare a toccarli, andare a trattare una questione già così delicata senza che eventi attuali la riaccendessero. A volte sembra una specie di profanazione toccare cose così vive, che hanno a che fare con la vita umana più prossima, col dolore e i movimenti in atto della storia, perché allora è davvero evidente che le figure del passato hanno questo grande potere di illuminare questioni attuali, riattivando temi che non hanno tempo. E sta a chi le maneggia prendersi la responsabilità di questa riattivazione, senza strumentalizzare i fatti della Storia. L’arte non interpreta i fatti, credo, l’arte procede per lampi, e a tratti, illumina grandi movimenti dell’umano. Georges Didi Huberman, nello scavare a fondo nell’opera di Aby Warburg, assegna questo ruolo all’arte, e alla storia dell’arte: reggere e dar conto di questo abisso che si crea nel rapporto tra vuoto e pieno, tra le continue collisioni tra passato e presente, nelle “ritornanze” del tempo. E’ questa la sfida che si accetta sempre in rapporto all’arte, anche come spettatori.

Se dovessi estrarre le figure fondamentali dalla parabola di Lawrence parlerei dell’idea di utopia e di un’altra idea, complementare e in certo senso interna a questa: quella del fallimento. Tutto sembra generarsi in questa storia da questo enorme conflitto, la fede sempre nuova in un ideale che si rivela quotidianamente impossibile.

Se il teatro si distacca rispetto al mondo, il dramma polverizza l’azione e riduce in poltiglia la sua collisione producendo fantasmi, sopravvivenze letterarie e visive. Il vostro teatro è un fantasma che gioca i suoi brutti scherzi alle nostre spalle? Lawrence D’Arabia in questo caso che tipo di fantasma è?

In teatro il rapporto con le figure mitiche o storiche (come in questo caso) di riferimento, il rapporto con il personaggio, in altre parole, è sempre un fatto di essenza, di incarnazione. L’incarnazione è una questione misteriosa e anche drammatica. E non parlo di identificazione, si tratta di un fenomeno più ampio. Non tutto può essere ricondotto sempre ad un piano narrativo, anche se ogni spettacolo racconta qualcosa. In T.E.L. ad esempio non si può parlare di identificazione nella figura di Lawrence da parte degli attori, ma di incarnazione sì. Nelle due scene, lontane nello spazio, un uomo e una donna, vestiti in tenuta mimetica da cerimonia, vengono attraversati dalla storia di Lawrence, anche se nulla hanno a che fare, in apparenza, con l’icona famosa di questo personaggio, che scrisse la storia di una rivolta nel deserto. Nella scena, una stanza vuota sovrastata da un altoparlante da cui esce la voce del secondo attore, quello la cui assenza-lontananza è evocata per tutto lo spettacolo dal primo dei due, c’è solo un tavolo, e quel tavolo è una superficie piatta da cui si genera la storia, perché toccando quel tavolo, che è uno strumento musicale vero e proprio ideato da Tempo Reale per questo spettacolo con una serie di sensori magnetici e capacitivi, l’attore crea uno spazio, una memoria, un racconto. E così nasce il vento del deserto, gli spari della rivolta, l’esultanza della tribù. Il tavolo è come un deserto, la matrice di tutte le sonorità che ci aiutano a precipitare in quel mondo. Lo spettatore così è tenuto a far fronte al suo deserto, come se si trovasse davanti al suo personale miraggio, deve cioè permettere alla storia, credendole, di nascere.

Il teatro è esteriormente senza difesa contro il mondo. Una condizione che sembra non appartenere al vostro modo di guardare alle “cose” del teatro? Che strano spettacolo T.E.L. Come può esserci un conflitto, dramma senza contatto?

In realtà, il miraggio ti espone a un contatto, sempre. L’epifania dell’immagine non può prescindere dall’idea di contagio. Credere profondamente a quello che si vede vuol dire toccarlo.

Simone Weil afferma che è la necessità a renderci sicuri del contatto reale con il mondo; la necessità è “la dura superficie delle cose” contro la quale urtiamo violentemente quando ci accorgiamo della realtà. Spesso seguendo le vostre opere mi sfugge il senso dell’altro, la direzione dialettica del vostro messaggio. Quale urgenza o emergenza muove il vostro teatro?

Io credo che l’arte, in quanto tale, proceda sempre da una necessità e l’arte, per questo, è sempre impegnata, contrae un impegno fortissimo col mondo, con quella che definisci realtà. I nostri lavori si occupano ossessivamente del rapporto con l’altro, con la responsabilità, l’attrito creativo dell’altro sull’opera. Nel progetto Ada il protagonista della storia era addirittura lo spettatore: Van in tutti gli spettacoli rappresentava lo sguardo di chi è fuori e che viene chiamato dall’opera a una sorta di complicità nella creazione, nel conseguimento di un senso. Forse non capisco bene a cosa ti riferisci esattamente con “direzione dialettica”, ma il rapporto con l’altro è il tema chiave di quasi tutte le nostre ultime opere, anche nel progetto Oz, Dorothy, la protagonista è avatar dello spettatore: suo è il viaggio, suo l’impatto con l’attraversamento di un mondo misterioso, suo quel percorso fatto di mattoni gialli in cui ogni passo è motivato dal grande sentimento della nostalgia, sentimento primario nel rapporto con l’altro e col mondo.

Bellezza e dolore si sovrappongono e si confondono spesso nel vostro lavoro?

Credo che questo avvenga sempre nell’arte e nelle cose umane in genere.

Italo Calvino nel suo “Il Viandante nella mappa” notava che la mappa, la carta geografica, nasce in vista di un viaggio e che pertanto trova nella linea più che nella superficie la sua forma coerente: “Il primo bisogno di fissare sulla carta i luoghi è legato al viaggio… Si tratta dunque di un’immagine lineare…”. Piatto, lineare è il tavolo/mondo interattivo protagonista di T.E.L. Una sorta di macchina psicogeografica da cui si dipana un’umana cartografia fatta di traiettorie sonore ed evocazioni spaziali?

La questione spaziale è una delle prime questioni che ci poniamo in un lavoro, una delle coordinate che regola il patto finzionale che ogni opera istituisce con il pubblico. Ogni spettacolo ha il suo contratto, come accade nel gioco. L’idea, la scelta di uno spazio non può essere in questo casuale, perché le prime domande che un bambino si pone in un gioco sono: io chi sono, e tu chi sei e dove siamo? Precise scelte drammaturgiche ci portano sempre a disegnare un dispositivo spaziale. In West, per esempio, lo spazio cita espressamente una performance di Marina Abramovich, The artist will be present. La domanda che si offre allo spettatore riguarda il tema della presenza come antidoto, come possibilità di una qualità, come questione etica primaria. Ed è dallo spazio, uno spazio vuoto, con un tavolo a cui siede l’attrice, in attesa di qualcuno che, forse, si sieda di fronte a lei a sostenere una qualità, che si genera il primo livello di quel contratto. Spesso è dal contratto spaziale che deriva la questione principe nei nostri lavori. C’è un altro spettacolo doppio, “Storia infelice di due amanti/Romeo and Juliet”, che in questo riassumere dello spazio, assorbire in sé la questione principe di un lavoro è, direi, esemplare. In quel lavoro gli spettatori assistevano allo stesso spettacolo, ignari, divisi in due gruppi e condotti per metà di fronte a un palco con microfoni dove si svolgeva il radiodramma live che aveva per oggetto la storia di Romeo e Giulietta, e per la metà restante nel retropalco, spettatori del backstage. I due spazi erano separati da un muro, che alludeva al famoso muro/personaggio del Sogno shakespeariano. Quando alla fine crollava il muro i due pubblici si trovavano di fronte e comprendevano che quello spettacolo, che per tema aveva proprio la storia di un muro, di un ostacolo era dal principio basato sulla compresenza, sulla separazione. E comprendevano che abbandonarsi al dispositivo scenico e alla sua regola, che implicava poi lo scambio tra i due pubblici per una seconda replica dello stesso spettacolo, diventava una questione di primaria importanza per comprendere le ragioni di quel lavoro.

In T.E.L. lo spazio è diviso in due zone, quella del tavolo-deserto- matrice, e subito davanti una piazza retorica, il luogo di un training, della corvé militare dell’attore, circondato da un pubblico disposto a C, immagine di un’assemblea. Quest’immagine fornita dallo spazio è fondamentale, è un’immagine interna al lavoro, non è una semplice disposizione fisica del pubblico in quel luogo.

“La necessità di comprendere in un’immagine la dimensione del tempo insieme a quella dello spazio è alle origini della cartografia” scriveva sempre Calvino. Questa considerazione indica come nella natura stessa dell’operazione cartografica si annidino un’anima politica e una vocazione scientifica. E’ stato così anche per voi nello sviluppo di T.E.L.?

Condividere un miraggio è un fatto collettivo e dunque eminentemente politico. Ma è anche un fatto percettivo profondo che mobilità una serie di competenze specifiche. Più che di vocazione scientifica forse parlerei di grande amore per la conoscenza, una conoscenza che ha a che fare con la passione per tanti aspetti dell’umano.

Come svilupperete questo progetto?

Il progetto su Lawrence d’Arabia non si esaurisce qui, è prevista una nuova tappa nel 2012-13. Si tratterà di un lavoro con una squadra di attori, dotati di competenze macchinistiche, che si muovono in un teatro, nel labirinto dei suoi meccanismi. Questo luogo sarà rivisitato e trasfigurato alla luce della storia che Thomas Edward Lawrence racconta in “Lo stampo”, diario feroce dell’arruolamento nella RAF da soldato semplice anonimo, alle prese con la disciplina volontaria e coatta dell’addestramento militare.

Come guardate all’arte contemporanea, sempre più costretta oggi a piegarsi alle leggi del mercato, a svendersi?

Non tutta l’arte si piega. E noi guardiamo con emozione alla resistenza di forme e contenuti che non vengono scalfiti nella loro forza dalla durezza dei tempi. La questione della sopravvivenza di un’arte che fa la fame, di spettacoli che non girano e che non vengono finanziati è un pensiero costante. Occorre maturare strategie di resistenza comune, alleanze. Ma un pensatore, un artista, un intellettuale che si ostini a lottare per la sua idea, senza mai rinunciare alle sue ragioni etiche primarie non si svenderà mai, anche a contatto con mondi lontani e molto diversi dal suo. Non si parla ancora abbastanza della resistenza del pensiero, della qualità di un pensiero forte che nonostante i duri colpi che gli vengono inferti non si avvilisce, ma continua a manifestare la sua necessità. Il teatro, la rappresentazione, l’arte è un’esigenza umana primaria, e nessun taglio di fondi potrà spegnere il desiderio che l’uomo ha dalle origini di rappresentarsi attraverso forme antiche e nuove.

       
       

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  Il teatro del suono. La ricerca acustica di Fanny & Alexander
     

Enrico Pitozzi, www.digicult.it, settembre 2011

     

 

     

Tra le formazioni più interessanti a livello europeo, Fanny & Alexander è stata fondata a Ravenna nel 1992 da Luigi de Angelis e Chiara Lagani, ai quali si affianca stabilmente l’attore Marco Cavalcoli.

Affermatisi nel panorama teatrale come gruppo di ricerca, compone opere segnate da una contaminazione tra le divise discipline. Nel tempo, la loro sede, l’Ardis Hall, è diventata un vero e proprio luogo di produzione e diffusione di sperimentazioni artistiche su varia scala e secondo formati diversi: spettacoli teatrali, produzioni video e cinematografiche, installazioni, azioni performative, mostre fotografiche, convegni e seminari di studi, festival e rassegne. Affascinanti da un andamento progettuale, tra le loro principali produzioni ricordiamo gli undici lavori – divisi fra installazioni performance e concerti – ispirati a Ada o Ardore di Vladimir Vladimirovi Nabokov (Premio Ubu speciale 2004/5). Il progetto vede la collaborazione, per la realizzazione di video e film, della formazione Zapruder filmmakersgroup guidata da David Zamagni, Nadia Ranocchi e Monaldo Moretti, che hanno spesso accompagnato le produzioni della formazione ravennate.

Fanny & Alexander hanno recentemente completato, con lo spettacolo West, un articolato progetto ispirato a Il Mago di Oz, dal quale è nato il volume O-Z, atlante di un viaggio teatrale (Ubulibri, 2010).

Nella prospettiva trasversale in cui la produzione di Fanny & Alexander si colloca, la nozione di suono ha sempre ricoperto, fin dai primi lavori come Ponti in Core (1996) per arrivare alle produzione decisamente più marcate in questa direzione come +/- (2009) o South (2009) e T.E.L. (2011), un ruolo di primo piano. Non si tratta qui di concepire il suono – o per lo meno questa è la linea che cercheremo di tracciare – come supporto all’immagine scenica, quando di definire e elaborare una sorta di drammaturgia acustica come definizione di un’immagine uditiva che faccia da contrappunto alla visione in un cortocircuito percettivo capace di intervenire – in modo subliminale – sulla ricezione dello spettatore.

Prima di passare ad una radiografia più articolata di questa posizione, cerchiamo qui di introdurre le traiettorie portanti mediante le quali sviluppare la nostra riflessione.

Da un punto di vista etimologico il termine "suono" è declinabile in tre diversi aspetti che, nel lavoro di Fanny & Alexander, sembrano essere esplorati in modo sistematico: vale a dire la dimensione del "suono" legata la riverbero – l’eco; la più classica dimensione che rinvia alla voce e, più particolarmente, alla phoné intesa come misto di timbro e significato e, in ultima, la dimensione acusmatica che rinvia all’invisibilità (o alla localizzazione ambigua) della fonte di emissione. Tutti questi aspetti hanno un loro punto di convergenza in una nozione determinante: quella dello spazio sonoro della scena, luogo in cui possa manifestarsi la relazione tra l’udibile da un lato e l’inudibile dall’altro, là dove quest’ultimo è la condizione necessaria perché si dia il primo.

Si tratta, per Fanny & Alexander, di esplorare ciò che sta oltre il "fin-qui-udito", metterlo in scena: definire l’immagine acustica in grado di penetrare lo spettatore/ascoltatore.

I. Dispositivo Lawrence (o del gesto sonoro)

Per cercare di spingere più oltre questa riflessione intorno allo spazio acustico nei lavoro di Fanny & Alexander, concentreremo l’attenzione sul progetto dedicato alla figura di Thomas Edward Lawrence e, nello specifico, all’opera T.E.L. (2011) e al suo dispositivo sonoro-vocalico realizzato in collaborazione con Tempo Reale, centro di produzione, ricerca e didattica musicale fondato da Luciano Berio a Firenze e attivo da oltre vent’anni in campo nazionale e internazionale nei settori della musica di ricerca e delle nuove tecnologie del suono.

T.E.L., lavoro che ha debuttato al Napoli Teatro Festival Italia nel giugno scorso, è accompagnato da un radiodramma - 338171, TEL – realizzato con la collaborazione di Rodolfo Sacchettini.

La versione scenica prevede la partecipazione di due attori, collocati in due luoghi diversi, lontani nello spazio – separati anche da un leggero sfasamento temporale – ma in collegamento via rete satellitare, che danno vita a un dialogo a distanza. Il dispositivo di questo lavoro prevede, inoltre, la collocazione di due diversi pubblici che assistono – ognuno in uno spazio-tempo determinato – a questo dialogo a distanza. I due attori si scambiano poi di luogo, per rendere possibile, a chi lo voglia, completare la sua visione con l'altra faccia della medaglia di quel dialogo tra due lontananze. In uno spazio pressoché spoglio, l’attore – Marco Cavalcoli – guidato da una voce in cuffia, compie i gesti dell'addestramento militare: gli ordini che riceve, "alza i pugni", "inspira", rimandano alla protagonista eterodiretta in cuffia di West (2010), il precedente lavoro del gruppo interpretato da Francesca Mazza.

Anche qui l’attore esegue contemporaneamente degli ordini riferiti ai gesti da compiere e ripete a tratti le parole che gli vengono pronunciate. Questi gesti fanno riferimento alla biografia dello stesso Lawrence e, in particolare, al periodo in cui, deluso dal fallimento dei suoi ideali, si arruolò come soldato semplice nella RAF, mentre la revocazione del suo passato a capo dei beduini nel deserto – e qui sta un punto centrale del lavoro – è affidato alle atmosfere sonore di un “tavolo preparato” – realizzato con la collaborazione di “Tempo Reale” – dotato di microfoni nascosti, sensori, resistenze elettriche, interfaccia necessaria agli attori per lo sviluppo della partitura musicale e vocale di cui il lavoro si compone.

Per tutta la durata del lavoro l’attore – uno straordinario Marco Cavalcoli – deve essere contemporaneamente in grado di gestire diversi livelli di intervento: rispondere in modo coerente agli stimoli che provengono da uno spazio-tempo altro e gestire il ritorno sonoro dei suoi gesti sul tavolo di dissezione anatomica del "corpo sonoro" dell’intero spettacolo.

II. La linea-suono

È con T.E.L. che trova un suo fortunato sviluppo quella che potremmo definire la "linea suono" che attraversa la produzione della compagnia ravennate. A partire da +/- realizzato con la collaborazione di Mirto Baliani e Luigi Ceccarelli, fino al tavolo sonoro di T.E.L. è in gioco la definizione di vere e proprie architetture invisibile che depositano nello spazio della sale teatrale le loro geometrie fantasmatiche fatte di vibrazioni sonore, fenditure che attraversano il perimetro della scena.

È qui che possiamo parlare, dunque, di un vero e proprio "corpo sonoro" che si fa materia e si modula in scena su momenti di densità e rarefazione.

In T.E.L., il suono, a tratti tellurico e penetrante, si organizza secondo diversi piani: da un lato la produzione vocale dell’attore che pronuncia parti del testo, mentre dall’altro il livello strettamente sonoro – prodotto dall’iterazione tra il gesto dell’attore e il tavolo – opera su due registri. Un piano biografico-narrativo della vita di Lawrence, in cui il suono rievoca echi di tamburi e di canti tribali appartenenti al periodo della vita di Lawrence a capo della rivolte arabe, oltre a dimensioni sonore più astratte che vengono spazializzate nella sala attraverso una sapiente disposizione degli speakers.

Organizzato intorno a matrici di glitches, questo suono affiora e scompare all’ascolto come a scolpire figure nello spazio, trovando una propria risonanza che dal gesto dell’attore che l’ha prodotto si riverbera nell’assetto percettivo dello spettatore, insinuandosi subliminalmente e influenzando la visione dell’immagine scenica: la dove il suono impercettibile si fa teso, la temperatura dell’immagine scenica complessiva permette di veicolare un senso di inquietudine che, puntualmente, anticipa lo sviluppo drammaturgico a venire. L’inudibile è qui il luogo di emersione, la texture di fondo che permette al suono di manifestarsi, di prendere forma, addensarsi come un’atmosfera in una continua dialettica di ampiezza e ritenzione, intensificazione e modulazione al limite del percepibile o, viceversa, saturando completamente lo spazio udibile. Ogni variazione è una modulazione che incide sulla percezione dell’immagine. Suono e visione interferiscono – vibrano a velocità variabili – per assegnare alla scena la sua temperatura: arida, desertica, incandescente.

III. Note per la definizione di un "teatro del suono"

Interrogare, come sembrano fare Fanny & Alexander nel loro lavoro, la nozione di corpo sonoro significa penetrare dentro la materia del suono e, contemporaneamente, del corpo. Significa operare all’interno di un limite sottile in cui la forma del corpo e del suono si dissolvono, lasciando trasparire una trama costituita attorno alle diverse intensità che operano al loro interno: parleremo quindi di una forma "molecolarizzata" del corpo e del suono che entrano in risonanza reciproca.

Si tratta, in altri termini, di lavorare su una serie di tensioni interne che permettono alla forma del corpo come del suono di essere in costante mutazione. Tale processo si struttura sulla scena della formazione ravennate in due diverse direzioni che ci permettono di tematizzare gli aspetti emersi nell’introduzione a questo scritto: il "gesto sonoro" come produzione – a partire da una partitura di movimento – del soudscape della scena; e una "vocalica sonora" come dialettica tra lo spazio sonoro della voce e il significato delle parole: atmosfera fonica.

Da un lato potremmo parlare di un "gesto sonoro" in cui le architetture di suono prendono forma nella sala a partire dal contatto tra la partitura gestuale dell’attore e un dispositivo preparato pronto ad accogliere – trasformandolo in suono – ogni movimento. Così è per il "gesto vocalico", primo importante lavoro in questa direzione, rappresentato da Him (2007) in cui l’attore Cavalcoli dà letteralmente voce a tutti gli aspetti della scena doppiando, mentre il film scorre alle sue spalle, Il mago di Oz.

Sperimentazione che continua poi con l’interfaccia pedonium progettata e realizzata da Mirko Fabbri per North (2009), strumento musicale elettronico formato da una grande tastiera a pavimento in cui il suono viene prodotto dall’interazione dei performer-musicisti. Dalle assi di questo pavimento, si sprigionano voci, melodie, suoni preverbali, fenomeni luminosi e fantasmi sonori. La protagonista, “suona” quel pavimento attraversandolo e praticandolo fino a produrre una vera e propria partitura musicale. Se qui ad essere utilizzato nella produzione del suono è il movimento dei performer sul palco, in T.E.L. è il gesto della mani e delle braccia a produrre suono a contatto con il tavolo progettato da dall’équipe di “Tempo Reale”. Tuttavia, in tutti questi esempi, la relazione suono-corpo non rinvia a qualcosa di semplicemente "antropomorfo": non è in gioco la ricostruzione sonora della forma del corpo, quando l’esplorazione di una geografia emozionale che, attraverso il gesto, diventa materiale drammaturgico per la scena.

Dall’altro tocchiamo invece quella che potremmo definire – sulla scorta del Roland Barthes del "piacere del testo t– la "scrittura ad alta voce" come dimensione particolare del suono. Tuttavia, rispetto al lavoro di Chiara Lagani e di Marco Cavalcoli sulla voce, sono necessarie alcune precisazioni. Si tratta, in altri termini, di entrare dentro la voce: spostare il punto di vista e portarlo all’interno, nella sua dimensione nascosta, là dove la parola è messa al microscopio. Significa, in altri termini, sondare la potenza sonora della voce – la sua Phoné – prima di veicolare il significato delle parole. Non si tratta qui si privilegiare il suono sul significato, quanto di scavare nel suono per amplificarne il "senso".

È così per North in cui la voce di Chiara Lagani e Roberta Guidi è messa al microscopio attraverso il microfono, nella ricerca dei suoi dettagli sonori esattamente come lo è il volto visibile attraverso la lente di ingrandimento. Alla fine di questo processo, come avviene, per esempio, in alcuni passaggi di T.E.L. la parola pronunciata "fa sentire" la temperatura sonora che la abita: il significato giunge in modo efficace allo spettatore là dove è "udibile" l’atmosfera fonica che lo ha generato. Un esempio: quando l’attore dice “C’è qualcosa che non va, serve un deserto” un’atmosfera di inquietudine – veicolata dalla dimensione sonora delle parole – anticipa e pervade la sala inscrivendo la frase nella percezione dello spettatore.

È con questi esempi che, a tratti, la scena di Fanny & Alexander si fa vero e proprio cinéma pour les oreilles – un cinema per le orecchie – i cui punti di emissione del suono sono nascosti e de-centrati: esso arriva, letteralmente, da tutti i punti dello spazio.

Da questi aspetti che può essere anticipata una possibile traiettoria che rende particolarmente importante il contributo di Fanny & Alexander alla definizione di una scena sonora. Nel loro lavoro non si tratta tanto, a nostro modo di vedere, di una ricerca indirizzata semplicemente a rinnovare le modalità del "Teatro Musicale": si tratta, invece, in modo più radicale, di ripensarne le fondamenta riposizionando i parametri che lo definiscono. Per questa ragione – grazie soprattutto agli aspetti che, forse sommariamente, abbiamo cercato di evidenziare poco sopra – non si tratta di mettere in suono una forma drammaturgia (o di fare del suono il suo elemento prevalente), quando di dispiegare una logica di manifestazione di una dimensione nascosta delle cose.

È qui che opera, come nei lavoro citati, quella dimensione particolare del dare una forma all’inudibile". In altri termini, per sintetizzare, potremmo dire che l’attitudine al suono di Fanny & Alexander è il "negativo" (nel senso fotografico) del "Teatro Musicale": se in esso la musica diventa “personaggio”, nel "Teatro del Suono" di Luigi de Angelis e Chiara Lagani la logica di composizione passa per un processo di affioramento di figure sonore, atmosfere, riverberi. Si tratta qui, allora, di far affiorare alla percezione dello spettatore delle entità che non lo sono in sé stesse.

E questo processo di affioramento investe sia la soglia dell’udibile che la soglia del visibile.

È qui, cioè, che il potenziale "atmosferico" del suono diventa immagine sonora che permette all’immagine visiva di definirsi come in North, per esempio, o in alcuni passaggi di T.E.L. in cui assistiamo a una vera e propria "logica del colore" che affiora sulla scena.

Dunque, così come esiste un’immagine visiva, sulla scena di Fanny & Alexander sembra emergerne con forza una di tipo uditiva. Non si tratta qui soltanto di cogliere ciò che si manifesta all’udito: questa immagine ha a che fare con ciò che sta dentro l’ascolto, bisogna individuarne le caratteristiche e il punto raccolto nel quale agisce l’intensità che fa di una materia sonora un’immagine e che, di conseguenza, ridisegna i caratteri dell’ascolto. In questa cornice l’immagine visiva ne è il contrappunto.

Per tali ragioni parlerei preferibilmente di un vero e proprio "Teatro del suono" e, per esteso, di un vero e proprio "Teatro del colore" come orizzonte di senso nel quale inscrivere la sperimentazione della formazione ravennate. Ciò implica una radicale interrogazione dell’ascolto (e della visione). Il suono si fa ambiente immersivo, diventa "forza tattile". L’immersione nel suono – elemento predominante in T.E.L. – rinvia a una percezione interna della materia sonora (così come si è, visivamente, collocati nel prisma di luce). Il corpo dello spettatore è immerso in una rete di forze al contempo sonore e visive in vibrazione con le quali entra in risonanza: divenire suono, divenire molecola, aria compressa e pulsante, vibrazione.

È qui, in questo particolare dispositivo percettivo, che il suono e il colore intervengono – nello spazio della scena – come vere e proprie intensità che agiscono a livello subliminale influenzando radicalmente il sistema sensoriale dello spettatore. É qui che agisce una vera e propria ridefinizione dell’ascolto (come della visione) che Fanny & Alexander sembrano richiedere allo spettatore: non bastano più gli occhi per vedere l’invisibile così come le orecchie per sentire l’inudibile. Serve un corpo timpano, un corpo prisma, un’intera risonanza della geometria ossea.

       
       

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  Il pregiudizio (e il suo doppio)
     

Franco Cordelli, Il Corriere della Sera, 24 settembre 2011

     

 

     

Alla fine di «T.E.L.» del gruppo Fanny e Alexander in scena al Quirino, ho chiesto in giro che impressione se ne fosse ricevuta. A Simone Nebbia non era piaciuto; a Simone Carella molto. Non arriva niente, diceva Nebbia, un giovane critico. Intendeva sul piano emotivo o anche su quello intellettuale? La risposta: su tutti e due. Allora Carella ha chiesto l' opinione di un coetaneo, si è rivolto a me. «A te è piaciuto?». Sì, ho risposto, ero pieno di pregiudizi, Fanny e Alexander producono troppo, si può tenere un ritmo produttivo così elevato senza perdere in qualità? Avevo quei pregiudizi, ma lo spettacolo li ha dissolti. Mentre «T.E.L.» andava in scena al Quirino, a India era in corso il suo doppio. Nel primo c' era Marco Cavalcoli, nel secondo Chiara Lagani. I due il giorno precedente si erano scambiati la postazione, il risultato era ovviamente lo stesso. Di che si trattava? «T.E.L.» sta per Thomas Edward Lawrence, che tutti conosciamo come Lawrence d' Arabia. Luigi de Angelis, il regista di Fanny e Alexander, e Chiara Lagani, la drammaturga, gli dedicheranno nel 2013 uno spettacolo con dieci attori e cinque scrittori, qualunque cosa ciò significhi (mi riferisco agli scrittori). Intanto hanno istituito una impressionante serie di analogie tra la vicenda di Lawrence e la propria, cioè quella di ogni sperimentazione teatrale. Impossibile riassumere. Bisogna leggere. Credo che leggere sia, per lo spettatore, parte della fruizione dello spettacolo. Intendo: è vero che se non si sapesse nulla di Lawrence, o non si leggesse il programma, poco si capirebbe. Ma noi leggiamo e capiamo perché Cavalcoli e Lagani fanno ciò che fanno. Davanti a loro (sono in tuta mimetica) c' è un tavolo, vuoto come un deserto. In alto scorgiamo un altoparlante, che li pone in comunicazione (l' utopia della comunicazione, l' utopia di una rivolta - quella degli arabi, o quella degli artisti). Davanti c' è l' enormità dello spazio. In esso i due attori in simultanea (separati e lontani) camminano, corrono, danzano, si sfiniscono. Poi poggiano le mani sul tavolo. Esso magicamente risuona. Scoppiano le bombe. Si sentono le artiglierie o i canti beduini. Siamo nel cuore di una impresa impossibile. «T.E.L.» va letto così: come correlato oggettivo concettuale di una vicenda che sembrava lontana e che proprio in questi mesi mostra la sua attualità, nel deserto e nella città.

       
       

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  Lawrence d'Arabia, il sogno e il dominio
     

Elisabetta Torselli, giornaledellamusica.it, 17 ottobre 2011

     

 

     

Conclusosi ieri, il festival di Tempo Reale registra per quest’edizione 2011 diversi successi: i concerti alla Limonaia di Villa Strozzi con autori e pezzi storici e nuovi (in ambito di musica elettronica “acusmatica” citiamo almeno l’accostamento di “Telemusik” di Stockhausen con le prime assolute di “Quattro Haiku” di Lelio Camilleri e di “Invisible Cities” di Yasuhiro Morigana, il 12), e la felicità dell’idea stessa di paesaggio sonoro su cui era imperniato, con la notevole partecipazione di pubblico alle passeggiate alla ricerca e alla riscoperta del sound urbano. La conclusione è stata un’escursione nel teatro di ricerca con la compagnia ravennate Fanny & Alexander, da cui questo T.E.L., imperniato sulla figura e sulla vicenda di Lawrence d’Arabia, in cui due attori, Chiara Lagani (che ne è anche l’autrice con Luigi de Angelis) e Marco Cavalcoli, dislocati nello spazio, a Firenze (al Cantiere Goldonetta) e a Modena, ma in collegamento tecnologico, ripercorrono questa storia emblematica, in cui il colonialismo occidentale si intreccia ai sogni propri e altrui (il fascino del deserto, la grande rivolta araba contro l’impero ottomano) in un mix ambiguo di ragione calcolante e di bisogno d’avventura. Abbiamo così visto e sentito alla Goldonetta Chiara Lagani rappresentare, agire e dire con intensità e con precisione di segno le diverse voci di questa nevrosi di dominio e di fuga, fra educazione militare e esotismo, mentre le musiche di Mirto Baliani, realizzate da Damiano Meacci e Francesco Casciaro per Tempo Reale, assecondavano il racconto intrecciando suoni e voci, il guizzo delle ance arabe, i canti e le grida di rivolta, con un richiamo davvero vibrante a ciò che avviene oggi in quelle parti di mondo. Molto successo.

       
       

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  "T.E.L.", spettacolo ispirato a Lawrence d'Arabia
     

Maria Giovanna Grifi, STAMP Toscana, www.stamptoscana.it, 18 ottobre 2011

     

 

     

È il racconto di un’utopia, di un fallimento, di un eroe dei tempi nostri, soggiogato, illuso e deluso dal potere. Il gruppo di ricerca teatrale Fanny & Alexander dà inizio al progetto biennale (2011-2013) sulla figura dell’archeologo, scrittore e agente segreto britannico Theodore Edward Lawrence, le cui iniziali danno il titolo allo spettacolo “T.E.L.”, andato in scena contemporaneamente a Firenze, in occasione di Tempo Reale Festival (Teatro CanGo Cantieri Goldonetta), e a Modena, nell’ambito di VIE Scene Contemporanea Festival. Lo studio parte dalle opere e vicende di Lawrence, ricordato come “Lawrence d’Arabia” per aver aiutato gli arabi nella rivolta contro l’impero ottomano durante la Prima Guerra Mondiale. La sua “buona fede” fu messa al servizio delle potenze dell’Intesa: cacciati i turchi, il Medio Oriente venne diviso in sfere di influenza inglesi e francesi secondo il trattato segreto Sykes-Picot. La missione di Lawrence si concluse con successo. Ma fu un vero fallimento. Voleva dare libertà ad un popolo ed invece contribuì a sottoporlo a nuovi padroni. La vergogna ed il senso di colpa per questo tradimento non voluto emerge dal suo diario e dal suo libro “I Sette Pilastri della Saggezza”.

Fanny & Alexander hanno colto in questo personaggio molte analogie con la vita d’attore (e in fondo con chiunque oggi voglia realizzare i suoi ideali): la solitudine, l’ostinazione utopica, la ricerca di indipendenza dal potere, il sacrificio del corpo, la “missione”. Una stanza vuota, un’attrice in vestito lungo mimetico (Chiara Lagani, ideatrice dello spettacolo insieme a Luigi de Angelis) posta dietro ad un tavolo “magico”, la cui superficie al tocco delle sue mani emette rumori, lontani. Come lontano è il suo interlocutore/alter ego, l’attore Marco Cavalcoli, in collegamento satellitare dal teatro di Modena e la cui immagine sovrasta lo sfondo. I due attori agiscono in contemporanea di fronte a due pubblici diversi. Le voci registrate li dirigono in un addestramento militare spasmodico, interrotto qua e là dal contatto tattile e sonoro con il tavolo, macchina sensoriale e magnetica ideata da Tempo Reale, un deserto da cui rievocare suoni, ricordi, eventi. Sono miraggi che disorientano. Come smarrito è il pubblico di fronte all’ignoto. Lo spettacolo va codificato. Rimane incomprensibile senza la lettura del programma di sala, senza sapere chi è Lawrence e perché venga evocato dagli attori. Anche la comunicazione a distanza degli interpreti, metafora di un’impossibile empatia umana, non è così chiara. È un teatro “d’élite”, compreso da chi voglia leggere, studiare e capire. Al di là della semplice comprensione, emerge lo stato di inquietudine e alienazione del “protagonista assente”. Alla fine la Lagani viene sostituita da una bambina (mentre a Cavalcoli è subentrato un bambino), il tavolo “da guerra” si trasforma in tavolo da gioco, dove i ricordi diventano piccoli modellini con cui fare rumore. E tramite l’immagine dell’innocenza la denuncia si rivela più intensa.

       
       

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  T.E.L.
     

Nicola Arrigoni, Sipario, 26 ottobre 2011

     

 

     

Un unico spettacolo in due teatri differenti è il gioco proposto dall'interessante e desituante T. E. L. di Fanny & Alexander che sembra voler far esplodere lo spazio e il tempo del teatro, ma anche dare «corpo all'idea dell'utopia e del miraggio che è così presente nella vita e nelle opere di Thomas Edward Lawrence», da qui il titolo della prima tappa del nuovo progetto triennale della compagnia romagnola. T.E.L. è «un dispositivo di comunicazioni utopiche», così è definito da Cavalcoli e Lagani. Marco Cavalcoli è di fronte al pubblico, gestisce il mito ambiguo di Thomas Edward Lawrence, in contemporanea Chiara Lagani recita l'altra parte, impartisce le istruzioni al corpo di quel soldato in frak che gestisce su un tavolo sonoro il racconto di Lawrence d'Arabia in una messa in scena che alla narrazione preferisce la suggestione sonora e il corpo di quell'attore/soldato che suda, corre sul posto, è oggetto e soggetto del gioco assurdo della guerra. Tutto si apre con le coordinate geografiche dell'altro sito in cui si svolge lo spettacolo, che arriva allo spettatore attraverso il suono della voce di Lagani se si assiste alla performance di Cavalcoli e viceversa. C'è in questo doppia scena un senso di mancanza, un miraggio di quel non-luogo che è lo spazio altro da cui arrivano le indicazioni fornite dalla voce/narrante al soldato d'Arabia. Ancora una volta i ragazzi di Fanny & Alexander dimostrano una rara intelligenza e una voglia di mettere in cortocircuito la semantica stessa del teatro, in un viaggio che potenzia il nunc e fa esplodere l'hic in un luogo diffuso, tenuto unito dalla tecnologia. L'oggetto narrato – con pretesto creativo – è la storia dell'archeologo, agente segreto, ufficiale britannico, scrittore, Lawrence d'Arabia che fu soprattutto uno dei capi della rivolta araba di inizio Novecento. Il soggetto di T.E.L. pare essere la telecomunicazione, ovvero la possibilità che quelle parole, quelle immagini, quei suoni e quei miraggi che attraversano e costruiscono la vicenda di Lawrence d'Arabia diventino suono condiviso, azione in rete, elementi di una sosta improvvisa nel deserto, in cui, dopo qualche momento di silenzio, sembrano emergere suoni che richiamano visioni e una realtà altra si spalanca davanti allo sguardo non solo di Cavalcoli in tuta mimetica ma anche dello spettatore. L'effetto è giocoso e giocato con assoluto rigore dei mezzi linguistici utilizzati e ovviamente di quelli tecnologici che amplificano, potenziano tempo e spazio di un agire scenico che rende gli spettatori partecipi di quella storia di rivolte e di deserti, complici per decisioni, stupore, orrore. Perché ciò che accade si rivolge allo spettatore, in carne ed ossa, presente in entrambi gli spazi scenici. Il deserto evocato da T.E.L. è nello spazio dell'etere che lega de sale teatrali, due attori in dialogo in un qui ed ora franto e potenziato dalla tecnologia al servizio dell'utopia.

       
       

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  La parola prende vita e si diffonde, Il Regno Profondo, Grattati e Vinci, T.E.L., Vie Festival
     

Roberto Rinaldi, Rumor(s)cena, www.rumorscena.it, 15 novembre 2011

     

 

     

La parola attraverso la voce prende forma e sussistenza, diventa Verbo incarnato, significato e significante, fino ad assumere compimento di un ragionamento drammaturgico. Tre diverse scelte di portare la parola ( e testo) a teatro, sembrano legate da uno stesso comune denominatore:la parola diventa essa stessa protagonista, tralasciando (intenzionalmente) le altre componenti sceniche ad uso teatrale. A partire dall’estetica creativa ed artistica, là dove testo e messa in scena si completano a vicenda. Il sermone drammatico del Regno Profondo (Socìetas Raffaello Sanzio), T.E.L. dei Fanny & Alexander/Tempo Reale, Grattati e Vinci (terzo episodio della Trilogia dell’inesistente ed esercizi di condizione umana) dei Quotidiana.com, presentati al Vie Festival di Modena.

(...)

La parola mutua, diventa strumento per esperimenti etero diretti, data in adozione ad una tecnologia in cerca di visibilità estetico-artistica. Parola di T.E.L., ovvero Thomas Edward Lawrence, meglio conosciuto come Lawrence d’Arabia, un mito, uomo divenuto agente segreto e ufficiale dell’Esercito inglese. Un esperimento a due voci, distanti geograficamente, unite da un collegamento via internet satellitare, due performer: Chiara Lagani e Marco Cavalcoli. La prima a Modena al Teatro delle Passioni, il secondo a Firenze (Cango Festival Tempo Reale). Il progetto si è ispirato ad alcuni passi di “Stella del Mattino” dal libro di Wu Ming, in cui si raccontano le gesta di Lawrence d’Arabia. Una traccia labile aleggiante, scarnificata che privilegia una recitazione astratta dove la parola viene rilanciata attraverso la comunicazione a distanza, si mescola, si sovrappone. Marco Cavalcoli dall’etere chiama Chiara Lagani, gli lancia i comandi, e lei agisce di conseguenza con ritmi sempre più convulsi, sincopati, lasciati scorrere in binari che si intersecano e si confondono.

La voce umana e il suono della parola si fondono in una commistione con un sofisticato apparecchio tecnologico, capace di produrre e diffondere il sonoro mediante la digitalizzazione del suono. Sono varie componenti che sono state assemblate nell’ultimo lavoro -ricerca dei Fanny & Alexander, (ideazione Luigi de Angelis e Chiara Lagani) non privo di un certo fascino, ma dall’esito finale non risolutivo o per lo meno meno innovativo, rispetto le aspettative. Impossibile non citare West con Francesca Mazza dove l’esperimento raggiungeva esiti assolutamente convincenti e in un certo modo più affascinanti. È pur vero che T.E.L. rappresenta una tappa di un progetto in divenire e che vede il 2013 l’anno di conclusione definitivo: lo sforzo è sempre teso a cercare altri linguaggi, diversi piani di lettura della realtà, con un occhio di riguardo per la sperimentazione in senso stretto del termine, e questo , forse, è un po’ il limite del lavoro presentato, rispetto all’indagine complessiva. Chiara Lagani offre un’intensa e sofferta partecipazione anche fisica fino allo stremo delle forze, sussultoria nei fremiti che scuotono il suo corpo, costretto a “subire” stimoli di persuasione fino ad arrivare a un condizionamento ipnotico, alla sua resistenza ad un ordine superiore, ad una geometria che non permette di uscire da un confine virtuale quanto claustrofobico.

       
       
       
     

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