Rassegna stampa - Spettacoli
       
      Aqua Marina
       
     

Rodolfo Sacchettini, Stanze vuote, nel buio. La sfida di Fanny & Alexander

Andrea Nanni, Nabokov: passioni incestuose ai confini della letteratura

Maria Grazia Gregori, Aqua Marina

Piersandra Di Matteo, Aqua Marina

       
       
    Stanze vuote, nel buio.
La sfida di Fanny & Alexander
      Rodolfo Sacchettini, Lo Straniero, maggio 2005
       
     

Si aggiunge un'altra tessera al mosaico del gruppo ravennate Fanny & Alexander. Dopo Ardis I, Ardis II e aperture musicali, il progetto Ada (dall'opera di Nabokov) si arricchisce di una nuova visione. Aqua Marina (la prima al Teatro Goldoni di Bagnacavallo) succede alle tappe precedenti, ma va a recuperare le origini della storia, perse nelle vicende dolorose delle due gemelle, Aqua e Marina (innamorate dello stesso uomo Demon/Marco Cavalcoli), che sono le madri, una falsa e una vera, dei due protagonisti del romanzo: Ada e Van (fratelli/cugini).

Dentro a un classico teatro all'italiana il pubblico è invitato ad entrare munito di un kit di sopravvivenza contenente le indispensabili avvertenze per lo spettacolo, una matita per risolvere crittogrammi e una pillola bianca e rossa (allucinogeno/suicidio?). Il sipario è chiuso. E quando si apre è solo per un attimo, il tempo di un conto alla rovescia luminoso che dà inizio al c-e-r-a-u-n-a-v-o-l-t-a, scandito lettera per lettera da faretti luminosi. L'architettura immobile e immutabile del teatro accoglie un lavoro che sembra non iniziare mai. La profondità della scena viene subito negata dalla ostinata chiusura del sipario che pare segnale inequivocabile sull'impossibilità di iniziare lo "spettacolo". Si affaccia Aqua (Chiara Lagani) mostrando di volta in volta i piedi, le mani, accovacciandosi a terra e accarezzando un orsacchiotto. Dalle pieghe del sipario emergono altre mani, la figura di Marina (Francesca Mazza) vestita di bianco, delle bolle di sapone, presenze e oggetti che vengono velocemente risucchiati all'interno, nello spazio negato alla visione. Da soglia magica il sipario assume sempre più i contorni del muro invalicabile dove lo sguardo, appiattendosi, non può far altro che giocare a nascondino, come tra le tende di casa, alla ricerca di una chiave di accesso o di una serratura da cui spiare.

È chiaro fin da subito che il cuore nero della storia risiede in un mistero da scoprire, in un segreto da svelare. E il pubblico, se accetta il patto della scena, deve prendersi la responsabilità di quello che guarda. Deve alzare la soglia di attenzione per cogliere e carpire indizi prove codici cifrati di cui lo spettacolo è pregno. Anche se la vicenda procede in modo apparentemente semplice susseguendosi in un matrimonio, un tradimento e un parto (di fantasia, come ammonisce il crittogramma luminoso), è intorno a una domanda che ruota - almeno in superficie - tutto lo spettacolo: chi è la madre di Van? Ma il punto interrogativo solo in parte è riferito all'intreccio della storia, perché l'impressione più forte è che Aqua Marina non sia altro che una storia di domande composte attraverso gesti suoni crittogrammi…

L'enigma della storia non è semplicemente raccontato, ma è come fosse il diaframma stesso attraverso il quale la visione prende corpo. Come in Spider di Cronenberg è lo sguardo schizofrenico a raccontare la storia di uno schizofrenico, così in Aqua Marina è attraverso il cervello alienato di Aqua che leggiamo le vicende di un'alienazione. E tutto ciò che di semplice si affaccia sulla scena si mostra infine come immagine crettata e criptata. È come se ogni gesto, dialogo, segnale luminoso o presenza musicale rimandasse continuamente ad altro e si aprisse a sconosciuti riferimenti. Anche se è un ri-ferirsi continuamente (al nulla), esattamente come quando il sipario - aprendosi - non fa che svelare un ulteriore sipario nero e poi un altro ancora, fatto di suoni gesti parole. Aprire il sipario allora è come sfondare una porta aperta. Impossibile se non a costo di precipitare nel nulla.

Dopo Ardis II che metteva in scena il fallimento del linguaggio nell'ipertrofica esposizione dell'intelligenza, Aqua Marina appare ora soprattutto come una regressione e non solo nella storia raccontata. L'obiettivo è ritratto nel cervello di Aqua ed è il sistema delle connessioni a essere attraversato come unico tracciato possibile dove le "parti" e le "parzialità" della scena acquistano senso. Se la scena si mostra come tessuto nervoso, è anche vero che tutto appare immerso in uno strano liquido amniotico, che vela gli occhi ma apre le orecchie, come nella gestazione, come nello stato uterino, dove è il suono, sovvertendo le leggi della fisica, ad arrivare prima della luce. Siamo dentro a un cervello, ma siamo anche dentro a un utero perché Aqua Marina è continuamente bagnata e accompagnata dal sonoro sgocciolio dell'acqua e perché è una liquida vertigine che traccia sull'obiettivo della storia le lacrime o i sentieri della malattia.

Il dolore e il malessere della scena, come una cifrata richiesta di aiuto, giungono direttamente in braccio allo spettatore che, nell'ansia dello svelamento, si trova tra le mani un sistema di scatole cinesi, dove la condanna al vuoto prende corpo nella presenza di elementi della scena (sipario, gesti, luci, parole, suoni) che appaiono davvero come uno specchiarsi continuo di superfici, dove il dissolversi di una superficie sull'altra, non fa altro che aprire continui e dolorosi buchi neri. E se l'occhio precipita risucchiato dalla scena è solo per perdersi ancora una volta nella superficie del linguaggio.

Aqua Marina, come tutto il progetto Ada, è prima di tutto una sfida che Fanny & Alexander lanciano al teatro. In tempi di omologazione e ritorni all'ordine prendersi il rischio di una riflessione seria sul teatro è scelta rara, ma è anche l'unica possibile per non morire. Dietro le pieghe del sipario si cela l'o-sceno, getti lo sguardo nel buio e ti accorgi che la stanza è vuota, che tutto è visibile e che non c'è nulla. Ti giri intorno per il teatro, come in Ferro 3 di Kim Ki-Duk, e senti che l'o-sceno ti respira sul collo. Allora capisci che sta nell'ombra del tuo sguardo, in quei centottanta gradi - piatti come la morte - di follia e di invisibile che non potrai mai penetrare.

       
       
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      Andrea Nanni, Hystrio n. 2, 2005
       
     

Prosegue, avvicinandosi ormai al compimento, l'itinerario nabokoviano intrapreso circa due anni fa da Fanny & Alexander tra le pagine di Ada, metaromanzo che celebra la passione incestuosa tra Ada e Van, ufficialmente cugini in verità fratellastri, frutto delle relazioni - una coniugale, l'altra adulterina - di uno stesso uomo (Demon) con due donne (Aqua e Marina, sorelle l'una dell'altra). Ed è proprio questo triangolo - assunto da Nabokov come antefatto nei primi tre capitoli del libro - a essere portato (ma non messo) in scena dal gruppo ravennate in Aqua Marina.

Rimane infatti allusivo e frammentario, pur trovando rispetto ai precedenti episodi una più distesa vena narrativa, il fraseggio scenico che scandisce con soave e feroce precisione la deriva esistenziale del triangolo amoroso in questione. Realizzato con esemplare (e di questi tempi sempre più necessaria) economia di mezzi, lo spettacolo si impone per la scabra intensità con cui evoca passioni e ossessioni, misurandosi con inedita immediatezza con la materialità della pratica scenica. In particolare il respiro, ritmico e lirico, del sipario - diaframma che svela e nasconde ma anche placenta che nutre la visione - contribuisce a trasformare l'intero teatro in uno spazio mentale in cui si insinuano echi shakespeariani, fiabeschi e mitologici. Al mito fa certo pensare il Demon di Marco Cavalcoli, ritratto come un angelo caduto con movenze da centauro, mentre l'Aqua di Chiara Lagani ha il candore di un Pollicino al femminile che, nell'impossibilità del lieto fine, dissemina di barbiturici il sentiero che, attraverso la platea, la conduce alla morte. Infine la Marina di Francesca Mazza gioca col ruolo della seconda donna, sorella e attrice crudele, pronta a calarsi nei panni di Ofelia in uno struggente cammeo rubato al repertorio di Leo de Berardinis, maestro apparentemente lontano dalla generazione '90 e qui invece esplicitamente chiamato in causa (non solo per la diretta citazione). Non stupisce che ben presto - se, come sottolinea Nabokov stesso, "il cervello dell'uomo può diventare il miglior luogo di tortura fra tutti quelli da lui stesso inventati" - il luogo mentale creato da Luigi de Angelis assuma i connotati di una clinica psichiatrica in cui i volti di Demon e di Marina si sovrappongono, nello sguardo di Aqua (che sembra coincidere con il nostro di spettatori), a quelli del medico e dell'infermiera che la tengono reclusa. In un calibrato gioco di equilibri, ad aeree crittografie luminose (enigmistico trait d'union con il precedente Ardis II) si succedono crudi lampi di realtà e squarci visionari intrisi di sensualità, mentre i Canti del Capricorno di Giacinto Scelsi accompagnano con estatica e tellurica pertinenza questo viaggio in bilico tra ardore e follia.

       
       
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      Maria Grazia Gregori, www.delteatro.it, 11 aprile 2007
       
     

Gioco teatrale e, come tale, gioco del travestimento, dell’identità, della trasgressione e della ricerca di se stessi lo spettacolo Aqua Marina nasce dal romanzo Ada o dell’ardore di Vladimir Nabokov (autore del celeberrimo Lolita), al quale si sono liberamente ispirati Chiara Lagani e Luigi De Angelis, fondatori di Fanny & Alexander di Ravenna, uno dei gruppi maggiori del teatro di ricerca italiano, per la prima volta in scena al Piccolo Teatro Studio. Dove è stato anche presentato il libro Ada, romanzo teatrale per enigmi in sette dimore, edito da Ubulibri, che racconta il loro viaggio dentro Nabokov e dove hanno presentato anche altri due frammenti del loro lavoro, Ardis I e Ardis II.

Ispirato nel nome a uno dei film più celebrati e misteriosi di Ingmar Bergman, Fanny & Alexander porta avanti ormai da tempo e con importanti tournée anche all’estero, un modo di fare teatro che nasce sì dall’immagine ma mai fine a se stessa: quello del gruppo ravennate infatti, è un teatro sofisticato e allusivo a più direzioni dove si mescolano musica, canto, coreografia, uso del corpo, recitazione e un approccio originale allo spazio.

Aqua Marina è la storia di sue sorelle gemelle, Aqua e Marina, del rapporto non facile fra di loro e dell’amore di entrambe le donne per Damon, marito di Aqua e amante di Marina nonché padre a tutti gli effetti di Ada e di Van, protagonisti degli altri capitoli di questo lavoro: fratelli e amanti incestuosi come racconta Nabokov. Una storia costruita per enigmi così cari all’autore, come del resto le sciarade, i rebus e le crittografie, che si sviluppa come un thriller nel quale siamo chiamati a indagare.

Vertiginosamente romanzesca e mentale la storia delle due sorelle si gioca sul filo del rasoio come un’invenzione della mente, che trova proprio nella forma del teatro la sua epifania. Ecco dunque un maestoso sipario di velluto rosso e oro, da cui spuntano dei piedi che hanno una voce, che cominciano a raccontare una storia sostenuta da un movimento che non vediamo ma che intuiamo coinvolgere tutto il corpo. Diaframma della visione e simbolo teatrale, il sipario si ripete in modi diversi lungo tutta l’azione, magari fatto di semplice plastica. Invitato a penetrare al di là di quel sipario per vedere ciò che realmente avviene e di cui solo in certi momenti si ha una visione completa, lo spettatore di trasforma nel detective della storia, che voci fuori campo gli raccontano mentre sotto i nostri occhi, guidati da scritte luminose che danno il luogo e il tema dell’azione, si materializza il labirinto mentale o piuttosto il delirio di un amore, di una malattia che condanna all’isolamento, a quel luogo di contenzione e di cura dove Aqua cerca di guarire la propria mente.

Le immagini e l’interpretazione di Marco Cavalcoli, Chiara Lagani e Francesca Mazza, ci rimandano piccoli squarci di vita, frammenti di storie, fra borbottio di voci e canti, lasciando volutamente ed esteticamente sospesa la vera conoscenza alla quale lo spettacolo e gli spettatori anelano.

       
       
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      Piersandra Di Matteo, Exibart.com, 14 marzo 2005
       
     

Sconfinamenti dentro/fuori il teatro per Fanny & Alexander. Attraverso budelli e pertugi che conducono da Vladimir Nabokov a Leo de Berardinis passando per Magritte, la compagnia ravennate torna a confondere le acque. Ed a concepire spaesamenti e vertigini…

Continua la saga dei Fanny & Alexander intorno al romanzo Ada o ardore di Nabokov. Abbandonate le passioni e i deliri di Ada e Van, i due fratelli/cugini compromessi in un amore incestuoso, è la volta di Aqua Marina, il nuovo dei sette episodi del progetto Ada, cronaca familiare ideato da Luigi de Angelis e Chiara Lagani. Ogni arredo scenografico sembra rimosso. Aqua Marina è un’opera di sfondamento. Muove dalla presa d’atto di uno scacco. L’artificio penetra le convenzioni sceniche e le lascia in balia di un varco: il sipario.
La vicenda di Aqua e Marina, le madri gemelle di Ada e Van innamorate entrambe di Demon, si compie fra le ondulazioni spesse del sipario. In un andirivieni sistolico-diastolico, la quarta parete si svasa, mostra le estremità dei personaggi, i piedi. La loro danza. Dalla ferita centrale del sipario fuoriescono gambe e mani, bolle di sapone e peluche parlanti. Ancora sezioni del corpo. La parete in quanto confine, barriera limitante è il luogo di confronto-scontro in cui solo possono convergere le azioni: la malattia di Aqua, il tradimento di Marina, il parto delle due donne, la sostituzione dei bambini (?). La parte superiore del corpo non scompare. Esiste, ora come traccia sul sudario pesante del sipario di velluto e dei suoi pennacchi di grogrè, ora sezionato dal telo nero del fondale, ora come schizzo del terzo sfondo scuoiato in macchie di colore.
Oltre il sipario un ospedale: un divaricatoio ostetrico, una lambada da sala operatoria. Ma l’aspetto patologico e morboso rinviene nell’insistenza delle ripetizioni: il sipario si apre, si chiude, si apre ancora. Marina primattice interpreta se stessa e la sorella. Aqua si vuole sottrarre alle cure, l’infermiera e il dottore la inseguono, e lei si sdoppia nel suo orsacchiotto consolatore. Una progressione senza esiti e senza ritorno. Uno stato ipnotico assecondato dal tessuto sonoro che vive nell’ambiguità tra il registrato e il trasmesso dal vivo. I frame scenici, dettati dall’apertura-chiusura del sipario, sono didascalicamente scanditi dal box di quarzine che campeggia sulla testa degli attori: le lettere M-A-T-R-I-M-O-N-I-O, un cuore, una croce per la festa nuziale di Demon e Aqua. Il quadretto-reclame da cornetto Algida rivela l’adesione, deliberatamente ingenua e cinica, alle seduzioni dell’universo stereotipato dei mass media.

Aqua Marina vive nell’atteggiamento appagato di un’esibizione tutta di superficie in cui la visionarietà deve passare attraverso un onirismo posticcio di teloni trasparenti tirati su corridoi di filo di ferro a vista. Teatrini infantili che mimano quelli dei grandi (certe trasparenze della Socìetas Raffaello Sanzio da Oreatea a B.#04 Berlin). Nello stesso intervallo si inscrive la citazione, quella dichiarata al maestro Leo de Berardinis, alla Ofelia del suo memorabile Principe di Danimarca, o la parodica sintesi futurista di uno sparo improvviso che non necessita più neppure dell’apertura del sipario. Gioco smascherato del teatro che si confronta con se stesso. I giochi, come sempre per i Fanny & Alexander sono aperti. Armati con il proprio Kit di sopravvivenza (consegnato all’ingresso), al pubblico non resta che aspettare la prossima mossa.

       
       
       
     

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