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K.313 | |||||||||
da "Breve canzoniere" di Tommaso Landolfi. Recital letterario | |||||||||
Lorenzo Donati, Da Oz al terrorismo i segni dell'arte nella società Andrea Monti, K.313 Pierfrancesco Giannangeli, Landolfi messo in scena da Fanny & Alexander Francesco Rapaccioni, L'impossibile comunicare Nico Garrone, Un dialogo sulle bombe: gli amanti notturni di K.313 Paola Di Felice, K.313 Katia Ippaso, "K.313", l'orrore è un discorso che veste in abito da sera Franco Cordelli, I versi degli amanti-terroristi Simona Spaventa, Il teatro spericolato di Fanny & Alexander |
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Da Oz al terrorismo i segni dell'arte nella società | |||||||||
Lorenzo Donati, Hystrio n. 2, aprile-giugno 2008 |
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Quando una società mette a fondamento dei suoi luoghi di potere la produzione di immagini, è lecito domandarsi quale spazio o ruolo possa ritagliarsi l'arte nel dominio dell'immaginazione. Se il confine fra realtà e finzione è diluito in un presente mediatico, viene il sospetto che siano paradossalmente poche le immagini che ci circondano, perché quelle in circolazione sono consumate, già servite con una corrotta e univoca decodificazione. Da qui potremmo partire per avvicinarci a due lavori di Fanny & Alexander, due rivoli produttivamente meno impegnativi rispetto agli ultimi Dorothy. Sconcerto per Oz e Amore (2 atti). Al Nobodaddy di Ravenna si sono visti insieme, nella forma del dittico, due spettacoli apparentemente antitetici eppure percorsi dalla stessa tensione. K.313, tratto dal Breve Canzoniere di Tommaso Landolfi,si apre con due attori, uomo e donna, che preparano la scena disponendo pochi oggetti su un tavolino. Una videocamera li rimanda sul grande schermo alle loro spalle, in un bianco e nero che rievoca la sgranatura dei video dei terroristi. Indossati dei passamontagna e seduti al tavolino, inizieranno un dialogo sulla poesia che scivola di continuo in una discussione amorosa, una richiesta dell'uomo di giudicare principi, sonetti e lettere che si risolverà in un'indagine sulla vita e sul linguaggio, spinto verso una «divina inconcludenza» come la musica di Mozart del titolo. Him pare un tentativo in questa direzione, e quello stesso schermo ora proietta il film Il mago di Oz di Victor Fleming del 1939. Sotto alle immagini sta un attore in ginocchio come dirigendo un'orchestra, impegnato a doppiare tutti i personaggi, dalla bambina Dorothy all'uomo di latta, dalla strega cattiva fino al ciarlatano mago di Oz. Ma c'è un dato ancora più evidente a unire i due lavori, ed è la scelta delle icone che veicolano il racconto: Marco Cavalcoli/Him dà voce al film nei panni di un Hitler bambino, citazione di un'opera di Maurizio Cattelan, mentre i dialoganti di K.313, sul finale, reclinano il capo evocando l'episodio del sequestro del pubblico al Teatro Dubrovka di Mosca da parte di terroristi ceceni. Perché il trascinante doppiaggio viene eseguito da una figura di morte? Come mai il precedente dialogo d'amore e d'arte si raggela citando la cronaca? Dopo la visione di questo dittico, ci accorgiamo che non sappiamo come maneggiarle, queste immagini, non possediamo nessuna etichetta pronta per archiviarle. Rimangono sospese, poi affondano con fastidio nel nostro bagaglio di codici interpretativi, infine, come un guizzo, riemergeranno insieme alla questione iniziale sul ruolo dell'arte in questa nostra società. |
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K.313 | |||||||||
Andrea Monti, TeatroTeatro.it, aprile 2008 |
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Due attori prendono in ostaggio il cervello del pubblico costringendolo a combattere con le immagini evocate dalle parole, contornate dai costumi, replicate dalla telecamera infrarossi e quelle imposte dalla memoria. Si torna al 2002, quando un gruppo di ceceni entra in scena durante uno spettacolo nel Teatro Dubrovka di Mosca. Il loro gesto drammaticamente disperato e irriverente mostra rispetto nei confronti dell’arte teatrale, animata da stravolgimenti, arricchita dalle sorprese, inarrivabile quando riesce a lambire la morte rappresentando lo smarrimento. Con la stessa dedizione alla perdita, Marco Cavalcoli e Chiara Lagani si abbandonano ai versi di Landolfi, sfiorano le figure che lo scrittore tratteggia, credono alla sua capacità di condurli verso l’oblio senza accennare resistenza alcuna. Trovato il loro mentore, come terroristi, lasciano brandelli di messaggi accompagnati dalla musica di Mozart che sale col flauto e non con il corno. Sullo sfondo ancora uno schermo dove sgranate appaiono le immagini dei due erranti amanti in cerca di una via d’uscita dalla trincea nella quale sono costretti a rifugiarsi una volta persa la capacità di comunicarsi amore. Forse uno scrive e l’altra commenta. Forse chi commenta è lo stesso che scrive, come Penelope disfa ciò che tesse, come l’artista distrugge ciò che più rivela la perfezione e l’impossibilità di raggiungerla più di una volta. Luigi de Angelis, in cerca di annullamento, gioca con la tecnologia passando da vecchie audio cassette a flash pronti a regalare sprazzi di ribalta a chi trapassa. La voce registrata, le immagini in diretta con un’angolatura diversa, il volume della musica che varia a seconda della posizione del microfono insomma tanta vecchia tecnologia a rendere caldo un ambiente apparentemente neutro, una recitazione a levare, un’astrazione ricercata da Cavalcoli quando stende le gambe rilassandosi, dalla Lagani quando accende sigarette, da entrambi quando si affidano ai dadi. In assenza di azione e di toni che vivifichino gli interpreti, la strada dell’annullamento risulta evidente fin dalle prime battute. In sintonia con il testo di Landolfi e la fine drammatica dei terroristi ceceni la luce degli interpreti si spegne lentamente, inesorabilmente scivola via la vita dalle loro muscolature, verso un rilassamento che aiuta il pubblico a soffermarsi sull’immagine indelebile di chi è entrato in un teatro e, per amore della propria terra, per follia, disperazione, idealismo o incapacità di sovvertire altrimenti le sorti di un popolo oppresso, lega la propria vita ad una bomba, che Monica Bolzoni riproduce come una scintillante borsetta. L’astrazione tanto evocata si impossessa del pubblico che naviga in oscure acque cullato da versi e musica ma costantemente messo in discussione da un’immagine da cui è impossibile affrancarsi. |
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Landolfi messo in scena da Fanny & Alexander | |||||||||
Pierfrancesco Giannangeli, Il Messaggero - Macerata, 9 aprile 2008 |
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Figura centrale, indipendente, originale della letteratura del Novecento, Tommaso Landolfi è l'oggetto di studio degli ultimi lavori della compagnia Fanny & Alexander. Dell'autore nato a Pico Farnese nel 1908 e morto a Ronciglione nel 1979, quest'anno si celebra il centenario della nascita e il gruppo ravennate, uno dei principali della ricerca italiana che si sviluppata all'inizio degli anni Novanta, porta in scena due suggestioni che dai testi di Landolfi partono: si intitolano K.313 e Amore. Gli spettacoli saranno in scena questa sera e domani al cineteatro Italia e al Teatro Lauro Rossi di Macerata, con inizio alle ore 21. La permanenza in città della compagnia sarà accompagnata anche da due incontri: il primo si svolgerà stasera al termine dello spettacolo all'Italia, con il giovane critico Rodolfo Sacchettini, l'altro verrà ospitato nell'auditorium Svoboda dell'Accademia di Belle Arti (via Berardi, 6) domani mattina alle ore 11.30. Tommaso Landolfi è uno scrittore affascinante, dalla lingua ricercata e barocca, gotica e grottesca. Anche la sua vita si è dipanata interamente fuori dai circuiti, tra la casa di Pico Farnese e Roma, dove però lo scrittore si è sempre tenuto assai lontano dai salotti che contavano. I velluti preferiti da Landolfi sono stati invece quelli dei casinò di Sanremo e Venezia, dove ha assecondato la sua passione per il gioco e dai quali, probabilmente, ha tratto ispirazione per l'universo umano che ha riempito i suoi scritti. Nei due testi in scena a Macerata si parla di amore. K.313 è interpretato da Marco Cavalcoli e Chiara Lagani, la regia è invece di Luigi de Angelis. L'ambientazione è quella del teatro Dubrovka di Mosca, dove un commando ceceno nel 2002 prese tragicamente in ostaggio gli spettatori di un musical. Le parole sono quelle di due amanti "impegnati - si legge nelle note - in un dialogo utopico che diventa riflessione sul linguaggio amoroso quale lingua impossibile, disintegrata e disintegrante." L'altro testo, Amore, è invece ispirato alla Piccola apocalisse di Landolfi, sempre con Cavalcoli e Lagani. In un grande caffè straniero un poeta annuncia l'apocalisse, prima di essere rapito da una sconosciuta "in un vortice di immagini e suoni, verso una nuova lingua della sensazione, della sinestesia e dell'emozione". La misteriosa figura alla fine scomparirà, lasciando il regalo del sogno. |
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L'impossibile comunicare | |||||||||
Francesco Rapaccioni, teatro.org, 11 aprile 2008 | |||||||||
Alimentato da infinite suggestioni letterarie, il sofisticato discorso narrativo di Tommaso Landolfi verte soprattutto sull'incontro-scontro fra istinto e ragione, fra inconscio e consapevolezza, registrato con ironia e controllato lirismo. Rinnovando continuamente la propria attenzione per gli uomini e le cose quotidiane, osservate con sguardo straniato, Landolfi ha elaborato una poetica della “paura” umana di fronte al misterioso e al paradossale del mondo. I lavori di Fanny & Alexander, oltre che disturbare di proposito lo spettatore, suscitano sconcerto e turbamento ma aprono nuovi sentieri, finora non esplorati, che vale la pena di percorrere, di capire, abbandonando i propri codici mentali ed espressivi, gli schemi sociali e culturali, le lingue parlate e conosciute, le memorie pregresse, persino il controllo di se stessi. In “K.313” due amanti dialogano, in un sottile gioco al massacro, sulle opere letterarie di lui, alternando sonetti e lettere ai loro commenti. Un mangiacassette riproduce musica di Mozart, da cui il titolo. Presto risulta chiaro che quello vissuto in scena dalla coppia non è un amore “per mezzo delle” parole ma un amore “per” le parole, che vengono messe in gioco lasciando intendere, come spesso in Landolfi, che tutto il discutere finirà con il dover rispondere ad altre domande, più sottili, più affilate, più penetranti. La drammaturgia intende ricreare il meccanismo intrinseco del testo utilizzando un apparato che traspone l'azione scenica altrove, confondendo le coordinate degli spettatori. Infatti le maschere da terroristi e la telecamera a raggi infrarossi che riprende la scena e la proietta alle spalle degli attori danno un senso di angoscia e aggiungono straniamento, quasi sconcerto. Il pubblico coglie i riferimenti più legati all'attualità ed al contesto abituale, finendo per guardare più lo schermo che gli attori. Il finale introduce una dimensione onirica esaltata dalle luci che si abbassano, dopo il realismo crudo dell'inizio. “Ciò che conta non è fare il verso alle armonie, ma raggiungere quella divina inconcludenza. Amico, amato, taci: cosa ci resterà?” In “Amore (due atti) gli spettatori vengono introdotti in una camera claustrofobica in cui un uomo, assaporando miele, accarezza un bianco agnellino al quale annuncia l'apocalisse della società e dell'arte; i rumori di sottofondo situano l'azione in un ristorante. Poi entra una donna (“finalmente ti ho trovato”, ma si è nel buio più assoluto), “siamo oppressi da una pena, forse la stessa: usciamo per una passeggiata”, dice e il registro cambia. Sopra la testa degli spettatori si apre una finestra con nuvole e cielo azzurro, mentre una guida turistica descrive in inglese i monumenti di Ravenna. Landolfi dà l'idea dell'utopia di una lingua impossibile o dimenticata. E l'ipotetica distruzione di ogni codice di riferimento è esemplificato dalla scenografia, una stanzetta senza uscite luci stroboscopiche o buio assoluto cogli spettatori affrontati e stipati. D'altra parte che c'è di più convenzionale che il linguaggio? (Piccola apocalisse). Però, eliminando un linguaggio agganciato a codici conosciuti, che cosa resta? (Breve Canzoniere). Si arriva alla fine affannati, turbati, ma eccitati, come dopo essersi arrampicati in cima alla torre di Babele. “Attenta, Madama, le vostre scarpine” dice l'uomo. E fuori dalla porta due scarpine e un cartello che mette in guardia D su quali estremi si possa raggiungere seguendo le intemperanze dell'immaginazione. Il racconto continua nel mondo di Oz insieme a Dorothy e alle streghe. Il viaggio continua. |
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Torna ad inizio pagina | Un dialogo sulle bombe: gli amanti notturni di K.313 | ||||||||
Nico Garrone, La Repubblica - Roma, 17 aprile 2008 |
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Presi in ostaggio dalle seduzioni luciferine del "Breve canzoniere" amoroso di Tommaso Landolfi. Nella penombra prossima al buio della notte, alla definitiva cancellazione, due amanti o due attori, Chiara Lagani e Marco Cavalcoli, vestiti con i passamontagna e le cinture esplosive in versione elegante dei terroristi ceceni uccisi durante l'attentato al Teatro Dubrovka di Mosca, fanno esplodere la girandola finale delle loro parole contrappuntate dalle note del concerto "K.313" di Mozart, titolo scelto anche per questo recital letterario. Li vediamo su un grande schermo ripresi live da una telecamerina armeggiare con microfoni e lettere; ascoltiamo catturati quel dialogo crepuscolare stanco e leggero come l'anima di Landolfi... |
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Torna ad inizio pagina | K.313 | ||||||||
Paola Di Felice, il grido.org, 17 aprile 2008 | |||||||||
K.313 è sia un Concerto per Flauto e Orchestra di Mozart, nume tutelare e modello retorico invocato per tutto lo spettacolo, ma anche il titolo di una delle opere più feroci di Tommaso Landolfi. Lo spettacolo in scena al teatro Vascello di Roma, ha un duplice andamento. Se da una parte campeggiano le parole rarefatte e profondamente intime declamate dalla coppia in scena, dall'altra la ricercatezza degli abiti scintillanti, dei passamontagna e della borsetta esplosiva evocano il ricordo atroce del massacro del 2002 al teatro Dubrovka di Mosca, quando un gruppo di terroristi ceceni prese in ostaggio gli spettatori. Naturalmente a teatro nessuno è preso in ostaggio, eppure lo stridere tra linguaggio sofisticato ed impalpabile e le crude immagini della telecamera a raggi infrarossi che riprendono live i due interpreti (Marco Cavalcoli e Chiara Lagani), generano straniamento. Un effetto che volutamente disorienta il pubblico, per condurlo ad un approccio critico nei confronti della letteratura e dell'AMORE, che da sempre ispira la poesia. Il "supremo fiore dello spirito" trova in questo recital letterario un'insolita rappresentazione teatrale, che oscilla tra la brutalità delle pagine più nere della storia contemporanea e la dimensione altra ed eterea della poesia; il tutto è sovrastato dai violenti scatti di flash luminosi che interrompono il dialogo, mostrando gli attori come corpi riversi sulle sedie e richiamando alla memoria le angoscianti immagini di ostaggi a cui siamo purtroppo avvezzi. Ancora una volta la compagnia Fanny & Alexander si cimenta in una riduzione teatrale sperimentale, dedicata a un pubblico dal palato raffinato che ama confrontarsi con le contraddizioni ed il senso di ricerca del teatro e dell'arte in genere, senza mai risultare auto celebrativa o ridondante. |
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Katia Ippaso, Liberazione, 11 maggio 2008 | |||||||||
Può un abito diventare performance teatrale esso stesso? Può, con l’aggiunta o la sottrazione o la metamorfosi di qualche sua parte, arrivare a nominare qualcosa di molto intimo, il punto in cui il terrore fa spettacolo di sé nel tempo angosciante dell’attesa? Ad osservare il costume di scena - scena minimale, fioca, irriducibile se non a se stessa - “abitato” da Chiara Lagani in K.313, il nuovo spettacolo di Fanny e Alexander, si direbbe di sì: un vestito da sera disegnato dalla stilista d’avanguardia Monica Bolzoni diventa, con i suoi buchi e i suoi lembi componibili, divisa da terrorista. Come “accessorio” una borsetta luccicante carica di esplosivo. Dietro c’è uno dei più grandi misteri di questo inizio millennio: il sequestro di 850 spettatori del Teatro Dubrovka a Mosca da parte di 40 militanti armati ceceni che il 23 ottobre del 2002 interruppero la messa in scena di un musical ambientato ai tempi di Stalin (come raccontarono i sopravvissuti, ci furono momenti in cui i terroristi con le armi puntate sul pubblico furono scambiati per attori): dopo quattro giorni di assedio, le forze speciali russe Osnaz pomparono un misterioso agente chimico all’interno del sistema di ventilazione. In un modo che ancora oggi risulta incomprensibile, nella sua drammaturgia onirica in cui il potere vero marcava i confini di un altrove, morirono in quei giorni freddi d’ottobre non solo i ceceni ma 129 ostaggi. Se rivediamo oggi le immagini di quell’assedio, entriamo in uno stato di ipnosi: l’ambientazione teatrale, gli spettatori accasciati sulle sedie, sempre più apatici, alcuni già disposti a morire, le aspiranti kamikaze che si siedono vicino a loro e parlano, parlano di arte, della condizione della donna nell’Islam, parlano e aspettano. Fino alla morte nel sonno, con i liberatori che diventano gli assassini. E’ forse proprio per la sua metafisica teatrale, per la scrittura su corpo della follia umana al lavoro, che Fanny e Alexander hanno pensato di tenere l’assedio del teatro di Mosca come immagine subliminale di un lavoro delicatissimo, che porta la musica e la letteratura nel ventre. Con le note di Mozart, K.313 spara sul pubblico (sì, spara), un’opera intima e controversa. Letteralmente, sarebbe un recital. Le parole sono di Tommaso Landolfi, voce irriducibile, straniante, della nostra più alta letteratura. L’opera in questione è Breve canzoniere. Un frammento di dialogo che è umanamente impossibile spostare da dove è, tanto è millimetrico il movimento che va dall’uomo alla donna e all’uomo ritorna, in un match alchemico, spinoso, per sua natura refrattario ad ogni parafrasi. Con una partitura/dettatura di voci sottili, Marco Cavalcoli e Chiara Lagani (diretti da Luigi De Angelis) hanno saputo entrare in quella stanza privata come se tutta la vita non avessero frequentato altro. Di per sé, trovare la sonorità giusta per la condizione angosciata di questo breve canzoniere è già un piccolo miracolo. Ma Fanny & Alexander hanno fatto molto di più. Hanno cercato il punto di fusione tra letteratura e crimine, attraverso il teatro, con l’aiuto di Monica Bolzoni, fashion designer indipendente, voce fuori dal coro, che nel passato ha firmato con i suoi segni di terra le performance di Vanessa Breecroft. L’uomo e la donna che si preparano a bucarsi l’anima confrontandosi su alcuni scritti incompiuti, si vestono sotto gli occhi dello spettatore con abiti eleganti, come se dovessero andare a teatro. L’uomo si sente un fallito, e i commenti della ragazza sui suoi frammenti non fanno che mortificare ancora di più il suo ego. E’ un assedio reciproco (quanto è feroce dirsi la verità), che lo spettatore può seguire fissando i due attori sul palcoscenico oppure le loro immagini catturate e sporcate da una telecamera a circuito chiuso. Con il passamontagna e l’esplosivo incollato alla pancia, Chiara e Marco sono contemporaneamente l’uomo e la donna di Landolfi inerpicati sulla dolorosa diagnosi della condizione umana, una coppia di spettatori e una coppia di terroristi che, non si sa come, non si sa perché, dilata all’infinito il momento del massacro. Ancora in vita, questi due personaggi tessono il lavoro della morte in una trama poetica che ha dell’incredibile, tanto è esatta la gamma delle emozioni convocate sulla scena teatrale. Nell’immagine grigia dei due incappucciati che registrano le loro stesse voci, come a cercare di fissare qualcosa che di per sé sfugge a qualunque spiegazione umana, c’è un enigma. Per lasciarlo parlare, si è scelto di togliere ogni colore, ogni spiegazione e ogni inflessione che potesse distrarre dalla paura stessa. E’ in quel preciso punto di luce “neutra” che si sono incontrati teatro e moda: “Il nostro è un neutro preciso, è un contenuto, è un momento, un’icona definita della storia del costume - dice Monica Bolzoni parlando con Chiara Lagani dopo una replica dello spettacolo -. Quest’immagine che abbiamo creato può diventare un’icona della paura e durare a lungo ma qui finisce, non è ripetibile. E’ un sentire mio che si collega ad un sentire vostro, a Landolfi, è un filo rosso che inspiegabilmente ci unisce. Io rappresento attraverso il vestito qualcosa che appartiene a tutti noi, interpreto uno stato d’animo”. K.313 riprenderà la tournèe a ottobre da Milano (Teatro Out Off). Ma sono tanti i segni del teatro di Fanny e Alexander che potremo intercettare quest’estate: Kansas (5-7 giugno al festival delle Colline Torinesi e il 12 e 13 luglio a Santarcangelo), Emerald City (11-15 luglio a Santarcangelo) ed East ( 26-28 luglio al festival Drodesera). |
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Franco Cordelli, Il Corriere della Sera, 3 agosto 2008 | |||||||||
Il regista Luigi de Angelis e la drammaturga Chiara Lagani (Fanny & Alexander) lavorano per serie. K.313 è, della serie dedicata a Tommaso Landolfi, il secondo spettacolo: debole come il primo, Amore. Ma nel primo c'era un'immagine forte, quella del suo interprete Marco Cavalcoli con un agnellino in braccio. L'immagine di K.313 è sopraffatta dalle intenzioni dei suoi autori. Già è complicato il punto di partenza, Breve canzoniere di Landolfi, un prosimetro che esibisce numerose caratteristiche: non solo, come è proprio del prosimetro, una miscela di prosa e versi; ma anche il restauro del sonetto (siamo nel 1971), come più tardi avverrà in libri di Zanzotto, Raboni, Bandini, Valduga; e una serie di incipit narrativi, come nel 1979 in Se una notte d'inverno di Calvino. Altra peculiarità, ripresa nello spettacolo: nel romanzo di Landolfi, se così lo vogliamo chiamare, non vi è che dialogo tra i due protagonisti, i due amanti; il loro problema, in fondo, è l'autenticità, ovvero la durata, del loro amore: che in altri termini è la durata, ovvero l'autenticità, del loro linguaggio: da cui lo sbocco finale nel concerto di Mozart che dà il titolo allo spettacolo. A complicare le cose c'è l'interpretazione, cioè la sovrapposizione visiva adibita da Monica Bolzoni che ha disegnato i costumi. I due interpreti, Cavalcoli e la Lagani, sono vestiti come i terroristi ceceni di Mosca nel 2002. Non solo. La loro immagine è raddoppiata in un film che scorre alle spalle dei dialoganti. Perché? Perché, secondo la Lagani, il linguaggio di Landolfi è a suo modo terroristico. A certificare la gratuità di questo accostamento c'è il modo in cui gli attori recitano - non caustico e sferzante, come in Landolfi, che fa del suo testo un'antifrasi del concerto K.313, e che dunque dà all'insieme un senso davvero critico, o moderno (non già "terroristico") - ma in modo quotidiano, feriale, come tra due amanti che siano sfibrati dal proprio amore, più che come amanti che il loro amore vogliano mettere alla prova di una parola conclusiva, quella che tende alla propria trasformazione in musica. Dice lei, verso la fine: "O vorresti davvero, oseresti sgomentare Mozart dalla sua tomba e porre i nostri ciechi balbettii sotto il suo santo patrocinio?" Più tardi, lui risponde: "Ciò che conta non è fare il verso alle armonie, ma raggiungere quella divina inconcludenza... Cara! quanto disadorno, il nostro proprio discorso, quanto avverso a ogni musica dell'animo come dei sensi; che parole irte, cupe, trite, logore, polverose, le nostre". Ecco, la Lagani e Cavalcoli, irriconoscibile rispetto all'attore maiuscolo, grandissimo che avevamo apprezzato in Him (della serie Il mago di Oz), letteralmente parlano con parole che risultano "irte, cupe, trite, logore, polverose", insomma opache e, per lo spettatore, sommamente noiose. Nel semibuio, ovvero nella semi-cecità delle bende e del "cinema", essi si siedono, si mascherano, si gingillano, finiscono per destituire di ogni fondamento e tragicità la scena. Con i loro costumi-maschere che, in quanto firmati, restano nel mero circuito linguistico-artistico-duchampiano, evocando costumi-travestimenti sobri e austeri fino alla morte, dovrebbero innalzare, come fosse necessario, al rango dell'autenticità dell'oggi il testo di ieri. Finiscono, al contrario, per annichilire il testo di ieri - e il suo sbocco nella gloria di Mozart - sprofondandoli nel "sistema della moda" evocato da Monica Bolzoni, o nella poltiglia del web, così spesso citato da Chiara Lagani. |
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Simona Spaventa, www.luxury24.ilsole24ore.com, 23 ottobre 2008 | |||||||||
In Aqua Marina avevano nascosto le attrici dietro sipari mutevoli, di plastica o velluto rosso, che lasciavano solo intuire i corpi e i movimenti, costringendo lo spettatore alla parte del detective o dell'involontario voyeur. In Vaniada il pubblico entrava in una sorta di imbuto stretto e buio, dove lo avvolgevano voci, suoni, perfino odori. È un teatro spericolato, in equilibrio tra performance, videoarte e installazione, quello dei Fanny & Alexander, compagnia (ma loro, Chiara Lagani e Luigi de Angelis, preferiscono definirsi "bottega d'arte") di punta della nostra ricerca già dagli anni '90, raffinatissimi alchimisti che mescolano linguaggi e allusioni senza indulgere al compiacimento, ma con rigore e necessità. Per questo, è una bella occasione quella che offre il Teatro Out Off di Milano (dove, peraltro, non capita così di frequente di poterli vedere), che dal 21 al 26 ottobre ospita due delle ultime creazioni del gruppo emiliano, tappe di due progetti distinti, uno sul Mago di Oz, l'altro su Tommaso Landolfi. Lavori diversissimi, eppure vicini per forza visiva e per l'uso di immagini sconvolgenti che vengono direttamente della cronaca e dalla storia recenti. In Him c'è un Hitler in ginocchio (omaggio a Maurizio Cattelan) che si ostina a doppiare bulimicamente tutti i personaggi, e perfino i rumori, del Mago di Oz, il film di Fleming del '39 con Judy Garland, proiettato alle sue spalle. Una prova estrema e sfinente per l'attore, Marco Cavalcoli, un gioco ironico e stupefacente per il pubblico, messo di fronte a una vertigine a prima vista senza senso, che pone domande scomode sul ruolo dell'artista e sul rapporto tra arte e potere. L'altro spettacolo si intitola K313 come la sonata per flauto e orchestra di Mozart, che aleggia distorta dai registratori di un uomo e una donna. Elegantissimi (gli abiti sono della stilista Monica Bolzoni) e glaciali, si scambiano le parole di amore impossibile del Breve canzoniere di Tommaso Landolfi. Nel frattempo, ripresi in diretta da una videocamera a infrarossi, indossano accessori inquietanti: una scintillante borsetta-esplosivo, dei passamontagna. E allora capiamo: sono i terroristi ceceni che nel 2002 presero in ostaggio il pubblico del Teatro Dubrovka di Mosca. Un "recital letterario" disturbante, che non concede sconti allo spettatore. |
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