Rassegna stampa - Spettacoli
       
      O - Z
      Dorothy. Sconcerto per Oz
       
     

Massimo Marino, Dorothy, la ragazza dell'uragano

Massimo Marino, Letti in platea al posto delle sedie. Così si aprono uragani di storie

Gianni Manzella, Un ciclone irrompe nel fantastico mondo di Oz

Rodolfo Sacchettini, Da “Dorothy” a “Him” le nuove direzioni di Fanny & Alexander

Andrea Monti, Dorothy. Sconcerto per Oz

Franco Quadri, Mille Dorothy per uno sconcerto

Franco Cordelli, Quel mago nel ciclone del Kansas

Giovanni Ballerini, Una boccata d'ossigeno, il teatro musicale

Erika Eramo, Dorothy. Sconcerto per Oz

Renato Nicolini, Lo "Sconcerto per Oz" di Fanny & Alexander è un mondo a parte

Alessandro Fogli, "Dorothy", teatro devastante

       
       

    Dorothy, la ragazza dell'uragano
      Massimo Marino, Il Corriere della Sera - Corriere di Bologna, 10 ottobre 2007
       
     

Nella platea del Teatro Comunale di Ferrara non troverete sedie: un centinaio di lettini accoglieranno spettatori e artisti mescolati, come gli sfollati in uno stadio prima dell'infuriare di un uragano. In questa scena, circondata da neon colorati, apparirà Dorothy, la ragazzina del romanzo Il mago di Oz di Frank Baum. Quella trasportata da un uragano in una meravigliosa avventura, verso la Terra degli Smeraldi in compagnia di uno spaventapasseri, un omino di stagno e un leone codardo. Dorothy. Sconcerto per Oz porta la sigla dei Fanny & Alexander, un gruppo teatrale che ama rivoltare in modo sorprendente opere letterarie ambigue e immaginose, come Alice di Carroll o come Ada di Nabokov. Scavano nei desideri, nei malori, nelle dolcezze e nelle perversioni dell'infanzia e dell'adolescenza con cicli dispiegati in vari episodi, che attraversano differenti forme spettacolari. Questa volta si confrontano con l'opera lirica e con l'immaginario del viaggio.

Lo spettacolo che debutta in prima nazionale stasera alle 21 a Ferrara è nato da una coproduzione con il festival Kampnagel di Amburgo e con l'Opera di Macedonia. In scena tre attrici, tre cantanti liriche, tre strumentisti e un piccolo insieme da camera diretto da Elena Sartori. Come in Europeras, il ciclo in cui John Cage giocava su materiali tradizionali del melodramma, le cantanti si manifestano in mezzo agli spettatori provando arie d'opera, in contrappunto con gli strumentisti. Le attrici, Fiorenza Menni, Francesca Mazza e Chiara Lagani, autrice anche della drammaturgia, declamano brani da racconti di Tommaso Landolfi, mentre un folle mitomane, nell'aspetto di un piccolo Hitler o di un mago (Marco Cavalcoli), ripete il sonoro del film con Judy Garland, credendo di poter dirigere quel coro di voci discordi. Chiara Lagani lo confessa: "Oz è una mia ossessione fin da bambina. E' un viaggio trafitto continuamente dalla nostalgia, un cammino negli archetipi".

Perciò, a questo primo assaggio, che annuncia e scombina la storia, seguiranno altri sei episodi in tre anni. Dalla casa nel Kansas si arriverà nel regno del Mago, dove tutto è illusione, passando per Nord, Est, Ovest, Sud, visitando non solo l'interiorità e i rapimenti dell'infanzia, ma anche il mondo, tra natura e devastazione, tra dittature e ricerca di antiche radici. Appariranno Pol Pot e Singapore, lo sciamanesimo, i nativi d'America, l'Africa e molto altro. Il progetto si realizzerà grazie alla coproduzione di festival italiani ed europei (tra gli altri, Santarcangelo). sempre con la regia di Luigi de Angelis.

       
       

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  Letti in platea al posto delle sedie. Così si aprono uragani di storie
      Massimo Marino, Il Corriere della Sera - Corriere di Bologna, 12 ottobre 2007
       
     

In Dorothy. Sconcerto per Oz di Fanny & Alexander il teatro è rivelato come macchina delle apparizioni, acceleratore di parole, suoni, immagini, memorie. Nella platea del Comunale di Ferrara siamo sistemati su lettini, come sfollati in attesa del ciclone che trasporterà via la casa della bambina protagonista del Mago di Oz di Baum verso pericolose e affascinanti avventure. In mezzo a noi, attori, cantanti e musicisti emergono come profughi che ingannano il tempo attaccandosi a parole del romanzo e di racconti di Landolfi, a frammenti di arie d'opera e ad atmosfere musicali barocche. Dal palco il bravo Marco Cavalcoli dirige questo discorde concerto doppiando il sonoro del film del 1939 ispirato al romanzo. Stridono certi scatti realistici delle attrici all'incrocio con materiali più raffreddati, sotto architetture di neon che registrano gli sbalzi emotivi. In questo viaggio intorno a una stanza gli autori aprono porte impreviste, sussurrandoci che una storia è un uragano che rimescola realtà e desiderio, nostalgia e gioco, necessità profonde e sfacciate simulazioni.

       
       
Torna ad inizio pagina   Un ciclone irrompe nel fantastico mondo di Oz
      Gianni Manzella, Il Manifesto, 14 ottobre 2007
       
     

Sulla platea svuotata dell'ultimo lavoro di Ronconi è comparsa una distesa ordinata di materassini, vagamente cimiteriale, fra cui stanno abbandonate in disordine tante scarpette rosse. E' la scena di Dorothy, sottotitolo "sconcerto per Oz", nuova produzione di Fanny & Alexander ispirata a Il mago di Oz e alla sua protagonista, anche se il nome femminile richiama agli occhi degli artefici quello di un ciclone. Sui materassini sta distesa una parte degli spettatori (gli altri sono nei palchi), che possono godere di una prospettiva inusuale del teatro Comunale e della vicinanza assai stretta delle nove interpreti, esse pure sistemate lì ma per poi alzarsi e percorrere tutta la sala secondo i percorsi disegnati da quella geometria.

Dopo il lungo percorso dentro il mondo nabokoviano di Ada o ardore, un nuovo progetto ha preso il via per il gruppo di Ravenna, e anche questo destinato a snodarsi a tappe in tempi e luoghi diversi. Un viaggio, qui diretto da Luigi de Angelis, verso un magico Oz che può rivelarsi alla fine solo l'invenzione di un attore. Dorothy è un montaggio di materiali incoerenti, una partitura a strati multipli che assume l'aspetto di una cerimonia stregonesca. Tre attrici (Chiara Lagani, Francesca Mazza e Fiorenza Menni) che si triplicano in tre soprano e altrettante strumentiste, provenienti dal teatro d'opera di Macedonia, identificate da abiti identici. E che danno corpo collettivo a tre streghe del sud, del nord e dell'ovest, in cui si riflettono tre personaggi femminili di Tommaso Landolfi. Un piccolo Hitler (citazione di un'opera di Cattelan)che isolato sul palco dirige con tocco musicale lo sconcerto che si produce davanti a lui, doppiando il sonoro del film di Fleming, musiche comprese. Neon che si accendono a intermittenza sulle pareti della sala. Un piccolo ensemble musicale, confinato in quel che un tempo era il palco reale. Le attrici danno voce e grida a frammenti dei racconti di Landolfi. Le cantanti accennano Un bel dì vedremo e Over the rainbow, ma nel tessuto sonoro di questa rumoreggiata ci stanno anche musica barocca e inno Usa, Scriabin e Delibes. Per covergere tutte, alla fine, nell'immagine a lungo esorcizzata, le trecce e il vestitino di Judy Garland, tirato fuori dalle scatole dell'Agenzia per i rifugiati. Con qualche sconcerto anche dello spettatore.

       
       
Torna ad inizio pagina   Da “Dorothy” a “Him” le nuove direzioni di Fanny & Alexander
      Rodolfo Sacchettini, VeneziaMusica nr. 18, settembre/ottobre 2007
       
     

Dorothy. Sconcerto per Oz di Fanny & Alexander ha debuttato a Skopje nel febbraio 2007. Arriva in Italia il 10 ottobre al Teatro Comunale di Ferrara. Si tratta di uno spettacolo di teatro musicale o scène lirique che comprende un’orchestra da camera, una pianista, un’oboista, una violinista, tre cantanti, tre attrici e un attore.
Da Dorothy. Sconcerto per Oz è nata un’altra performance, che porterete qui a Venezia al teatro Fondamenta Nuove il 23 e 24 ottobre, in cui un attore nei panni di un Hitler in castigo (citazione della famosa scultura di Cattelan), davanti a uno schermo cinematografico, doppia in lingua inglese, con un effetto comico involontario, tutte le parti di un film proiettato alle sue spalle.
Dopo l’adolescente Heliogabalus vi siete immersi nel mondo di Oz e avete scelto la piccola Dorothy come figura “archetipica” della modernità. Vorrei entrare nel vostro lavoro dalla porta principale, cioè da questa sorta di macro-personaggio interpretato e vissuto dalle diverse attrici e forse dallo stesso pubblico…

CHIARA LAGANI - Dorothy è una parola magica, un capiente spazio nominale al centro del quale sono “convocati” una gran quantità di oggetti e persone: è il titolo di un’opera in primo luogo. È una bambina, la protagonista della storia nel libro di Lyman Frank Baum, così come nel film di Victor Fleming. Dorothy è anche il nome di un ciclone, secondo la tremenda usanza di chiamare con nomi di donna le sciagure naturali o i funghi atomici. Ed è proprio questo il primo livello che si instaura con il pubblico, perché gli spettatori sono invitati a prendere posto al centro dell’occhio del ciclone - visivo e sonoro - su materassi della protezione civile approntati per dare riparo ai rifugiati, come è accaduto nello stadio di Houston durante l’uragano Katrina, negli States. Il luogo è apparentemente asettico, è il centro di un nudo teatro o di un palazzetto dello sport. Gli interventi sullo spazio riguardano in gran parte la disposizione e la natura delle luci, ispirate alle “scenografie luminose” di Dan Flavin. Sulle pareti vi sono circa 600 neon fluorescenti che vanno a comporre un organo a canne di luce o “aurora boreale”, richiamando, tramite i colori primari, la sensazione del viaggio percettivo e variegato nel mondo di Oz.

E infatti sembra di stare in una sorta di zattera comune, di navigare tra sopravvissuti nella speranza di un approdo di salvezza. In questo senso mi pare ci sia una forte componente “utopica”…

CL - Più che essere già dei sopravvissuti, direi che agli spettatori è data qui la possibilità di sopravvivere. Forse ci si salverà, ma il disastro e la salvezza sono “a venire”. È vero che alla base di tutto c’è un’istanza utopica, ma la vera utopia è proprio la comunità; è un’utopia lo stesso gesto elementare e magari ingenuo di radunare delle persone in un luogo come se fossero dei rifugiati. Quel che non è scontato però è cogliere che la loro eventuale salvezza dipende unicamente dal modo in cui saranno capaci di abitare quel luogo. Infatti si sopravvive non solo al disastro del fuori, ma anche al disastro di quel luogo. Il ciclone non è un semplice accadimento esterno. Mi chiedo: se davvero queste persone fossero dei rifugiati cosa succederebbe? Resisterebbero assieme? Si sbranerebbero tra loro? Scapperebbero?

A questo punto mi chiedo come ha preso “forma” la scena. Da Heliogabalus a Dorothy, dallo spazio” privato” di una stanza-vagina alla condivisione “pubblica” della platea…

LUIGI DE ANGELIS - Ci eravamo posti un assioma fondamentale. Quest'opera doveva mantenere l'accento sulla figura di Dorothy: ogni spettatore poteva assumere lo statuto della bambina Dorothy nella storia ma solo a partire dal disastro, dal ciclone Dorothy. Così abbiamo posto lo spettatore dentro l'occhio del ciclone. La com-penetrazione ermafroditica è qui una vera orgia di sguardi degna del miglior degli Heliogabalus. Si tratta di uno spazio scenico plurimo che va contro l'idea della scenografia prospettica: tutti vedono e sentono da angolazioni differenti e devono scegliere quale linea seguire. Non c’è unità, è un cubismo fatto di tante monadi, di plurimi sguardi. Gli spettatori sono sui lettini in mezzo agli artisti e ognuna delle nove artiste recita dal suo lettino, come da diversi piccoli palcoscenici distribuiti nello spazio. Ognuno è chiamato a essere Dorothy, il pubblico e le artiste, ma quella dello spettacolo è in principio una specie di comunità “involontaria”. L'adesione al modello Dorothy è dunque una responsabilità: tutti siamo Dorothy se scegliamo di viaggiare, di spostarci all'interno del gorgo di un'opera.

In questo senso mi sembra che l’aspetto musicale sia fondamentale, perché la percezione dello spettacolo è soprattutto sonora. Fin dal titolo il lavoro si presenta come una sorta di nuova “opera”. Da cosa nasce l’idea dello “Sconcerto”?

LdA - Lo "Sconcerto" rispecchia l’idea dell’opera-ciclone. È una partitura multi-stratificata stabilita al millimetro con alcune variabili di improvvisazione a discrezione delle artiste. La scansione temporale è data dal doppiaggio del soundtrack del film Il mago di Oz da parte del “guardiano” del luogo, un personaggio che certo allude al mago di Oz e che abbiamo battezzato “Him”, citando Cattelan, come accennavi. L'attore che impersona Him, Marco Cavalcoli, deve prestare attenzione non solo al soundtrack, di cui da vero dittatore si è arrogato tutte le parti, ma anche al caos sotto di lui, per intervenire e modificarlo. Him è sempre in maniacale relazione con tutti i fili dell’opera che cerca di ricondurre verso un’unità forse impossibile di cui lui stesso è l'emblema.
Le nove artiste invece, a gruppi di tre, sono le Streghe del racconto. Il ruolo della Strega è tripartito: una cantante, una strumentista e un’attrice dan vita allo stesso personaggio (Strega del Sud, Ovest e Nord) a partire dalla propria funzione. Ogni Strega è la sintesi di un personaggio teatrale, operistico e di un leitmotiv strumentale accorpati e messi in relazione per osmosi di carattere. I materiali musicali e letterari vengono da: Landolfi, Puccini, Delibes, Rousseau-Horace Coignet, Skriabin. Ogni artista “ripete” la sua parte attendendo il ciclone, e a partire da questi abbozzi di prove teatrali e musicali a poco a poco si segnalano le parentele e si sintetizzano i personaggi delle Streghe. Il modello di partenza sono le Europeras di John Cage, in particolare la nr. 3 e la nr. 4. Sono opere in cui gli artisti possono decidere simultaneamente, durante un tempo precisissimo, di cantare l’aria o interpretare la frase musicale che vogliono, all'interno di un repertorio fissato dal compositore che fornisce però solo indicazioni retoriche. L’ascolto di queste opere è stato il vero ciclone che ha fatto germinare Dorothy. Sconcerto per Oz.

Un’ultima cosa, così come Dorothy, durante lo spettacolo siamo tutti pieni di “nostalgia”, ma non sappiamo bene di cosa e non sappiamo esattamente perché…

CL - La nostalgia per l’orribile Kansas è davvero il più violento mistero! Questa nostalgia è una specie di peccato originale. Partire con nostalgia da un mondo sostanzialmente amato indica la volontà di far luce e strada a una verità più alta, nascosta o criptica, qualcosa che sta sotto e aldilà del mondo originario, qualcosa che era già presente.
Nel film lo “scandalo” della nostalgia e del viaggio è stato esorcizzato dall’escamotage drammaturgico del sogno: nulla è davvero avvenuto, tutto è solo stato sognato. Ma nell’opera di Baum Dorothy compie il suo viaggio perché ha bisogno di una conferma. Qualcuno ha detto che Dorothy non si sposta realmente, certo è che si sottopone a svariate metamorfosi. L’imperativo del viaggio, anche se fosse solo una metafora, è sempre accettare di essere modificati da chi si troverà per strada per esser pronti davvero all’incontro conclusivo, che è sempre quello con se stessi, con l’identico modificato sé.

       
       
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      Andrea Monti, Teatroteatro.it, febbraio 2008
       
     

Un uragano sta per investire teatro, pubblico, artisti e tecnici. A dirigere il prima e a tentare di orientare il dopo, Him, il doppiatore di tutti gli attori e di tutti i suoni del Mago di Oz. Inginocchiato come il Führer di Cattelan, da una nicchia ricavata in fondo al palco e illuminato da due proiettori che ne restituiscono la profondità, il dittatore chiede fiducia al pubblico di rifugiati che dai materassi sistemati sul palcoscenico reclama lumi sulla sua straordinaria collocazione.

Luigi de Angelis e Chiara Lagani seguono Dorothy nel suo mondo fantastico ma, invece di accompagnarla con arie, sostenerla con emozionanti interpretazioni, cavalcare la fantasia insieme alla sua avventurosa storia, optano per una destrutturazione delle emozioni, uno spegnimento della passione, attraverso una irriverente costruzione cerebrale di un mondo fatto di mille storie tutte diverse ma proprio per questo orientate verso lo stesso epilogo. Il pubblico, parte sdraiato sul palcoscenico parte in platea, non viene cullato, assecondato, invitato a comprendere ciò che accade; è piuttosto abbandonato alle luci, alle frammentarie interpretazioni, alle musiche che partono per non essere eseguite. Assiste, lo spettatore, alle prove per uno spettacolo da mettere in scena dopo una tragedia; potrebbe essere lo stadio di New Orleans dopo il passaggio di Katrina, un rifugio asiatico dopo lo Tzunami, una scuola italiana dopo il terremoto. La calamità naturale che coglie tutti di sorpresa, in una follia condivisa e liberatoria, vedrebbe i personaggi ripartire dalla cosa sulla quale erano intenti a costruire prima che tutto fosse squassato.

Ma siamo al prima o al dopo? Siamo dentro o fuori? Compresi o esclusi dalla possibilità di comprendere?

La tensione costantemente interrotta, le attrici che violano lo spazio riservato al pubblico passando tra le poltrone, scomodando chi accetta di essere colpito, ma non privato della sua sicurezza di essere solo uno spettatore, costringono costantemente gli astanti a scegliere cosa seguire, chi ascoltare, se leggere la partitura quando il neon lo consente, osservare i privilegiati sdraiati insieme agli artisti o sentirsi fortunati in platea mentre i colleghi non trovano una posizione adatta e provano, ripiegando il soprabito, a dare un appoggio alla loro volontà di rimanere desti.

Lo sconcerto prende e molla, incuriosisce e annoia, stimola il cervello quando succedono tante cose, lo spengono quando tanta azione non porta a nulla, anche se basta un neon, un guizzo, un acuto, una lacrima, un sorriso del direttore, un suo ghirigoro vocale felice per rientrare, aggrappati ad un senso che non si trova, ad una spiegazione che non ci sarà perché dall’occhio del ciclone non è possibile vedere ciò che viene centrifugato come non si può comprendere la sua forza finché non si è completamente assorbiti. Ma se fossimo trascinati il godimento sarebbe indotto, se fossimo sostenuti la percezione sarebbe orientata, se fossimo accompagnati la comprensione sarebbe falsata. La purezza è dunque la base su cui lo spettacolo viene edificato, in contrapposizione alla immoralità, alla prevenzione, all’incapacità di lasciarsi risucchiare rischiando di essere risputati sulla terra diversi, senza gli appigli che tengono l’uomo con i piedi per terra, senza un riferimento che metta in comunicazione col prossimo, senza un mago che gabbandoci ci costringe a sognare.

       
       
Torna ad inizio pagina   Mille Dorothy per uno sconcerto
      Franco Quadri, la Repubblica, 4 febbraio 2008
       
     

La Romagna continua a coltivare il sogno di cambiare i modi espressivi del teatro. Ed ecco ora i Fanny & Alexander che, con un tentativo di sconvolgimento formale parallelo a quello della Raffaello Sanzio teso ad adeguare la scena alle arti visive, in Dorothy-Sconcerto per Oz di de Angelis e Lagani, partono dal soggetto di un mitico film con Judy Garland e lo svolgono moltiplicando le interpreti di Dorothy, la protagonista, che ha il nome di un ciclone, sovrapponendone l'identità con quella di eroine operistiche, e di alcune figure di Landolfi, secondo il principio per cui Cage stratificava una contemporaneità di esecuzioni musicali.

Nello Sconcerto eseguito a Romaeuropa la loro pluralità di linguaggi si esplica in tutta la sala e specialmente tra i lettini che sulla scena ospitano le attrici e parte degli spettatori, mentre il falso mago domina la situazione dall'alto, isolato dalle luci di fluorescenti canne d'organo, giocato da Marco Cavalcoli, dittatore-direttore di una vicenda di cui denuncerà alla fine la casualità e la finzione, ma che per lo spettatore può mutarsi in un'avventura cangiante ricca di sorprese espressive.

       
       
Torna ad inizio pagina   Quel mago nel ciclone del Kansas
      Franco Cordelli, Il Corriere della Sera - Roma, 4 febbraio 2008
       
     

La prodigiosa facoltà immaginativa di Fanny & Alexander, ovvero di Luigi de Angelis e Chiara Lagani, è (al Palladium) alla seconda tappa (romana) del progetto Oz. Ho specificato tappa romana perché il progetto, in sei puntate, non ha un'articolazione cronologica. Sarebbe un controsenso, sia l'idea di tempo sia quella di spazio appaiono rovesciate, scosse, infine messe a terra nella mente della protagonista Dorothy, cui è intitolato lo spettacolo: per l'esattezza, "Dorothy. Sconcerto per Oz".

Rispetto a "Him", ancora in scena al Piccolo Jovinelli, viene meno quella sua peculiare concentrazione. "Dorothy" si apre su un vasto campo visivo. Vi sono persone sedute in platea. Ma ve ne sono una quantità distese o poggiate su materassini disposti più o meno casualmente sul palcoscenico, ai piedi di Lui, Him. Him è lassù, in una nicchia, a mostrarsi sfacciatamente nelle sue vesti di mago, cioè nelle sue pessime abitudini hitleriane. Perché dovrei chiamarle diversamente? Non è un piccolo Hitler? Questo è il mago, santo o mostro, che il ciclone del Kansas ha prodotto nella giovane mente di Dorothy; e questo è il suo sconcerto: essere di colpo trasportata da un paese noioso in un paese turbinoso, nel quale tutti gli esseri sono maghi, streghe o sonnambuli. I semidormienti tentano a fatica di venire a capo dei propri sogni, ma è anche questo un sogno, è anzi il sogno (americano) dei sogni (tedeschi), quello che Oz-Him sta producendo con la sua indefessa opera.

La coincidenza di sogno e spettacolo giunge al suo culmine incrociando una moltitudine di storie singole, ossia di singoli percorsi cromatici, o di singoli percorsi canori: è così che lo sconcerto si tramuta in un concerto. Vi si suonano e cantano il "Pygmalion" di Rousseau-Coignet, "La sonnambula", l'Aria delle campanelle da "Lakmè", la "Butterfly" e il "Poema del fuoco" di Scriabin. Frattanto Dorothy si è moltiplicata, sono tutte Dorothy, ve ne sono nove. Con le loro scarpette rosse traversano la sala, s'inoltrano, cantano: "And now fly! Fly!". Sono là, congiunte, ammaliate sotto l'atroce-buffonesca-infantile figura. Sono là, fino alla prossima puntata.

       
       
Torna ad inizio pagina   Una boccata d'ossigeno, il teatro musicale
      Giovanni Ballerini, Scanner, febbraio 2008
       
     

Un concerto, anzi uno sconcerto per rinnovare con più di una boccata d’ossigeno il teatro musicale, per travolgere, con una forma spettacolare spiraliforme, i luoghi comuni, le inutili convenzioni di tanta musica contemporanea (spesso stravolta da ghirigori e virtuosismi sperimentazioni fini a se stesse).

Intriga e appassiona Dorothy. Sconcerto per Oz, lo spettacolo proposto in prima nazionale il 10 ottobre 2007 al Teatro Comunale di Ferrara. Fanny & Alexander hanno fatto le cose in grande e con questa produzione importante (25 persone al seguito), realizzata con la Macedonian Opera and Ballet e il Kampnagel Hamburg, la compagnia ha ravennate ha confermato di possedere estro drammaturgica e tecnologico, ma anche tanta fantasia. Il risultato è uno spettacolo irruente e vorticoso come un tornado. Dorothy appunto (ma anche quello dell’immaginazione).

“Lo sconcerto - sottolineano Luigi de Angelis e Chiara Lagani nelle note di regia - è una forma musicale spiraliforme, una stratificazione di esecuzioni live, omaggio dichiarato alle vertiginose Europeras di John Cage; è un esperimento di alchimie vocali, strumentali, luminose, linguistiche, fisiche, umane".

Approfittando che nel precedente spettacolo (Doppia Odissea) Ronconi aveva alzato la platea quasi al livello del palco, Fanny & Alexander hanno trasformato il Teatro Comunale di Ferrara in un luogo senza tempo, in una sorta di rifugio dai fortunali, cosparso di materassi e coperte (come nello stadio di New Orleans per Katrina). Un luogo adatto per far sistemare il pubblico, coinvolgendo la sua attenzione sul patinoire, facendolo vivere per un ora e mezzo in simbiosi con le performance degli artisti: Chiara Lagani, Francesca Mazza, Fiorenza Menni, i soprani Milena Arsovska, Annalisa Bartolini, Filomena Diodati, la violinista Nicoletta Bassetti, la pianista Janinka Nevceva, l'oboista Maria Chiara Braccalenti, il Dorothy Ensemble, diretto da Elena Sartori. E Marco Cavalcoli, che sulla ribalta dà vita a un incrocio fra un Dj, un tribuno-dittatore e un finto direttore d'orchestra con la bacchetta in continuo movimento, un essere ossessionato dal film The Wonderful Wizard of Oz, di cui sciorina alla sua maniera, ma senza tregua (storpiandoli), i motivi della colonna sonora.

In realtà in questo spettacolo è tutto il teatro a diventare spazio scenico, luogo di caos e d’arte. Uno scrigno d’energia che si apre e si chiude sempre da una parte diversa, dispensando sensazioni, emozioni. A una serie di interventi performativi frammentati, pian piano fa spazio un lavoro corale. Ma niente viene vissuto fino in fondo. E sono proprio questi abbozzi di canto, di accompagnamento, di azioni solistiche o orchestrali a fare la differenza. Il pubblico si trova continuamente a cambiare percezione, attratto dalle tante luci al neon che abbracciano la scena e i palchi, dai suoni sgangherati o melodiosi, dalle urla o dal recitato delle attrici, delle cantanti, delle musiciste rifugiate in teatro per scampare al disastro.

La colonna sonora realizzata dal vivo si sbizzarrisce in varie direzioni: arie della Sonnambula di Bellini, Madama Butterfly di Puccini, Lakmè di Delibes, Pygmalion di Coignet e Prometheus di Scriabin, della colonna sonora originale del cult film con Judy Garland, dell'inno nazionale americano, di frammenti di testi di Lyman Frank Baum e Tommaso Landolfi (La pietra lunare, La piccola apocalisse, Il mar delle blatte).
Dorothy. Sconcerto per Oz si articola in frammenti di un unicum che non ha voglia di manifestarsi compiuto. E continua a disintegrarsi e ricomporsi fino alla fine. Anche musicalmente. Anche dal punto di vista della storia narrata. Realtà e fantasy si sovrappongono, come gli echi dell’uragano Katrina e del meraviglioso mondo di Oz... C’è un che di epico e tanto di terreno in questa performance, che angosciando fa pensare ai rifugiati dall’uragano, ma anche sognare un mondo parallelo in cui tutto si sovrappone e le percezioni si dilatano, come stravolte dal più intimo e segreto ciclone.

       
       
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      Erika Eramo, Lavorare nello Spettacolo - Guida di SuperEva, 9 febbraio 2008
       
     

Al Palladium di Roma è andata in scena l’1 ed il 2 febbraio una rivoluzionaria interpretazione del teatro musicale. “Dorothy. Sconcerto per Oz” è un vero e proprio ciclone, spiazzante e destabilizzante, da sconcerto per l’appunto.

Dopo la prima nazionale del 10 ottobre al teatro nazionale di Ferrara è stato riproposto al Palladium di Roma, l’1 ed il 2 febbraio, lo spettacolo “Dorothy. Sconcerto per Oz”, prodotto dalla Macedonian Opera and Ballet, per la regia di Fanny & Alexander. La storia evoca le avventure della leggendaria Dorothy nel mondo di Oz, regno dell’inautentico e del fantastico, facendo riferimento alla straordinaria interpretazione di Judy Garland nel film di Fleming. Dorothy è quell’innocenza bambinesca che provoca un autentico ciclone sia negli attori che negli spettatori: “chi l’avrebbe detto che una ragazza come te avrebbe potuto distruggere la mia splendida malvagità?” dice uno degli interpreti, di fronte a tanto scalpore. Lo scandalo risiede innanzitutto nella forma incontrollabile: la rappresentazione è come un quadro a cui manca un punto di fuga. Il custode Him, la cui icona è una citazione del piccolo Hitler di Cattelan ed un’allusione ad Oz, dittatore della Città di Smeraldo (interpretato magistralmente da Marco Cavalcoli), è l’unico che crede di dominare l’Opera. L’artista-Dio in realtà è esploso. Come soleva dire l’ironico Carmelo Bene: “Dio=D’Io”. Ogni attrice ha un suo doppio in un personaggio teatrale, operistico ed in un leitmotiv strumentale: tutto il lavoro sembra girare intorno ad improvvise coincidenze tra testi (il racconto di Baum, il film di Fleming, i romanzi di Landolfi) e personaggi che, entrando in collisione reciproca, danno vita ad altre storie. Attraverso questa magica alchimia dell’incastro prende vita lo sconcerto, forma musicale spiraliforme e stratificazione multipla di esecuzioni musicali live. Lo sconcerto è un omaggio dichiarato alle vertiginose Europeras di J.Cage in cui gli artisti simultaneamente potevano decidere di cantare l’aria o interpretare la frase musicale che volevano, laddove il compositore dava solo indicazioni retoriche. L’ascolto di queste opere, in cui si crea un profondo caos musicale, è stato il vero ciclone che ha fatto germinare questo spettacolo. Viene così fuori una nuova possibilità drammaturgica, un esperimento di alchimie vocali, strumentali, luminose, linguistiche, fisiche ed umane, in cui lo stesso spettatore viene coinvolto. Infatti Chiara Lagani che impersona la donna P., un personaggio di “La piccola Apocalisse”, cammina in sala distribuendo bigliettini, con una proposta: “Andiamo a fare una passeggiata?”. Al megafono recita l’elenco dei vizi e virtù, associandoli ai colori, capaci di cogliere l’essenza delle cose, “Tristezza e dolore! Rosso!”, “Amore fraterno! Azzurro!”, “Gioia e serenità! Biancoazzurro!”: il tutto mentre una pianista suona la partitura sinestetica di “Prometeo: il poema del fuoco” di Scriabin, che concepisce appunto le varie zone musicali secondo una grammatica e retorica del colore. Francesca Mazza che impersona Lucrezia, un personaggio tratto da “Il mar delle Blatte” di Landolfi, legata alle arie della “Butterfly” ed all’inno americano, va invece in giro a provarsi le scarpette rosse, camminando col passetto incrociato come nel celebre film. Da segnalare la sublime interpretazione del soprano Milena Arsovska: l’aria “Ah non credea mirarti”, tratta da “La sonnambula” di Bellini, è quella in cui Amina piange il suo amore perduto, come un fiore appassito cui nemmeno le lacrime possono ridar vita. I nove personaggi femminili, che inizialmente formano le tre figure stregonesche (la strega del Nord, del Sud e dell’Ovest), alla fine della rappresentazione coincideranno immancabilmente con Dorothy: ognuna di loro si posizionerà infatti in gruppo statuario con le altre, restando a fissare uno sbigottito, sconcertato pubblico.

       
       
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      Renato Nicolini, L'Unità, 1 aprile 2008
       
     

Il gruppo "Fanny & Alexander" è stato fondato a Ravenna nel 1992 da Chiara Lagani, attrice e drammaturga, e Luigi de Angelis, regista. Il nome è già un programma: tratto dal film di Ingmar Bergman, d'autore ma girato per la tv e sul ruolo dei mass media nella nostra civiltà. Sconcerto per Oz inaugura un nuovo ciclo di spettacoli della F&A tratti dal Mago di Oz di Frank L. Baum e dal film con Judy Garland che ne ha tratto Victor Fleming nel 1939, che si concluderà nel 2010 al Roma Europa Festival. Per gli spettatori di Sconcerto per Oz sono disponibili, oltre ai posti in platea, quattro file di lettini sul palcoscenico, dove fanno anche parte della scena. Sono state tolte alcune file di poltrone. Questi lettini scomodi, non sono né brechtiani né psicoanalitici. Alludono alle attrezzature minime per la sopravvivenza di chi è rinchiuso, in uno stadio per proteggerlo da un ciclone o in campo sorvegliato perché detenuto politico o immigrato clandestino. Siamo in situazione diversa, rispetto alle avanguardie degli anni 60 e 70. Allora si era chiamati a fare qualcosa, a partecipare alla presa del Palazzo d'Inverno. Oggi siamo chiamati a restare - perfetto specchio dei tempi - passivi.

L'inizio dello spettacolo è inatteso e folgorante. In una nicchia sul fondo della scena appare un piccolo Hitler inginocchiato, replica perfetta, ma viva, dell'Him dell'artista Maurizio Cattelan. "Him" - come dirigendo un'orchestra (che suona dalla balconata del teatro) - reciterà in inglese tutta la colonna sonora - effetti compresi - del film di Fleming. Il 1939, l'anno di questo film colorato ed infantile, tante volte rivisto proiettato "a sorpresa" dai filmclub romani, è il tempo di Hitler, quando Hitler affascinava Chamberlain, che lo definì in un discorso alla Camera dei Comuni "un uomo di cui ci si può fidare, una volta che ha dato la sua parola". E' questo il ciclone che si abbatte sugli spettatori. E concettualmente sugli attori, che si fingono sorpresi nella condizione di chi sta ancora recitando il precedente spettacolo della "Fanny & Alexander", Amore, tratto da Tommaso Landolfi.

Francesca Mazza è ancora la Lucrezia del Mar delle Blatte, ma è insieme - assieme alla violinista Nicoletta Bassetti e al soprano Annalisa Bartolini - la Strega dell'Ovest. Fiorenza Menni è Gurù di La pietra lunare e la Strega del Sud - assieme al soprano Milena Arsovska e all'oboista Maria Chiara Braccalenti. Chiara Lagani è la "donna P." de La piccola Apocalisse - e la Strega del Nord, assieme alla pianista Janinka Nevceva ed alla soprano Desanka Pop Georgievska. Il gioco delle sovrapposizioni non è meccanico, ma si avvale di sorprendenti coincidenze (un esempio per tutti: la donna P. di Landolfi muore sprofondando in una pozzanghera e la strega dell'Ovest muore perché l'acqua la distrugge) tra i testi di Landolfi e la "partitura" del Mago di Oz. L'effetto di teatro totale (dei nostri tempi) è raggiunto attraverso la "scenografia luminosa" - circa 600 neon fluorescenti che compongono un organo a canne di luce - ispirata all'arte di Dan Flavin e James Turrell; e, soprattutto, attraverso il riferimento dell'esecuzione della partitura musicale (dalla Butterfly al Pygmalion composto a quattro mani da H. Coignet e dal grande pensatore illuminista J.J. Rousseau) alle Europeras del grande John Cage. La libertà negativa intesa come libertà di interrompere l'esecuzione teorizzata da Cage; e la volontà progettuale, capace di impegnarsi fino a prevedere il 2010: sono gli antidoti proposti dalla "Fanny & Alexander" all'universo concentrazionario da cui parte la rappresentazione.

       
       
Torna ad inizio pagina   "Dorothy", teatro devastante
      Alessandro Fogli, Il Corriere di Romagna, 2 aprile 2008
       
     

"Dorothy. Sconcerto per Oz", il nuovo lavoro di Fanny & Alexander, in questi giorni al Teatro Alighieri, porta la drammaturgia di Luigi de Angelis e Chiara Lagani a un punto di non ritorno, a una ridefinizione degli assetti teatrali realmente sconcertante con la quale occorrerà fare i conti da ora in poi. In un teatro trasformato in una sorta di luogo di rifugio da un metaforico ciclone Dorothy, gli spettatori si trovano però presto coinvolti in un altro ciclone, interno, proprio lì dove dovrebbero essere al sicuro, un ciclone che lentamente ma inesorabilmente sconvolge la morfologia del codice "platea-palcoscenico" in tutti i modi possibili.

Con un deragliante effetto domino le figure delle tre streghe del Mago di Oz invocate da un bizzarro direttore d'orchestra - dalle inquietanti ma assurde fattezze hitleriane - si diffraggono su altrettante attrici impegnate nell'interpretazione di personaggi femminili landolfiani, ai quali per sinestesia si associano i "colori" di tre soprano e ancora di tre musiciste, tutte impegnate nel loro personale, scollegato, compito interpretativo. Tutto ciò potrebbe sembrare d'acchito un caos totale, ma in realtà il disordine è organizzato nei minimi dettagli, secondo i concetti di casualità e silenzio di John Cage, le cui "Europeras" sono di Dorothy una delle linee guida.

E' anzi evidente che a ben guardare il groviglio espressivo messo in atto è spesso lucidamente allineato in sottotrame perfettamente comprensibili, per cogliere le quali de Angelis e Lagani chiedono però uno sforzo in più, un'attenzione diversa dal solito, un contratto fatale tra opera e spettatore. Avanzando lungo quelle che sembrano traiettorie espressive - drammaturgiche, musicali, vocali - completamente anarchiche, sempre in bilico tra la situazione reale del disastro e quella fantastica di Oz, in uno spazio che non ha più confini canonici - parte del pubblico è alloggiata sul palcoscenico su dei lettini d'emergenza, insieme ad alcune delle interpreti -, lo (s)concerto per Oz assume sempre più i tratti di un linguaggio artistico inedito, di un meccanismo creativo del tutto nuovo, in grado di far scaturire quell'incomprensibile ma contagiosa energia che solo i rivolgimenti epocali celano in sé.

Fino alla rivelazione conclusiva che l'intenzione di tutto ciò, forse, è proprio il non avere alcuna intenzione. Dorothy non è una irreversibile negazione del teatro, piuttosto uno degli atti d'amore più grande verso di esso mai realizzati.

       
       
     

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