Rassegna stampa - Spettacoli
       
      NORTH
       
     

Maria Grazia Gregori, Viaggio al cuore del buio: la diversità, la follia, il chiaro e lo scuro nel percorso "South - North" dei Fanny & Alexander

Renato Palazzi, Passi tormentati da Nord a Sud

Roberto Barbolini, Tra Sud e Nord si perde la bussola

Gianni Manzella, "North", l'avanguardia allo specchio

Franco Cordelli, Se Dorothy cammina nel fuoco

Franco Quadri, Con due Dorothy il viaggio è emozione

Lucia Cominoli, Sono Oz il grande e terribile. E tu chi sei?

       
       

    Viaggio al cuore del buio
     

Maria Grazia Gregori, L'Unità, 25 settembre 2009

     

 

     

Sia che si vada a Sud o a Nord nel nuovo, spiazzante spettacolo di Fanny & Alexander (South - North, appunto), a venire in primo piano è il viaggio, inteso come una prova fisica, mentale, emozionale, razionale, da superare. Con delle differenze. South, prima parte di questo lavoro, è un viaggio nel nero dentro pulsioni che non si possono dire. North è un cammino (della conoscenza?) scandito da luci acide, da soli verdi. A guidare, come una specie di Virgilio, il primo percorso, c'è Dorothy, ragazza con zaino e abito verde che sale in palcoscenico venendo dal pubblico. Tocca a lei confrontarsi con Oz, ben diverso dal mago del celebre film dove Dorothy era Judy Garland. Questo Oz è un fantasma teatrale che da tempo è compagno di viaggio di Fanny & Alexander, un essere che mette timore e anche orrore, un efferato manipolatore di cervelli e di coscienze, citato nel ritratto di un Hitler riveduto da Charlot appeso in scena, ridicolo con i suoi baffetti storti ma non meno tremendo nelle sue reazioni. South, che ha come protagonista la brava Fiorenza Menni, è un itinerario del cuore, un cuore rosso, circondato da lampadine come un ex voto. E' il cuore, qui si racconta, che spinge alla ribellione, alla diversità, alla follia dolce di Pippa Bacca che muore, assassinata, vestita da sposa in Turchia. In scena, dove due poliziotti in bicicletta fanno da angeli custodi all'attrice, si fa improvvisamente buio: 50 minuti di oscurità fitta, scandita, dilatata da musiche ritornanti (Mirto Baliani, Steve Reich, Iannis Xenakis fra gli altri), da parole usate come musica, da ordini perentori gridati al megafono, da venti gelidi, da canti sacri. Il tutto intorno allo spettatore, che non vede nulla e che poco alla volta si lascia prendere, catturare da questi suoni, da questo passare di corpi che non può toccare. Fino a quando Dorothy ci riappare davanti a un possente paesaggio tecnologico composto da 40 enormi ventilatori...

SCARPONCINI ROSSI
Tutto è chiaro invece, il chiaro della mente "illuminata", quando in North, il viaggio riprende con una nuova Dorothy, la sensitiva, "fisica" Chiara Lagani. L'immagine di Oz-Hitler-Charlot è sparita per lasciare il posto a una specie di specchio pluridimensionale che doppia e sdoppia le persone. Così Dorothy si trasforma a vista, dentro e fuori lo specchio magico, che la mostra, la deforma. Allo stesso tempo Oz "è" Dorothy: perché lui sta dentro di lei e lei ha bisogno di lui. Un percorso accidentato per il quale occorrono comodi scarponcini rossi, mentre dall'alto piovono ostacoli e dove si possono fare strani incontri. Un viaggio lastricato di musiche perché sul grande pedonium, lo strumento musicale elettronico con una grande tastiera che sembra un pavimento, l'attrice cammina, tenta nuovi passi, si muove circospetta o provocatoria scatenando suoni diversi e inquietanti in un'affascinante performance.

       
       

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  Passi tormentati da Nord a Sud
     

Renato Palazzi, Domenica - Il Sole 24 Ore, 4 ottobre 2009

     

 

     

C'è il rischio che, con l'ondata di nuove forze che sta scuotendo il panorama teatrale italiano, si tenda a trascurare, e quasi a dare inconsciamente per superati quei gruppi che, giovanissimi negli anni Novanta, hanno allora portato un soffio d'aria fresca sulle nostre scene. Certo, gli ultimi arrivati sono oggi portatori di un'energia devastante. Ma non sarebbe, ovviamente, né generoso né giusto mettere da parte i loro immediati predecessori, che per lo più non si sono affatto fermati, ma stanno proseguendo nel proprio itinerario di ricerca.

I Fanny & Alexander, ad esempio, hanno ora partecipato a un interessante progetto - Opera Futura - della regione Emilia Romagna, che punta a istituire una collaborazione fra teatri d'opera e compagnie di innovazione. Nel quadro di questa iniziativa, al Comunale di Ferrara la formazione ravennate ha presentato South-North, una doppia creazione teatrale-musicale che coincide con una nuova tappa dell'ormai pluriennale circumnavigazione che essa sta compiendo attorno a temi e personaggi del Mago di Oz.

Qui della fiaba di L. Frank Baum, dominata come al solito da un Hitler incombente, resta solo qualche traccia: il filo conduttore è ancora quello del viaggio fantastico, ma si tratta di un viaggio interiore che scende verso Sud, ovvero verso le regioni del cuore, e risale verso Nord, verso il cervello, lungo le rotte di una tormentata geografia corporea. Le due operine si aprono entrambe con delle confessioni, più o meno personali, delle attrici, Fiorenza Menni e Chiara Lagani, che firma anche la drammaturgia: una Dorothy quarantenne e una Dorothy trentaquattrenne, immerse in abissi di dolore.

In South gli smarrimenti dell'anima fanno piombare la sala in un buio assoluto, che per qualche decina di minuti si riempie solo di voci, rumori, echi di passi, ignoti odori: un'autentica partitura di stimoli sensoriali. North porta invece in luce gli incubi della mente: la protagonista è posta dietro a una lente deformante, che altera mostruosamente il suo aspetto, mentre la voce è un lungo soffio straziante che non riesce a diventare né parola, né gemito. Il pavimento è un enorme strumento: calpestandolo si producono bizzarri effetti sonori. Nella sua costruzione all'apparenza scarna, South-North è un evento assai complesso, che gioca in pari misura sulle immagini, sul testo, sull'insolita natura della componente musicale. La regia di Luigi de Angelis è come sempre raffinatissima, l'alta cura compositiva si unisce a una squassante carica di emozioni. Il tutto esprime anche degli ulteriori significati? Diciamo che si tratta di un percorso iniziatico, come tale un po' oscuro: difficile descriverlo, ancora più difficile giudicarlo oggettivamente. Nel bene e nel male, va vissuto sulla propria pelle.

       
       

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  Tra Nord e Sud si perde la bussola
     

Roberto Barbolini, Panorama, n. 41, anno XLVII, 8 ottobre 2009

     

 

     

Che gran nostalgia del vecchio luna-park si prova, durante la prima parte di South-North, in un buio assordante percorso da luci stroboscopiche, stridor di campanacci, gemiti, profumi, incessanti percussioni su ardue partiture sonore svarianti da Steve Reich a Iannis Xenakis, a Mirto Baliani. Allo spettatore sembra di trovarsi su un nero vagone di treno fantasma. Dove però, al posto di ululati spettrali e finte ragnatele che calano dall'alto, incombe l'immagine del Mago di Oz con baffetti alla Hitler e occhi mostruosamente rossi stile Gozzer il Gozzeriano in Ghostbusters.

Partendo da un esile ma ossessivo richiamo al magico mondo di Oz, il gruppo Fanny & Alexander ha ideato un'ambiziosa "opera in due atti" che, dopo il debutto al Comunale di Ferrara, sarà in ottobre al festival internazionale Vie. Ma non bastano trovate come il "pedonium", sorta di pavimento musicale, né l'impegno attorale di Chiara Lagani fra borborigmi, sussurri e grida; neppure l'indubbia eleganza visiva della seconda parte. Si rimane con l'impressione d'un gioco sinestetico fine a se stesso, dove l'eccesso d'intenzioni finisce, tra South e North, per far perdere la bussola.

       
       

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  "North", l'avanguardia allo specchio
     

Gianni Manzella, il manifesto, 11 ottobre 2009

     

 

     

Nord e sud, il chiarore e l'oscurità, lo sguardo crepuscolare a una realtà allucinata e lo sprofondare in una notte piena di fantasmi. Il viaggio di Fanny & Alexander nel meraviglioso mondo di Oz prosegue lungo le coordinate di una geografia mentale che sempre più l'allontana dalle pagine di Frank L. Baum e dal film di Judy Garland, sfondo ideale e motivo ispiratore del pluriennale progetto. Una geografia emozionale che riporta i due artefici, Chiara Lagani e Luigi de Angelis, sui propri passi. Mentre si moltiplicano i detriti delle tappe precedenti che il nuovo lavoro porta con sé. Come l'immagine di Him, mago o imbonitore dagli inquietanti baffetti hitleriani ispirato a un lavoro di Maurizio Cattelan, che incombe dall'alto sulla scena di South, primo tempo del dittico che ha debuttato al teatro Comunale di Ferrara (lo si può vedere a Modena, negli ultimi giorni del festival Vie).

A lui, il mago invisibile di Oz, o meglio a quel simulacro del potere dell'apparenza, rivolge la sua preghiera la metamorfica protagonista, una Dorothy ormai quarantenne (Fiorenza Menni, in libera uscita da Teatrino Clandestino), salita zaino in spalla sul palcoscenico presidiato da una coppia di guardie in bicicletta, in un prologo che rende anche un superficiale omaggio al compositore americano Alvin Lucier, replicando l'effetto sonoro dello storico I'm sitting in a room. E suona come una dichiarazione di intenti, di cercato contatto con le avanguardie musicali del secolo scorso.

Se lo "sconcerto" del precedente Dorothy non nascondeva una vocazione musicale, la nuova produzione dell'ensemble ravennate si presenta esplicitamente come opera per voce e una congerie di fonti sonore. Nel buio in cui per un'ora è immersa la sala, il sound design di Mirto Baliani intreccia composizioni di Steve Reich e Iannis Xenakis ma anche musiche antiche di John Dowland, in un tessuto sonoro di percussioni, urla, rumori, folate di vento, presenze che si sentono muovere invisibili accanto a noi. Per riemergere alla luce del palcoscenico invaso da una schiera di ventilatori che mettono a nudo la magia teatrale, mentre l'attrice indossa l'abito da sposa dell'ultima performance di Pippa Bacca, la sfortunata artista milanese violentata e uccisa in Turchia.

In maniera speculare, il viaggio di North si apre con la salita sul palco di una nuova Dorothy, la stessa Chiara Lagani, che ora dialoga da dietro un vetro deformante con un mago tonante a cui lei stessa dà voce in una significativa identificazione. E prosegue sullo strumento denominato pedonium che occupa la scena, una sorta di grande tastiera a pavimento su cui l'attrice cammina con le sue scarpette rosse, incespica, rotola, cavando da ogni movimento sonorità diverse, mentre sul fondale si disegnano trascoloranti dischi solari.

Il risultato è tutt'altro che sgradevole, carattere quasi d'obbligo delle avanguardie di un tempo. Lascia tuttavia il dubbio, che non riguarda però solo Fanny & Alexander, di un rinchiudersi nella gabbia di una avanguardia innamorata della propria minorità quanto incapace di uscire dalle maglie dello spettacolo.

       
       

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  Se Dorothy cammina nel fuoco
     

Franco Cordelli, il Corriere della Sera, 29 novembre 2009

     

 

     

Da qualche tempo del gruppo Fanny & Alexander, di Chiara Lagani e Luigi de Angelis, non sono più uno spettatore normale, sono un fan; da quando hanno fatto Him, il primo capitolo della loro nuova saga, quella destinata a "Il mago di Oz". Lagani-de Angelis alle saghe, alle epopee, ai romanzi suddivisi in episodi, ovvero in spettacoli, ci hanno abituato. Ma mai come in Him avevano conseguito un risultato così acuto - come una spina che ti entra nel fianco e non puoi più toglierla. Che c'era di tanto considerevole in Him? C'era una sintesi, un inestricabile cortocircuito tra il Male e la Poesia. Fino a quel momento Fanny & Alexander avevano cercato solo la poesia, che identificavano con la giovinezza, anzi con l'infanzia. All'improvviso, sulla loro strada si sono imbattuti, della poesia, nel suo risvolto - secondo l'insegnamento supremo di Milan Kundera, nel suo romanzo non più bello ma più importante, "Il valzer degli addii". Quanto spesso la poesia, diceva Kundera, non serve a nascondere il male? La poesia, ovvero la mistificazione, la sublimazione, la menzogna. Che le minuscole diventino maiuscole, a questo livello, è naturale conseguenza.

Lo stesso si ripete in South-Norh, altro capitolo desunto da "Il mago di Oz". Sono due spettacoli in uno, che però si fondono fino a un certo punto. Nel secondo, il male, anzi il Male, si dissolve. Non resta che la Poesia, a tanto maggior ragione con la maiuscola. La protagonista è sempre lei, quella del film di Frank Baum, Dorothy. In South dichiara d'avere quarant'anni: "Mio padre - dice - era un boscaiolo e abbatteva gli alberi della foresta. La mia mamma, invece è malata di cuore. Non ha nessuna patologia al cuore. Il suo cuore è semplicemente stanco". Segue una divagazione sul tema del cuore, sulla confusione che Dorothy fa tra cuore e clochard, su ciò che per lei è un clochard. Poi arriva al punto, ciò che dà a South un senso non occasionale.

Ricorda Pippa Bacca: "Aveva creato una performance itinerante, un viaggio, in autostop, vestita in bianchi abiti da sposa. Quell'artista aveva visto un'immagine: una sposa mediorientale, che faceva l'autostop. Questa immagine del "reale" ha fatto nascere un desiderio in lei: il viaggio. E allora andava a incontrare le ostetriche, le puerpere e lavava loro i piedi. E loro ricamavano le sue vesti...". Pippa Bacca si era recata in una zona pericolosa, questa era la sua opera d'arte. "Si va sempre a Sud per questo". Tutti ricordiamo come ricevette un passaggio e fu uccisa.

Quando le luci, rimaste a lungo spente sotto l'occhiuta sorveglianza del ritratto di Hitler con la faccia di Marco Cavalcoli, che a Hitler aveva prestato la sua in Him, quando le luci si riaccendono, Dorothy indossa anche lei un abito da sposa, diventa Pippa Bacca. Il Male e la Poesia. In North viene per così dire esaltata la parte centrale di South: esaltata, sublimata. Dorothy saggia con le sue rosse scarpe le tavole di una pedana che è stata posta sul palcoscenico. Ci parla da dietro una lastra che le nasconde il viso. Nel buio si accendono luci fluorescenti. Di nuovo ci sembra di intuire il sibilo del vento, il suono delle campanelle. E poi: urla, lamenti, voci di persone che litigano, lo stormire degli alberi di una foresta, gli uccellini all'alba, un soffio, i tamburi che rullano. O forse no. Questi non sono i rumori di North. Sono quelli di South. Ma è lo stesso. Dorothy continua ad avanzare. Si inginocchia. Hitler non c'è più. Non c'è che lei. Lei che cammina nell'acqua, nella luce, nel fuoco. Dorothy che si dissolve.

       
       

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  Con due Dorothy il viaggio è emozione
     

Franco Quadri, la Repubblica, 5 dicembre 2009

     

 

     

Lungo ma così appassionante che si spera destinato a non finire è il viaggio, che Fanny & Alexander sta dedicando alla saga del Mago di Oz. E si appresta ora a chiudere con le repliche di South-North, dove si rituffa nelle navigazioni della protagonista, rivelandocene, sotto l'immancabile immagine hitleriana di Him, due punti di approdo, ma sempre con un cambio d'identità. In South infatti l'immagine di Dorothy coincide con quella di Fiorenza Menni, che contribuisce a scatenare una tempesta di suoni e rumori. In North le succede sulla scena Chiara Lagani, con una Dorothy che fatica a esprimersi dibattendosi dietro la lente che la separa dalla platea e la abbaglia mentre i commenti sonori provocati dai suoi passi sul "pedonium" danno al viaggio da fermo un'emozione in più.

       
       

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  Sono Oz il grande e terribile. E tu chi sei?
     

Lucia Cominoli, Krapp's Last Post, www.klpteatro.it, 15 dicembre 2009

     

 

     

“Sono venuta a chiederti una cosa: voglio non sentire il cuore e... non lo so, la mia richiesta può sembrare stupida, ma sono sicura è questa: voglio non sentirlo mai, dimenticarlo completamente. Perfetto? Niente cuore, tutto vuoto. Perfetto? Hai sentito? Allora te lo ripeto”.
(Fiorenza Menni, La confessione di Dorothy a Oz/South)

Una domanda, una richiesta, un'ammissione, il disvelamento di un esile segreto che, ostinato, pretende risposta. Inizia così, con una spudorata confessione dai modi gentili, il viaggio a Sud (e poi a Nord) con cui Fanny & Alexander tornano a condurci nella celebre quanto controversa opera di Frank L. Baum “Il Meraviglioso mondo del mago di Oz”.

Dopo di gli espisodi di “Him” e dell'entusiasmante trilogia “A-way” con le suggestioni di “Kansas”, “East” e “Emerald City”, l'esplorazione della fiaba continua sulla scia di uno smembramento che della morfologia ha deformato e ampliato come un prisma caratteri e strutture. Ancora una volta così Dorothy si moltiplica, per farsi personaggio disadorno e quotidiano, umanità piccola e inerme al cospetto di Oz. Una figura cupa, ambigua, si sa, quella del mago, qui incarnata nelle fattezze di Hitler, simulacro di un potere che ammalia, che si arroga del diritto alla libertà per imprigionarla. Ma ecco che se prima, in “Emerald city”, a rivelarsi ai nostri occhi era proprio la sua di storia, inaspettatamente in “South” e “North” il racconto sceglie piuttosto di farsi portavoce dei supplici.

Fiorenza Menni e Chiara Lagani, rispettivamente le Dorothy di “South” e “North”, non saranno così nient'altro che le protagoniste di una singolare nonché autobiografica richiesta, che, a dispetto della favola, non vuole aggiungere ma togliere. Il cuore e il cervello: questi i desideri di privazione di un'aspirante clochard e di una piccola mite, che con la loro voce daranno il via a un personalissimo viaggio di raggiunta consapevolezza e progressiva spoliazione.

Ad accompagnarle saremo noi, spettatori, costretti all'abbandono dei sensi, all'ascolto del suono e alla scoperta dell'immagine. Occhi bendati dopo la confessione, tutto buio, niente luce, laggiù in “South”, a viaggiare con Dorothy e la sua campanella nell'ignoto di un mondo fatto di odori, di venti, di frastuono e di colpi. Una drammaturgia puntuale sottende il percorso, permettendoci tuttavia di aprire noi stessi alla scoperta, di farci protagonisti unici del passo e, tolte le bende, riscoprirci diversi, letteralmente “viaggiati” da una favola concreta divenuta nostra. Artefice della trasformazione anche le musiche di Mirto Baliani, che con l'aiuto di un'ampia squadra di ottimi musicisti ha plasmato il processo di interazione sinestetica in una nuova operazione di linguaggio.

Un ruolo di testimoni attivi, complici di un passaggio sottile, è quello che ci viene proposto anche in “North”, giunti con zaino in spalla, con Dorothy al cospetto di Oz, reinterpretato dalla stessa Chiara Lagani attraverso il filtro di uno specchio deformante, capace di farne personaggio grottesco e spaventoso come la sua richiesta.
Lo spaventapasseri, il leone, l'uomo di latta saranno allora figure immuni da un vero incontro, figure che con le loro fragilità quasi inciampano sul percorso di un'anima che del cervello non sa più che farsene. Dorothy prosegue, decisa, ora in punta di piedi ora a violenti carponi sul pedonium, enorme struttura in legno - ci spiega Baliani - nata per unire la tecnologia del software all'artigianato dei chiodi e delle viti, per condurci, a balzi di scarpette rosse, a suonare un'esperienza sovrabbondante di partiture.
Nel ritmo il controllo si perde e la figura della piccola mite scompare dietro uno schermo piatto, ombra diffusa e finalmente serena tra le pieghe bianche di un fascio di nervi che non esiste più.

Quel che è bene finisce bene, eppure un po' di paura resta.
Su quello che succederà dopo infatti non è dato sapere: Oz tace, non dialoga, esaudisce. Ma allora, qui, adesso, che cosa è realmente accaduto?
Regalare immaginazioni, sembrano dirci Fanny & Alexander, è il feroce antidoto del potere allo snaturamento delle sue creazioni.

       
       
       
     

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