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AMORE (2 atti) | |||||||||
Massimo Marino, Amore e morte allo specchio, magico racconto di Landolfi Alessandro Fogli, Amore dà un effetto matrioska Sergio Colomba, Una nebulosa nel teatro impossibile di Fanny & Alexander Franco Quadri, Quell'amore impossibile per colpa della parola Chiara Poletti, Amore, odio e avanguardia rileggendo Tommaso Landolfi Franco Cordelli, L'uomo e la donna, senza una realtà Cristina Ventrucci, Fanny & Alexander - Amore, Ravenna Festival Pierfrancesco Giannangeli, Landolfi messo in scena da Fanny & Alexander Francesco Rapaccioni, L'impossibile comunicare |
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Amore e morte allo specchio, magico racconto di Landolfi | |||||||||
Massimo Marino, Il Corriere della Sera - Corriere di Bologna, 27 giugno 2007 | |||||||||
Quale lingua è più impossibile di quelle dell'amore e della morte? Due assoluti romanticamente a specchio, negati dalla nostra società mediocre, disgregata, Babele senza comunicazione. Fanny & Alexander torna ad affascinare con uno spettacolo arduo, magico, concettuale e sensoriale, unione di opposti, di parola rigogliosa svelata nella sua inefficacia, di suoni, ombre, colori, flash che feriscono che si accendono nel buio assoluto. AMORE (2 atti), in scena per Ravenna Festival, è tratto da un racconto di Tommaso Landolfi, uno dei nostri scrittori più originali. Da una soglia funebre, lo spettatore viene introdotto davanti a un poeta che accarezza un'agnella recitando un'apocalisse della società e dell'arte. Una misteriosa sconosciuta lo rapirà in un vortice di immagini e suoni, verso una nuova lingua della sensazione, della sinestesia, dell'emozione, per poi dissolversi. Rimarranno solo due scarpette di cristallo da favola, sogno di un mondo come poteva essere per rinascere. |
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Torna ad inizio pagina | Amore dà un effetto matrioska | ||||||||
Alessandro Fogli, Il Corriere di Romagna, 27 giugno 2007 | |||||||||
Eccola, l'Apocalisse. Figlio dell'incontro tra il genio lucido, cinico e sfaccettato di Chiara Lagani e Luigi de Angelis e la ricchezza senza pari delle risorse verbali di Tommaso Landolfi, AMORE (2 atti) è lo spettacolo con cui Fanny & Alexander sublimano in massimo grado il tema di quest'anno del Ravenna Festival, le Apocalissi appunto, arrivando a un'opera fantasiosamente visionaria, complessa ma non complicata, profondamente coinvolgente, seppur da punti di fuga del tutto inaspettati. In una sorta di angusta wunderkammer sensoriale - inizialmente evocativa di un affollato ristorante -, il personaggio D. (Marco Cavalcoli) declama solennemente una descrizione di cui sembra poco convinto, tanto che solo rimarcandola punto per punto con la sua interlocutrice - un'agnella che ne interrompe la pregevole ricchezza del vocabolario e, alla fine, il flusso poetico - riesce a controllarla e a impadronirsene. Questa prima storia sprofonda quindi, in un effetto matrioska caro a Landolfi, in un secondo livello narrativo, in cui il personaggio femminile P. (Lagani) fa il suo ingresso per accompagnare D. in una passeggiata metaforica nella sua lingua impossibile fatta di colori e resa ancor più scollegata dal reale (o semplicemente dalla superficie del reale?) per l'incongruente accostamento dei colori a suoni e concetti (ad esempio, al bianco di gioia e serenità annunciati da P. si scatena un frastuono di oggetti infranti e luci ossessivamente pulsanti); è questa la pretesa che Landolfi attribuiva alla scrittura autentica, ossia di afferrare un'esistenza in atto presupponendo la possibilità di un linguaggio in grado di esprimere la singola individualità delle cose reali. La "passeggiata" quindi, fino a questo momento comunque inquietante, sfocia in un finale agghiacciante e di potenza inaudita, uno scarto netto rispetto al testo di riferimento - "La piccola apocalisse" - che ne diventa però un formidabile valore aggiunto. La capacità landolfiana di trasformare la realtà in simboli, la sconfinata fantasia, la padronanza della parola per descrivere un mondo nascosto, il sarcasmo, il gusto di disvelare gli aspetti celati e paradossali delle cose e degli uomini sono magistralmente resi in AMORE (2 atti) tramite un puntuale lavoro di autoironia e di esame introspettivo, di tecnica scenografica e puro approccio ludico. E se l'opera di Tommaso Landolfi, per la complessità dei temi che ha trattato e delle forme in cui si è espressa, non può che essere refrattaria a qualsivoglia schema o interpretazione di natura lineare, a livello drammaturgico Fanny & Alexander ne hanno però trovato la chiave di lettura, una chiave estetica e tesa a focalizzare in tutti i modi il problema fondamentale: l'assolutezza dell'arte. |
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Torna ad inizio pagina | Una nebulosa nel teatro impossibile di Fanny & Alexander | ||||||||
Sergio Colomba, Il Resto del Carlino, 28 giugno 2007 | |||||||||
Per quanto poco corposa, la sezione teatro del Ravenna Festival di quest'anno offre due appuntamenti di rilievo (oltre alle varie letture e cantate dantesche, o alle Apocalissi con Cacciari): l'"Ubu sotto tiro" già visto, diretto da Marco Martinelli delle Albe con i ragazzi di Scampia per il magnifico progetto "Arrevuoto", e il nuovo spettacolo di Fanny & Alexander. La bottega teatrale giovane, d'eccellenza, di Chiara Lagani, Luigi de Angelis e compagni ha chiuso brillantemente la grande sciarada nabokoviana di "Ada" in più puntate, e aggiunto poi nuovi capitoli d'avventura a un lavoro sempre ricco d'immaginazione. Che indaga soprattutto nell'area estrema di confine tra creazione artistica e linguaggio, forme e traduzione in spazio-immagine-suono. Logico che dentro a un simile percorso ad incastri apparisse prima o poi al gruppo ravennate la nebulosa di Tommaso Landolfi: il disegno di perfetta riduzione al nulla che traspare dalle pagine di questo cantore di mondi lontani (bellissimo sarebbe riuscire a portare in teatro il suo "Racconto d'autunno") risulta perfettamente intonato alla diagonale arcana, al teatro impossibile di Fanny & Alexander. Primo risultato dell'incontro è il debutto al Rasi di "AMORE (2 atti)", basato su una fusione di testi landolfiani che sa quasi d'alchimia. Per toccarla con l'immaginazione dei sensi si entra nella finta protezione di una specie di casa della letteratura, ricavata nella platea del teatro, dove gli spettatori disposti frontalmente su due ordini di file ascoltano prima nella penombra i monologhi (anzi, i dialoghi con un agnello in grembo) di D. che si inerpicano fin sui piani alti della creazione artistica. Mentre in sottofondo il ronzio-frastuono di un caffè serale con canzoni d'epoca toglie attenzione a quelle spirali che vorrebbero farsi poesia a loro volta. Nessuno ascolta, o quasi. Perché, e qui entriamo nel secondo movimento della Piccola Apocalisse, l'ingresso della bionda P. chiama l'uomo ad una passeggiata notturna rivelatrice. Durante la quale lei, tramite con l'invisibile e musa dell'altrove, cercherà di insegnare a D. la lingua ignota, dimenticata e senza convenzioni che parla con le luci e i colori. Impossibile da tradurre e da apprendere. Il tema caro al gruppo si sviluppa in uno spettacolo dilatato in potenzialità ma rappreso nella pratica, dove galleggiano e affascinano le consuete suggestioni son-lumière di casa (l'alba color perla del gridellino con i suoi rumori, le accensioni, le voci in lingua P. con colori e onde elettroniche, più meccaniche che evocative di vuoti da riempire). E dove la presenza silvestre, praticamente un sussurro fisico, di Chiara Lagani con la voce resa stridula dall'elio, lascia una traccia d'emozione. Ma non tutto si può dire riuscito, nella prima gittata di quello che sarà un grande lavoro. |
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Franco Quadri, la Repubblica, 9 luglio 2007 | |||||||||
Già dalle storie di bambini dei suoi esordi, Fanny & Alexander viaggiava con un margine d'inconscio nei misteri dell'esistere, che, dopo il top dell'Ada da Nabokov, hanno toccato i problemi di una lingua tesa a esprimersi attraverso il corpo nel sublime exploit di Heliogabalus. Ora il tema della comunicazione impossibile esplode in AMORE (2 atti), curato e montato da Chiara Lagani e Luigi de Angelis per Ravenna Festival sulla suggestione di una serie di brevi testi di Tommaso Landolfi. Nella purezza di questo lavoro, che non aspira a raccontare situazioni, ma a vivere stati d'animo, colpisce la possibilità di una lettura emozionale che scavalca il possibile intellettualismo dello spunto nel passare dai dialoghi di Marco Cavalcoli con un agnello al celeste monologare della Dama Bionda di Chiara, nel segno di un mancato contatto nel grande spazio che si apre in alto davanti agli spettatori, disposti lateralmente nella sala. La parola, vittima della finzione di un linguaggio che non riesce a farla comunicare, si appaga allora di essere suono e gioca a confrontarsi coi rumori ma anche col buio, con l'irrompere delle luci e la danza cangiante dei colori. E chi assiste può vivere a sua volta l'altalena visiva come un gioco di rivelazioni o di blocchi che toccano il suo rapporto col mutare dell'ambiente e degli altri spettatori tutt'intorno. |
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Chiara Poletti, sette sere, 14 luglio 2007 | |||||||||
Al di là di ogni possibile commento c’è subito da dire che metà di questo spettacolo teatrale, «Amore (2 Atti)», ispirato al testo dello scrittore toscano Tommaso Landolfi - traduttore di Turgenev, Cechov, Dostoevskij - si deve per forza guardare ad occhi chiusi per via di flash psichedelici che accecano lo sguardo. E non è una postilla da poco, considerato che oltre a disturbare - di proposito - lo spettatore, qualsiasi lavoro di Fanny & Alexander, suscita sconcerto, turbamento oppure apre porte nuove, vie inesplorate, che vale la pena di capire fin dal principio, abbandonando schemi, lingue conosciute, memorie pregresse e il controllo di se stessi. Ogni immagine seppur scarna e metafisica, è funzionale all’astrazione mentale. Sul banco degli imputati ci sono tutti i sentimenti antagonisti dell’essere umano: amore e odio, vizio e virtù, bene e male, associati solamente all’evocazione di suoni, rumori, profumi, colori. La sirena di un’ambulanza con la gioia e il suono di trombette da festa associate all’odio e al disprezzo. Il tutto è immaginario, con pause infinite, mentre la voce, arriva per lo più da una radiolina su basse frequenze e solo in parte dai due autori e attori Chiara Lagani e Marco Cavalcoli. Poi improvvisamente, si apre uno schermo sulla testa del pubblico, che dal plafond proietta delle nuvole nel cielo mentre una hostess racconta in lingua inglese, la storia d’arte di Ravenna. Suono-parole e qui, la non corrispondenza tra lingua inglese e pubblico italiano, dà molto l’idea dell’utopia di una lingua impossibile, descritto da Landolfi nella Piccola Apocalisse, sul tema proprio, del Ravenna Festival del 2007. E l’ipotetica distruzione di ogni codice di riferimento è esasperato da una scenografi a che non lascia scampo: una stanzetta claustrofobica prefabbricata per 60 spettatori, ricavata dal capiente Teatro Rasi, una «matrioska sacrificale» adatto ad un pubblico con un buon equilibrio psico-fsico. La sensazione a fine spettacolo, è quella di una arrampicata faticosa sulla vetta più alta della torre di Babele: il cuore finalmente sospira, affannato, stanco ma appagato. Una palestra per la filosofia d’avanguardia di raffinata matrice. |
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Franco Cordelli, Il Corriere della Sera, 2 settembre 2007 | |||||||||
Il racconto "La piccola apocalisse" è compreso nel primo libro di Tommaso Landolfi, Dialogo dei massimi sistemi del 1935. Ad esso danno poetica forma teatrale e centralità di significazione nell'universo landolfiano il regista Luigi de Angelis e la sua drammaturga Chiara Lagani, in altri termini il duo ravennate Fanny & Alexander. Ciò accade nello spettacolo intitolato AMORE (2 atti). Perché proprio la parola "amore" nel titolo, tutte maiuscole, non ho capito. Sospetto una punta di infantilismo. Perché "2 atti" proverò a dirlo. Non già, in ogni caso, perché lo spettacolo sia diviso in due tempi, perché vi sia un intervallo. Ma perché, credo, la questione del due, della dualità, è cruciale nella poetica di Fanny & Alexander. Questo binomio, trascritto con una "e" commerciale, ironicamente designa una ditta e invero, perfino graficamente, rimanda a un che di avviluppante, agglutinante. Per anni de Angelis-Lagani hanno inseguito il fantasma della Ada di Nabokov, cioè dell'incesto. Poi è venuto l'Heliogabalus da Artaud, ovvero il fantasma dell'ermafrodito, dell'androgino. In AMORE (2 atti), cioè ne "La piccola apocalisse", la dualità è più evidente, o più sottile. Un uomo, D., comincia dalla "gelidità dei simulacri" - "nippies" suona il titolo della prima parte del racconto. Constata cioè che la realtà si può nominare ma mai toccare, tanto meno possedere. Allora egli si lascia guidare da una donna, P., lungo una via filosofica. Tale via è, nello spettacolo, una specie di galleria, per figure allegorico-concettuali (mai spettacolo, negli anni Settanta, fu più concettuale di questo nell'abolizione di ciò che chiamiamo corpo e, al limite, nella cancellazione di ciò che pensiamo come immagine, o figura, mai spettacolo fu così estremistico, fino a rischiare appunto l'infantilismo). Sulla soglia della stanza nella quale siedono 48 spettatori, su doppie file che si fronteggiano, vi è un paio di scarpine bianche, di vetro, o cristallo. Le ritroveremo alla fine, tutto ciò che resta all'uomo D., seduto dietro un tavolino, in fondo alla stanza. Dapprima parla costui. Racconta, carezzando un agnellino che gli è assiso in braccio, simbolo forse della sua innocenza, o insipienza. Racconta e, col dito, ammonisce. Poi entra in scena, ovvero in aenigmate, la donna P. La vediamo riflessa, come ombra colorata, in un tondo di luce, sulla stessa parete davanti alla quale era seduto l'uomo D. L'uomo, ci dice un giovane studioso di Landolfi, Rodolfo Sacchettini, quando parla di ciò che vede, il caffè, le camerierine, la misteriosa città, il Poeta, sta parlando di Sant'Apollinare Nuovo, del Corteo delle Vergini e dei Santi, di Ravenna, di Dante. La P. che designa la donna sta per Pena e il tema delle sue indicazioni - Tristezza e Dolore, Amore Fraterno, Amore Infelice, Ricchezza, Purezza, Amore Felice, Odio e Protervia - è un tema iniziatico, ai limiti dell'esoterismo (qualcosa che è in Landolfi a dir poco insolito e, a mio parere, improbabile). Sarebbe in ogni caso, come in Dante, un tema di salvazione o, almeno, di conoscenza: se non fosse che, così in Landolfi, a rivelarsi impossibile è proprio la conoscenza. La donna P. pronuncia quelle poche parole-stemma, e ciò che noi leggiamo, o ascoltiamo, non è che l'almeno apparente contrario (stando ai brevi esempi che ci vengono trasmessi) oppure l'indistinguibile, l'impercepibile, l'inarrivabile. Tutto sprofonda in un buio irredento. I flash che lo perforano non arrivano a modificare alcunché. Alla fine, la donna P. è risucchiata da una pozzanghera-palude. Della sua misteriosa persona non restano che le piccole, fragili scarpine, da Cenerentola invano sapiente. I due interpreti sono in carne e ossa Marco Cavalcoli e, fantasmatica, Chiara Lagani. |
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Cristina Ventrucci, Lo Straniero nr. 89, novembre 2007 | |||||||||
Quali sono gli atti d'amore? Quali la luce e la lingua che ne contengono la possibilità? Quali le infinite combinazioni? E' sempre di crepe, combustioni, enigmi che tratta il teatro di questo gruppo che sin dal proprio autonominarsi ha aperto un'iperbolica indagine nei rapporti inscindibili e insolubili, tra amore e morte per esempio, come tra arte e assoluto, o tra utopia e realtà, a partire da uno dei primi affondi in età precoce, un ceronettiano Cantico dei cantici. Poi l'incontro con Vladimir Nabokov prima, con Tommaso Landolfi in seguito, e il regno dello struggimento che aveva alimentato gli esordi si ritraduce, si assottiglia, si accorda. Un teatro la cui continua tensione non è a conoscere e impadronirsi quanto a perdere conoscenza attraverso gli strumenti stessi della conoscenza e rendersi liberi di indagare le spire più oscure e remote dell'esistenza. Spesso connesso a intuizioni delle arti visive, ne sviluppa teatralmente i parametri, procedendo alla costruzione di figure che nascono dalla parola ma che sprigionano un'eloquenza iridescente. Qui i cinquanta spettatori entrano in un luogo scenico essenziale eppure totalizzante dove, disposti in due settori frontali, potranno visionarsi, specchiarsi l'uno nell'altro, ritrovarsi e non, con qualche imbarazzo, durante lo svolgimento della pièce. Introdotti da un tappeto sonoro nella suggestione di un luogo pubblico di ristoro e conversazione, ascolteranno il discorso di un poeta all'agnello che gli dorme in grembo, sull'inciampo creativo e sul fallimento del linguaggio. Tra una carezza e l'altra l'attore (Marco Cavalcoli) confida il proprio vuoto al mite animale, fino a che verrà in suo aiuto, come ombra e presenza e guida, una voce femminile foriera di altri universi e nature, di altre corrispondenze e orbite. Una vera apparizione fatta di spirito e respiro, a opera di una trasfigurata Chiara Lagani: è la donna P, della Piccola apocalisse di Landolfi. La metaforica "passeggiata" in cui trasporta tutti e tutto di lì in poi è una sospensione del tempo o un intervallo della ragione, durante il quale si compie un'"ascesi del colore": una sorta di album sensoriale che accerchia il pubblico in una cornice di sfondi luminosi monocromatici - cui si sovrappongono evocazioni acustiche - trasporta gli astanti in un apparentemente didascalico viaggio nelle emozioni, che si farà comprendere nel tempo proprio come domanda che sottende l'intero lavoro. In questa luce non vi è consolazione né conferma di un già dato, bensì ancora una volta l'affermazione del lavoro artistico come negazione delle false convenzioni, dunque come apertura e costruzione di mondo, e allora come gesto politico. |
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Landolfi messo in scena da Fanny & Alexander | |||||||||
Pierfrancesco Giannangeli, Il Messaggero - Macerata, 9 aprile 2008 |
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Figura centrale, indipendente, originale della letteratura del Novecento, Tommaso Landolfi è l'oggetto di studio degli ultimi lavori della compagnia Fanny & Alexander. Dell'autore nato a Pico Farnese nel 1908 e morto a Ronciglione nel 1979, quest'anno si celebra il centenario della nascita e il gruppo ravennate, uno dei principali della ricerca italiana che si sviluppata all'inizio degli anni Novanta, porta in scena due suggestioni che dai testi di Landolfi partono: si intitolano K.313 e Amore. Gli spettacoli saranno in scena questa sera e domani al cineteatro Italia e al Teatro Lauro Rossi di Macerata, con inizio alle ore 21. La permanenza in città della compagnia sarà accompagnata anche da due incontri: il primo si svolgerà stasera al termine dello spettacolo all'Italia, con il giovane critico Rodolfo Sacchettini, l'altro verrà ospitato nell'auditorium Svoboda dell'Accademia di Belle Arti (via Berardi, 6) domani mattina alle ore 11.30. Tommaso Landolfi è uno scrittore affascinante, dalla lingua ricercata e barocca, gotica e grottesca. Anche la sua vita si è dipanata interamente fuori dai circuiti, tra la casa di Pico Farnese e Roma, dove però lo scrittore si è sempre tenuto assai lontano dai salotti che contavano. I velluti preferiti da Landolfi sono stati invece quelli dei casinò di Sanremo e Venezia, dove ha assecondato la sua passione per il gioco e dai quali, probabilmente, ha tratto ispirazione per l'universo umano che ha riempito i suoi scritti. Nei due testi in scena a Macerata si parla di amore. K.313 è interpretato da Marco Cavalcoli e Chiara Lagani, la regia è invece di Luigi de Angelis. L'ambientazione è quella del teatro Dubrovka di Mosca, dove un commando ceceno nel 2002 prese tragicamente in ostaggio gli spettatori di un musical. Le parole sono quelle di due amanti "impegnati - si legge nelle note - in un dialogo utopico che diventa riflessione sul linguaggio amoroso quale lingua impossibile, disintegrata e disintegrante." L'altro testo, Amore, è invece ispirato alla Piccola apocalisse di Landolfi, sempre con Cavalcoli e Lagani. In un grande caffè straniero un poeta annuncia l'apocalisse, prima di essere rapito da una sconosciuta "in un vortice di immagini e suoni, verso una nuova lingua della sensazione, della sinestesia e dell'emozione". La misteriosa figura alla fine scomparirà, lasciando il regalo del sogno. |
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L'impossibile comunicare | |||||||||
Francesco Rapaccioni, teatro.org, 11 aprile 2008 | |||||||||
Alimentato da infinite suggestioni letterarie, il sofisticato discorso narrativo di Tommaso Landolfi verte soprattutto sull'incontro-scontro fra istinto e ragione, fra inconscio e consapevolezza, registrato con ironia e controllato lirismo. Rinnovando continuamente la propria attenzione per gli uomini e le cose quotidiane, osservate con sguardo straniato, Landolfi ha elaborato una poetica della “paura” umana di fronte al misterioso e al paradossale del mondo. I lavori di Fanny & Alexander, oltre che disturbare di proposito lo spettatore, suscitano sconcerto e turbamento ma aprono nuovi sentieri, finora non esplorati, che vale la pena di percorrere, di capire, abbandonando i propri codici mentali ed espressivi, gli schemi sociali e culturali, le lingue parlate e conosciute, le memorie pregresse, persino il controllo di se stessi. In “K.313” due amanti dialogano, in un sottile gioco al massacro, sulle opere letterarie di lui, alternando sonetti e lettere ai loro commenti. Un mangiacassette riproduce musica di Mozart, da cui il titolo. Presto risulta chiaro che quello vissuto in scena dalla coppia non è un amore “per mezzo delle” parole ma un amore “per” le parole, che vengono messe in gioco lasciando intendere, come spesso in Landolfi, che tutto il discutere finirà con il dover rispondere ad altre domande, più sottili, più affilate, più penetranti. La drammaturgia intende ricreare il meccanismo intrinseco del testo utilizzando un apparato che traspone l'azione scenica altrove, confondendo le coordinate degli spettatori. Infatti le maschere da terroristi e la telecamera a raggi infrarossi che riprende la scena e la proietta alle spalle degli attori danno un senso di angoscia e aggiungono straniamento, quasi sconcerto. Il pubblico coglie i riferimenti più legati all'attualità ed al contesto abituale, finendo per guardare più lo schermo che gli attori. Il finale introduce una dimensione onirica esaltata dalle luci che si abbassano, dopo il realismo crudo dell'inizio. “Ciò che conta non è fare il verso alle armonie, ma raggiungere quella divina inconcludenza. Amico, amato, taci: cosa ci resterà?” In “Amore (due atti) gli spettatori vengono introdotti in una camera claustrofobica in cui un uomo, assaporando miele, accarezza un bianco agnellino al quale annuncia l'apocalisse della società e dell'arte; i rumori di sottofondo situano l'azione in un ristorante. Poi entra una donna (“finalmente ti ho trovato”, ma si è nel buio più assoluto), “siamo oppressi da una pena, forse la stessa: usciamo per una passeggiata”, dice e il registro cambia. Sopra la testa degli spettatori si apre una finestra con nuvole e cielo azzurro, mentre una guida turistica descrive in inglese i monumenti di Ravenna. Landolfi dà l'idea dell'utopia di una lingua impossibile o dimenticata. E l'ipotetica distruzione di ogni codice di riferimento è esemplificato dalla scenografia, una stanzetta senza uscite luci stroboscopiche o buio assoluto cogli spettatori affrontati e stipati. D'altra parte che c'è di più convenzionale che il linguaggio? (Piccola apocalisse). Però, eliminando un linguaggio agganciato a codici conosciuti, che cosa resta? (Breve Canzoniere). Si arriva alla fine affannati, turbati, ma eccitati, come dopo essersi arrampicati in cima alla torre di Babele. “Attenta, Madama, le vostre scarpine” dice l'uomo. E fuori dalla porta due scarpine e un cartello che mette in guardia D su quali estremi si possa raggiungere seguendo le intemperanze dell'immaginazione. Il racconto continua nel mondo di Oz insieme a Dorothy e alle streghe. Il viaggio continua. |
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