Rassegna stampa - Spettacoli
       
      O - Z
      HIM
      If the wizard is a wizard you will see...
       
     

Franco Cordelli, Ma è Hitler o il Mago di Oz?

Andrea Monti, HIM

Nicola Villa, Marco Cavalcoli: "Him. Vedrai se il mago è veramente un mago..."

Luigi Coluccio, HIM

Giacomo d'Alelio, Il fragile Hitler dei Fanny & Alexander

Giorgia Catapano, A Roma lo spettacolo "HIM" dei Fanny & Alexander: con uno straordinario Marco Cavalcoli rimette in discussione ogni folle ingenuità

Roberto Di Palma, HIM. If the wizard is a wizard you will see...

Paola Di Felice, HIM

Michele Miglionico, Il sottile confine tra follia e magia in Oz

Andrea Balzola, Il grande doppiatore ovvero il Mago di Oz secondo Fanny & Alexander. Him: le imprese straordinarie di Marco Cavalcoli mago-dittatore sonoro del regno di Oz

Rita Borga, Onnipotenza e illusione, se il Mago di Oz ha le sembianze di Hitler

Simona Spaventa, Il teatro spericolato di Fanny & Alexander

Tommaso Chimenti, HIM

Renato Palazzi, Emerald City + HIM

Francesca Brancaccio, La realtà, l'illusione, l'inganno

Vincenzo Branà, Him e gli applausi

Francesca Santarelli, Valle Occupato, successo per "Him", tra Hitler e il Mago di Oz

       
       

    Ma è Hitler o il Mago di Oz?
     

Franco Cordelli, Il Corriere della Sera, 20 gennaio 2008

     

 

     

Luigi de Angelis, il regista del gruppo Fanny & Alexander, lavora per serie di spettacoli. Dopo i numerosi dedicati a "Ada" di Nabokov, e dopo Heliogabalus, ecco Him, primo d'una nuova serie per Il mago di Oz, o meglio per la sua protagonista, la fanciulla Dorothy. Vi è, in tutto ciò, una straordinaria, ossessiva, quasi morbosa continuità. Il personaggio archetipico potrebbe essere l'Alice di Lewis Carroll. Con Ada il tema dell'androginia si fa esplicito. Esso torna nell'Eliogabalo di Artaud, con connotazioni di ambiguità meno sfumate. Perfino in un recente spettacolo dedicato a Landolfi echeggiava lo stesso tema, fondato sulla figura dei "nippies", i simulacri.

In Him la sorpresa è massima. La scorsa settimana definivo all'ennesima potenza Molly Sweeney, lo spettacolo che De Rosa ha tratto dalla commedia di Brian Friel: in esso uno strato linguistico si sovrapponeva all'altro, ovviamente modificandolo. Ma erano linguaggi posti per così dire in verticale. In Him, tanto semplice è ciò che vediamo quanto complesso, turbinoso, a-simmetrico il percorso per arrivare alla forma di cui siamo spettatori. Sulla parete di fondo scorre Il mago di Oz di Victor Fleming. Sul vuoto palcoscenico c'è un solo attore, in ginocchio, è Marco Cavalcoli. Davanti a lui, a terra, un piccolo computer (credo sia un computer su cui scorrono le immagini del film sincronizzate con le immagini che vediamo noi spettatori). Cavalcoli rotea la bacchetta di un direttore d'orchestra.

Ma notevole è che Cavalcoli, Him, Lui, è nientemeno che Hitler. Lo individuano in modo infallibile il vestito marrone, la camicia color terra, la cravatta ugualmente marrone e, si capisce, i baffetti e i lisci capelli che cadono sulla fronte. La mente va subito a un'identica, o simile, immagine di Maurizio Cattelan. Di questo Hitler, denominato Him, vi sono in circolazione due o tre copie. Una di esse è al Castello di Rivoli. Si tratta di una statua, a grandezza naturale, in vetro-resina, con una finta pelle per viso e mani. Il vestito è uguale, o quasi uguale, a quello di de Angelis.

L'unica differenza tra questi due simulacri è che quello di Cattelan vuole essere guardato, e quello dello spettacolo ci guarda, anzi agisce, dirige un'immaginaria orchestra, in altre parole non è solo un pupazzo, è un attore.

L'eccezionalità dello spettacolo non consiste nel mero stravolgimento, ironico e svagato, dell'ironia di Cattelan, della sua macabra ironia. Qui siamo di fronte a una messa in scena critica del testo proveniente dalla sfera delle arti visive e, in un vertiginoso agglutinarsi dei linguaggi, del film di Fleming. Non c'è solo Cattelan. C'è anche, o prima di tutto, il mago di Oz, quel famoso ciarlatano per bambini, per i bambini che tutti noi siamo.

E chi altri è, nel linguaggio di Fanny & Alexander, il ciarlatano principe, quel puerile, demente mago, se non Hitler, Him, Lui? Assente ogni riduzione del criminale a burlesco personaggio, questo Hitler che si contrappone al candore di Dorothy (il suo Eliogabalo!) non è più Hitler ma, artefice di una prova stupefacente, è Marco Cavalcoli.

A furia di eccessi, l'attore depotenzia il suo personaggio. Egli fa il mago in tutti i sensi, ovvero dirige il gioco - del desiderio della casa e di quello della fuga da essa, del desiderio criminale e del pentimento (in ginocchio) - anche con la voce: nell'inglese originale del film, tutte le voci sono la sua. La vera casa, ci dice, è ciò che facciamo di noi da adulti, quando, come Dorothy, siamo senza casa.

       
       

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Andrea Monti, TeatroTeatro.it, gennaio 2008

     

 

     

Adolf Hitler accoglie il pubblico immobile ed in ginocchio, chiede scusa o vuole sentirsi ancora direttore di un'orchestra? Parte il video, le dimensioni si sdoppiano, la matita comincia a volteggiare e il piccolo grande dittatore torna in possesso di un mondo impalpabile.

Luigi de Angelis mette in scena uno spettacolo che è un doppiaggio del Mago di Oz del 1939 proiettato alle spalle di un ispiratissimo Marco Cavalcoli. Voci, suoni, rumori, turbamento e gioia vengono trasmesse dall'attore che in ginocchio prende le sembianze dell'Hitler di Cattelan, un'ironica visione di un mondo che produce mostri che muoiono prima di chiedere perdono per le loro atroci degenerazioni. Come Carmelo Bene in Pinocchio è ancora una favola a stuzzicare la fantasia di un artista che, come un dio, dà voce a tutti i personaggi che abitano il suo mondo.

L'inizio è magico, la musica, diretta fintamente dal protagonista, lascia spazio agli attori sullo schermo che parlano in inglese e di cui si può seguire la sincronia del labiale. Non sbaglia un'inflessione Cavalcoli, di rado butta un occhio al piccolo schermo davanti a sé che, più di aiutarlo a tenere il segno, gli infonde sicurezza. Instancabile regala sguardi, accelerazioni e canti che mantengono la sintonia con lo scorrere delle immagini.

La grandezza dell'operazione risiede nella follia con la quale è portata a termine. Incurante del pubblico che può apprezzare l'idea, associare i significati, tentare di andare oltre, ma si aspetta comunque una variazione, l'attore recita tutto il film fino ai titoli di coda. Come un trapezista del circo accetta il suo destino di stupire accrescendo il numero dei salti mortali. A Cavalcoli, dopo un sufficiente numero di prove con l'ausilio del piccolo video, l'augurio di farne a meno per compiere il salto nel vuoto senza rete, interpretando tutto il film dando le spalle allo schermo, regalando alla sala quella suspense che la terrà incollata alla sedia a dividersi tra chi auspica l'errore e chi incrocia le dita scongiurandolo. Quella tensione in sala renderà a pieno il senso dell'illuminata e folle operazione.

       
       

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  Marco Cavalcoli: "Him. Vedrai se il mago è veramente un mago..."
      Nicola Villa, O. La rivista della Scuola Omero, 21 gennaio 2008
       
     

Dal 15 gennaio al 10 febbraio al Piccolo Jovinelli a Roma è in programma "HIM" dei Fanny & Alexander, interpretato da Marco Cavalcoli, con la drammaturgia di Chiara Lagani e la regia di Luigi de Angelis. Su un grande schermo, dietro al palco, viene proiettato "Il mago di Oz" di Victor Fleming con Judy Garland e sul palco, solo, in ginocchio, c'è un piccolo dittatore-direttore d'orchestra che tenta di doppiare tutte le voci, i suoni, le musiche e i rumori del film. Un'idea semplice e folle, impossibile e credibile, esilarante e inquietante, megalomane e fallimentare allo stesso tempo, messa in piedi dalla compagnia ravennate come tappa del percorso ispirato dalla favola di L.F.Baum (tra l'altro i Fanny saranno di nuovo a Roma l'1 e 2 febbraio al Palladium con "Doroty. Sconcerto per Oz"). HIM è uno spettacolo spiazzante per la sua originalità e si presta a numerose letture: una politica, sul potere e la sua auto-rappresentazione; una religiosa, sull'onnipotenza che si annulla; una auto-riflessiva, sull'attore e i suoi limiti. L'abilità di Cavalcoli sta tutta nel mescolare rapidamente intonazioni e espressioni mimiche da Dorothy al Mago di Oz, dallo Spaventapasseri all'Uomo di Latta, dal Leone al cagnetto Toto, dalla feroce strega dell'Ovest alla buona strega del Nord. Il risultato è spassoso e imperdibile. Di seguito una breve intervista proprio al "mago" dello spettacolo:

Che cos'è HIM in due parole?
HIM è uno spettacolo che mescola teatro e cinema non privilegiando nessuno dei due linguaggi.

Il nome è preso da un'opera di Cattelan e l'attore dello spettacolo è vestito e assomiglia a Hitler.
Quello che colpisce dell'opera HIM di Cattelan è il fatto che si entra nella sala del museo e si vede un bambino inginocchiato nell'angolo, gli si avvicina quasi per dargli una carezza e improvvisamente si rimane orrificati nello scoprire che il suo volto è quello di Hitler. In questa c'è tutta l'ambiguità del simbolo dell'orrore di quell'icona del male e la tenerezza di questa figura indifesa. HIM porta in scena una figura simile, quasi fosse una statuetta votiva in un edicola, un dittatore inginocchiato, a tratti grottesco, ma anche molto piccolo.

Si può leggere il vostro lavoro come una metafora dell'attore: il protagonista è sia il direttore della scena che attore, perché doppia i personaggi e allo stesso tempo è parlato dagli stessi.
Hitler non è solo il primo simbolo assoluto del male in Occidente, ma è stato anche il primo dei dittatori del Novecento ad essere esplicitamente uscito dall'ambito della retorica, dalla grande retorica, per essere veramente un attore. Hitler, è documentato, ha fatto dei corsi di recitazione, ci sono delle foto dei suoi gesti studiati sulle registrazioni dei suoi discorsi ed è veramente una figura costruita per la scena. Paul Ekman (studioso psicologo americano) ne parla come di un vero e proprio talento naturale. In questo spettacolo c'è un attore-dittatore che cerca di impossessarsi di un mito, di una favola, di un'opera. La sfida è vedere fino a che punto questa megalomania può esprimersi e dove è destinata a infrangersi sui limiti evidenti della rappresentazione scenica.

La rappresentazione di un'impossibilità?
Tecnicamente si, ma il pubblico ci crede come se questo attore fosse un imbonitore. La rappresentazione si spinge fino al limite per vedere a che punto il pubblico è disposto a crederci.

Nello spettacolo ci sono due aspetti: uno esilarante e uno inquietante. Da questo punto di vista lo spettatore è disorientato come se si trovasse di fronte a un comico film nazista.
Sicuramente il film contiene dei nodi molto inquietanti sia politici, sia psichici che culturali. Come tutte le grandi favole, "Il mago di Oz" è una divertente storia per bambini estremamente aperta alla crudeltà, anche alla crudeltà del teatro, quella di cui parla Artaud. C'è qualcosa di inquietante in questo tentativo megalomane di doppiare un intero film. Proprio per questa tensione verso l'assoluto, il singolo attore scompare, perché a un certo punto gli spettatori non guardano più lui, ma solo il film.

       
       
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Luigi Coluccio, Close-Up.it, 22 gennaio 2008

       
     

Si dice che Hitler ogni tanto - a noi piace immaginare nei momenti più cupi... - facesse tirare fuori dal suo archivio cinematografico la copia personale del Grande Dittatore di Chaplin e, sorridendo, letteralmente, sotto i baffi, si abbandonasse alla visione del capolavoro comico del suo più acerrimo rivale...
E se avesse fatto lo stesso con Il mago di Oz?...

La compagnia ravennate Fanny & Alexander - Chiara Lagani e Luigi de Angelis, con Marco Cavalcoli - nella sua discesa romana mette in scena, dal 15 gennaio al 10 febbraio al Piccolo Jovinelli, lo spettacolo Him, costola estemporanea e solitaria dell’affresco favolistico à la Bosch di Dorothy - Sconcerto per Oz - al Teatro Palladium di Roma dall’1 al 2 febbraio.

Presentati entrambi in Italia ad ottobre 2007, i due spettacoli posseggono un principio di relazione che però si ferma solo al prelievo della figura dell’Hitler in punizione di catteliana citazione [1] : l’universo di monadi - termine usato dalla stessa Chiara Lagani - di Sconcerto per Oz non è altro che un mero accostamento di mondi primigeni e inviolabili - ma comunicabili - che, se osservati attraverso una lente escheriana - assoluta, prospettica, ingannatrice -, ridanno la visione intima ed essenziale di, per l’appunto, quella sola monade, quel solo universo. Cercare, ora, di immaginare Him come una performance teatrale a sé stante, collocata in un hic et nunc che è il Piccolo Jovinelli, ma ontologicamente racchiusa in un universo che si attuerà, mettiamo, al Teatro Palladium, non è più un volo pindarico così spaventoso...

Le riflessioni che se ne conseguono sono molteplici e tutte feconde di variegati sviluppi - l’analisi stessa del solo Him ha una sua ragion d’essere, ma questa stessa analisi troverà la giusta collocazione e sistemazione solo in rapporto ad una futura, ed indipendente, analisi di Sconcerto per Oz.

In scena abbiamo un Hitler in ginocchio e con una matita in mano. Dietro di lui uno schermo su cui iniziano a scorrere le immagini del classico Il mago di Oz (The Wizard of Oz, 1939, Victor Fleming). Ma, al posto delle voci di Judy Garland-Dorothy, dello Spaventapasseri, della Strega Buona del Nord e di così tutti i personaggi, è la voce del nostro novello doppiatore-dittatore che udiamo. E così avviene anche per quanto riguarda il cane Toto, l’uragano, lo sbattere di una porta, le canzoni del film e via dicendo. Un assolutismo artistico cha ha del patetico e del terribile insieme.

Ci risuonano in mente, ammonitrici, le parole di Aldous Huxley: “Il desiderio di imporre ordine al caos, di trarre armonia dalla dissonanza, unità dalla molteplicità, è una sorta di istinto intellettuale [...] L’opera di questa che io definirei “volontà d’ordine” è quasi sempre benefica nel campo della scienza, dell’arte, della filosofia [...] Ma nella sfera sociale, nel dominio della politica e dell’economia, la “volontà d’ordine” diventa veramente pericolosa”. Qui non si tratta di un atto “in potenza” politico o sociale: l’Adolf Hitler prostrato davanti a noi è inerme, sottomesso, incapace di sorridere alla sua stessa, a tratti esilarante, situazione, totalmente alienato da un qualcosa che è costretto a fare quando entra nella sala il pubblico e si abbassano le luci. La pericolosità sta propria nella sua paradossalità, nella sua indeterminazione: una volontà d’ordine - che noi sappiamo quel piccolo uomo possiede... - di stampo politico-sociale applicata all’arte, alla poesia, al teatro; un tentativo di liberarsi dalla schiavitù artistica a cui l’ha incatenato la Storia tramite un’enorme sforzo razionale ed emotivo e fisico assieme, capace di assoggettare i suoi stessi aguzzini. Un sorriso di quell’Hitler, uno spettacolo interamente doppiato, interamente rifatto da quella voce adunatrice di popoli, dispensatrice di guerre e stermini e magie, e l’incubo ritornerebbe - forse per non andarsene mai più...

Luigi De Angelis - qui alla regia - e Chiara Lagani - drammaturgia - sembrano essere consci di ciò: lo spettacolo verte essenzialmente sulla figura del doppiatore-dittatore, capace di reggere, fluire e far rifluire le risate, l’attenzione e lo stupore del pubblico. La monade, consciamente, viene mostrata fenomenologicamente, senza alcuna alterazione di regia o drammaturgia rispetto all’universo-mondo di Sconcerto per Oz . La tensione emotiva è costante: il senso di (amaro) stupore, di paura sottile, che attanagliava lo spettatore più consapevole alla visione de il cinematografico Mago di Oz qui rimane intatta. La possibilità di un sorriso del Fuhrer è troppo grande per essere paventata così fiabescamente...
Marco Cavalcoli ci offre una prova di gran classe: costretto a terra dal suo catteliano doppiatore-dittatore, ci guida nell’universo in Technicolor di Oz attraverso una matita e l’ausilio della sua mimica facciale e vocale. La visione centripeta dello spettacolo non viene mai meno grazie soprattutto alla sua grande capacità di affabulazione performativa - del resto simili capacità performativo-vocali le avevamo già ammirate nel bellissimo Ossigeno del Teatrino Clandestino l’estate scorsa a Short Theatre.

Somewhere over the rainbow cantava Dorothy con lo sguardo al cielo. Somewhere over the rainbow canta Hitler, da qualche parte nel mondo, in attesa di essere liberato...

[1] Maurizio Cattelan, "Him", 2001. Cera, capelli umani, giacca, resina poliestere 101x41x53 cm. Färgfabriken, Stoccolma.

       
       
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      Giacomo d'Alelio, Carta nr. 2, 25 gennaio-1 febbraio 2008
       
     

Entrando nel Piccolo Ambra Jovinelli a Roma per la visione di HIM dei Fanny & Alexander di Ravenna, nel buio della stanza fino al 10 febbraio si troverà sul palco la figura di un omino inginocchiato su di un cuscino, apparentemente innocuo, baffetti, capelli ingellati da una parte, giacca e cravatta dai toni militari. Attende immobile, un grande schermo alle sue spalle, un piccolo televisore portatile di fronte a lui. Ha nella mano destra una bacchetta d’orchestra che si anima con lui quando alle sue spalle compare il logo della Metro Goldwin Mayer, le immagini del classico The Wizard of Oz di Victor Fleming, dal libro di Lyman Frank Baum, con Judy Garland protagonista nel ruolo della Dorothy dalle scarpette rosse. Over the Rainbow ci cantava colma della speranza di  trovare alla fine dell’arcobaleno una realtà piena di nuove possibilità. In questo caso è l’omino innocuo a riprodurre le voci, i canti, i suoni e versi che percorrono la durata di tutto il film, e dello spettacolo. Il protagonista di HIM è l’Hitler persecutore del nostro tempo, ispirato alla scultura di Maurizio Cattelan: quanti lo hanno visto solitario in una stanza di museo hanno provato tenerezza nella sua fragilità prima di accorgersi di chi fosse. Si comprende la banalità del male quando lo vedi nella sua semplicità quotidiana, nel suo essere umano, come ci ha ricordato il regista russo Alexander Sokurov in Moloch. L’Hitler dei Fanny & Alexander rimane inginocchiato nella sua follia di essere un nuovo Mago di Oz, di poter controllare in ogni sua parte un mondo. Il suo viso si trasforma da un personaggio all’altro, passando da una situazione ad una nuova, raccogliendo l’ilarità degli spettatori. Nella sua bravura è Marco Cavalcoli, tra i fondatori della compagnia con Luigi De Angelis alla regia e Chiara Lagani alla drammaturgia, a farlo vivere in modo vorticoso come il ciclone che nel film conduce Dorothy in un’altra realtà. Del resto può essere Dorothy il nome proprio di un ciclone, usanza comune in America, basti ricordare Katrina che ha sconvolto New Orleans. HIM fa parte del nuovo progetto pluriennale dei Fanny dedicato ad Oz e alle possibilità del linguaggio e dell’arte, cosa produca nell’anima dell’uomo, in un percorso originale e raffinato, che porta ogni volta ad un’ulteriore sorpresa; come avverrà al Palladium sempre a Roma l’1 e 2 febbraio con Dorothy. Sconcerto per Oz, di cui HIM è costola. L’ilarità che viene prodotta istintivamente dalla statua animata da Marco Cavalcoli nasconde il timore dell’uomo per la perdita di controllo nei confronti delle cose, esseri umani, situazioni. La realtà spaventa, si è perso il vocabolario capace di farci sopravvivere liberamente. I Fanny & Alexander sono in grado di ricordarcelo.

       
       
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      Giorgia Catapano, aise - Agenzia Internazionale Stampa Estero, 29 gennaio 2008
       
     

"Somewhere over the rainbow...". Chi non ricorda il celebre tema di Harburg e Arlen dal film "Il Mago di Oz", nel quale una giovanissima Judy Garland mostrava le sue grandi doti canori e attoriali? Il regista Victor Fleming, con alle spalle la straordinaria macchina produttiva della MGM, ha trasformato il libro magico di L.F. Baum in un musical. Probabilmente il musical più visto, da oltre un miliardo di persone in tutto il mondo, e il più amato.
Con l'utilizzo di innovativi e, per la nostra epoca, semplici effetti speciali e con la sua carica divertente di canzoni e dolci melodie, la storia tocca il bambino che è in ognuno di noi. Dorothy, dopo essere fuggita dalla sua casa in Kansas per salvare il suo cagnetto Toto dalle grinfie di una convenzionale e odiosa donna del villaggio, viene travolta da un uragano e portata come per magia in un mondo coloratissimo. Ingenuamente e involontariamente sconfigge una strega malvagia. Anche se è estasiata da un mondo letteralmente in Technicolor, abitato da una strega buona e dai deliziosi nani "Mastichini", l'unico desiderio della fanciulla è tornare a casa. Per realizzarlo non ha che da seguire il sentiero dorato che conduce al "Meraviglioso Mago di Oz", l'unico in grado di realizzare l'impossibile.
Ma, prima di giungere al Palazzo di Smeraldo, Dorothy, come in ogni favola che si rispetti, deve affrontare i pericoli del viaggio. Incontra sulla sua strada lo Spaventapasseri che sogna di avere un cervello, l'Uomo di latta che sogna di avere un cuore e il Leone al quale manca il coraggio. Armati dei propri desideri e forti della loro unione, tutti insieme superano i pericoli e giungono al castello per chiedere al Mago di Oz di essere esauditi. Ma qui le cose, ovviamente, si complicano. Prima di essere ricevuti devono superare una prova: distruggere un'altra strega cattiva. Ci riescono, sempre grazie all'ingenuità e al caso, che aiuta chi si ribella alle ingiustizie.
Ma il "Meraviglioso Mago di Oz" non si rivela altro che un ciarlatano: è un piccolo omino che manovra effetti speciali per apparire onnipotente. La sua magia è un inganno, che sta in piedi come stanno in piedi le illusioni, durano finché ci si crede. Ed è qui che la morale della favola si svolge e svela: Dorothy ha sempre avuto il potere di tornare a casa, grazie alle magiche scarpette rosse che la strega buona le ha già donato dall'inizio. L'unica cosa che sinora le è mancata è stato dire, e dichiarare a se stessa, come in un mantra, quanto la sua casa sia il posto più bello del mondo.
Il film, del 1939, è nella storia del cinema e, da allora, è una visione collettiva di buoni sentimenti che insegnano che la vera forza è dentro se stessi.
Ma c'è uno spettacolo teatrale, in scena fino al 10 febbraio al Piccolo Jovinelli di Roma, che rimette tutto in discussione. Con una straordinaria audacia e inventiva, la compagnia ravennate Fanny & Alexander presenta "Him", con la regia di Luigi de Angelis. La scena è spoglia. Sul palco solo un grande schermo e un unico attore, in ginocchio. È inequivocabilmente Hitler, lo si riconosce dai baffetti, i capelli e il vestito. La posa e il nome richiamano l'opera di Maurizio Cattelan, che raffigura a dimensioni naturali Hitler in ginocchio, pensato per essere visto di spalle, come un bambino innocuo che mostra il suo terrificante e simbolico volto solo a distanza ravvicinata girandoci intorno.
Nello spettacolo, mentre sullo schermo ha inizio proprio il film "Il Mago di Oz", l'attore, stavolta sfacciatamente di fronte al pubblico, con una bacchetta in mano che rotea ipnoticamente come un orchestratore, inizia a parlare. In inglese. Da subito ci si accorge che è lui la voce del film. Che, anzi, è tutti i personaggi, tutti i rumori, le musiche, il volo degli uccelli, le porte che sbattono.
In una strabiliante recitazione, che ha dell’incredibile, quella di Marco Cavalcoli, l'Hitler inginocchiato esprime la mania di onnipotenza appropriandosi di tutto il film, che è suo e nel frattempo gli scorre alle spalle con il suo potere ammaliante.
Da spettatori non si sa dove guardare. Si è indecisi, disorientati, inseguiti e accerchiati dalle tante immagini e dalla voce unica. L'effetto è di un comico che raramente si prova, è una risata spontanea che nasce dallo scontro tra il tragico e l'assurdo e che solo la recitazione nella lingua originale del film poteva creare. Si ride perché il simbolo dell'orrore più tremendo è in ginocchio, si ride perché evidentemente non riesce nella sua folle impresa. Ma il solo fatto che ci provi, lo rende ancora una volta pericoloso. Si ride perché in un colpo solo cadono tutti i simboli dell'assoluto: un orribile dittatore omicida, ma anche la dittatura dei buoni sentimenti sdolcinati e il mondo magico. Cascano, insieme e in quasi perfetta sincronia, davanti al senso del ridicolo. Ma ricordano che, se cadono, è perché esistono, glielo abbiamo permesso.
Il risultato è di forte e sconcertante bellezza. Quella di uscire da un teatro con la consapevolezza di essere cresciuti, anche se in segreto si pensa con sollievo che l'uomo in ginocchio non potrà mai calzare le scarpette rosse. Ma poi rimane il dubbio che le abbia già addosso, fin dall'inizio, cosa che non ci è dato sapere.
Imperdibile l'altra tappa dei Fanny & Alexander, sempre sullo stesso terreno di ricerca: di nuovo a Roma, al Palladium, l'1 e 2 febbraio con "Dorothy. Sconcerto per Oz".

       
       
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      Roberto Di Palma, CinemAvvenire, 30 gennaio 2008
       
     

Alcuni preamboli. Il lettore medio, o lo spettatore medio di teatro medio, non è tenuto a sapere chi sia Maurizio Cattelan. Maurizio Cattelan è il più grande, famoso, controverso artista italiano di arte contemporanea. È quello che ha fatto un’opera che rappresentava il Papa colpito da un meteorite. È quello che ha installato delle sculture, prontamente rimosse, con dei bambini impiccati nella ex-civilissima capitale morale italiana Milano. È l’autore di HIM.
Secondo preambolo. HIM è una scultura di Maurizio Cattelan che rappresenta Hitler. In scala leggermente ridotta rispetto a quella naturale, presenta il dittatore nazista in ginocchio, nell’atto di pregare, in cera, capelli umani, giacca, resina e poliestere per le dimensioni di 101x41x53 cm. È un’opera di Cattelan, quindi è un’opera controversa, e non abbiamo certo qui alcuna intenzione di parlare di questo.
Terzo preambolo. Fanny e Alexander sono una delle realtà più entusiasmanti del nuovo teatro di ricerca italiano. Gruppo teatrale di Ravenna, ha al suo attivo una decina di spettacoli molti dei quali improntati su un non troppo conosciuto romanzo di Nabokov, Ada o ardore. Durante le loro messe in scena usano dei mezzi di comunicazione diciamo eterodossi, sperimentano nuove modalità di relazione con il pubblico, nuove modalità di messa in scena, nuove modalità di spazio teatrale.

Fine dei preamboli. HIM. If the Wizard Is a Wizard You Will See... è il nuovo lavoro di Fanny e Alexander. È un lavoro puramente concettuale, pur prevedendo un grandissimo virtuosismo attoriale. Io adesso ve lo racconto, e dopo avermi letto è come se lo aveste visto. Andandolo a vedere non avrete molto di più al di là del concetto, dell’idea, se non appunto il godere del virtuosismo attoriale dello straordinario Marco Cavalcoli.
Il sipario si apre e ci compare davanti Hitler, in ginocchio, nell’atto di pregare. Dietro di lui, su uno schermo, viene proiettato, dall’inizio alla fine, Il mago di Oz, film di Victor Fleming del 1939 considerato da David Lynch come il film più bello della Storia del Cinema, e che, spero di poter dire, tutti conosciamo.
Hitler estrae una matita e comincia a muovere le mani come un direttore d’orchestra. Comincia a cantare la canzone iniziale. E partito il film, privo di sonoro, lo scopriremo in grado di fare tutte le voci, tutte le musiche, tutti i rumori di Il mago di Oz. Praticamente abbiamo un unico doppiatore che dal vivo interpreta tutti i personaggi, compreso Toto, che fa la colonna sonora con la voce, che fa, da solo, l’audio di tutto il film. In inglese, e in perfetto sincrono labiale. Il che è difficilissimo e deve costare al bravissimo Cavalcoli una fatica infinita a ogni replica.
Che cosa significa questo spettacolo? Ci si potrebbe riflettere sopra. È una riflessione sul totalitarismo che pretende di sostituire la coralità democratica con un’unica voce? È una riflessione sul pensiero unico contemporaneo, che prevede un’unica verità, che non prevede più la molteplicità ma un punto di vista preciso e condiviso da tutti? È una riflessione sul fatto che il potere, come il mago di Oz, è sempre illusione, per quanto ingegnosamente messa in piedi?
Forse.

Di fatto ci troviamo di fronte a qualcosa che assomiglia più all’arte contemporanea che non al teatro, che è terribilmente statico, che si esaurisce (al di là della fatica e bravura attoriale) in un puro concetto, che è derivativo (HIM di Cattelan è molto più emozionante di HIM di Fanny e Alexander, ci interroga di più, è più misterioso; e in parte ciò è dovuto alle dimensioni leggermente ridotte, che un attore ovviamente non può avere).
Andare a teatro è un atto politico. Andate a vedere HIM perché Fanny e Alexander vanno, assolutamente, sostenuti. Vogliamo vedere altri loro lavori. Ci piacciono moltissimo.
D’altra parte se potete vedere qualcos’altro, di Fanny e Alexander, preferiteglielo. Vedere dal vivo HIM non vi darà più emozione di quanta ne avrete potuta avere leggendone il resoconto, ovvero poca. Vi vedrete, in pratica, Il mago di Oz, il che non è male. Il fatto che sia un unica voce a fare tutto dopo un po’ passa in secondo piano di fronte alla capacità affabulatoria del film. Avrete la soddisfazione di applaudire una straordinaria prova d’attore. Per me non è abbastanza, da Fanny e Alexander mi aspetto (e presto) altro.

       
       
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      Paola di Felice, il grido.org, febbraio 2008
       
     

La bottega d’arte Fanny & Alexander continua la propria proposta di teatro che dialoga con il cinema in una pièce comica ed audace come Him.
Su una scenografia minimalista, dove campeggia un grande schermo sul quale viene proiettato il capolavoro della storia del cinema Il mago di Oz, un improbabile direttore-dittatore con le fattezze di Hitler doppia ogni personaggio, suono e melodia del film. Da qui scaturisce un’irrefrenabile ilarità che prende forma dai cambiamenti repentini di espressione facciale e tono di voce.
La piccola Dorothy, lo spaventapasseri, l’uomo di latta, il leone codardo ma anche il cinguettio degli uccellini e i versi gutturali degli sgherri della strega cattiva, si alternano vorticosamente generando un turbine di parole assai simile al tornado che trasporta la protagonista del film nel favoloso mondo di Oz.
Marco Cavalcoli, in una magistrale quanto estenuante interpretazione, stupisce e stordisce il pubblico, suscitando il riso e sorprendendo per la sua notevole versatilità vocale, padronanza della lingua e mimica.
Il direttore - doppiatore sembra posseduto dall’opera: ha il viso stravolto dalla fatica, contorce il volto in modo quasi schizofrenico ogni qualvolta si appresta a dar voce a un personaggio. Il suo aspetto suggerisce una riflessione sulla mania di onnipotenza e le sue manifestazioni negli ambiti più disparati; mentre il paradosso visivo tra le immagini incantate della pellicola e le connotazioni del direttore insinuano una preoccupante ma divertente componente di follia.
In una parola: geniale.

       
       
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      Michele Miglionico, Teatro.Org, 15 febbraio 2008
       
     

L’esperienza di assistere a questa performance è surreale.
Marco Cavalcoli è inginocchiato lì, al centro del palco, truccato come Adolf Hitler; alle sue spalle, il classico film “Il mago di Oz” procede, mutilato della sua pista audio. Il dittatore scimmiotta un direttore d’orchestra, nei suoi ipnotici, ossessivi movimenti delle braccia. In tutto questo, l’attore recita il film. In inglese. Doppia uomini, donne e animali; canta a cappella i brani del musical; intona la colonna sonora; fa le veci del rumorista in tempo reale. La sincronia con il labiale (e non) della pellicola è assoluta.

Pur tra due alternative, c’è l’imbarazzo della scelta sull’approccio per seguire lo spettacolo. Ci si può concentrare sul film in proiezione, sghignazzando per la folle precisione del sonoro fresco di emissione; oppure, lo sguardo può puntare sullo stesso protagonista, che non si limita a dirigere, letteralmente, l’orchestra delle sue corde vocali, ma che impersona istante per istante i personaggi che si susseguono alle sue spalle. Particolarmente efficace la sua interpretazione mimica e vocale del pavido Leone.

Il pubblico non può fare a meno di ridere. Il contrasto tra il dolce viso di Judy Garland e l’imitazione della sua voce, per citare un esempio, è di immediato effetto comico. Non è importante conoscere la trama de “Il mago di Oz” o riuscire a comprendere i dialoghi in inglese. Qui il gruppo ravennate "Fanny & Alexander" punta soltanto a stranire e divertire. Di certo, per una maggiore correttezza, andrebbe indicata sul cartellone la reale natura dello spettacolo, in special modo l’interpretazione in lingua originale del film. Man mano anche i più scarsi anglofoni ingranano nella comprensione, ma chi fosse a totale digiuno della lingua di Shakespeare…?

Nell’ambito di “Scene Dinamo”, con questa prima regionale l’Opificio Fabrica Famae dà ancora spazio a questa nuova frontiera del teatro, che supera il semplice monologo. L’impossibilità di sostentare un’intera compagnia mette al muro i singoli artisti, che si caricano il fardello di tutti i ruoli di uno spettacolo, raschiando il fondo del barile del proprio talento. Così era stato con il recente adattamento di “Ubu Incatenato” del gruppo Fortebraccioteatro; così era stato con “Ecce robot” di Daniele Timpano, più accostabile a “Him” perché anch’esso basato sul gioco (inverso) del missaggio del doppiaggio di un’opera nata per lo schermo – in quel caso, il cartone animato “Mazinga Z”. E’ questo uno dei futuri più probabili per la drammaturgia?
Marco Cavalcoli, dotato di memoria e vocalità non comuni, meriterebbe prove più sane e tradizionali, per raggiungere una platea di maggior respiro.

       
       
Torna ad inizio pagina   Il grande doppiatore ovvero il Mago di Oz secondo Fanny & Alexander
      Andrea Balzola, ateatro nr. 116, www.ateatro.it, 16 marzo 2008
       
     

Tutte le energie di Fanny & Alexander sono state catturate dal ciclone del fantastico regno di OZ (dal libro per ragazzi Il meraviglioso Mago di Oz, di F.L. Baum, ripreso dal film omonimo di V. Fleming, del 1939), ispirandosi al quale Luigi de Angelis e Chiara Lagani hanno costruito un grande progetto teatrale da realizzare tra il 2007 e il 2010, che prevede 6 spettacoli (Dorothy. Sconcerto per Oz; Him; Kansas; North, East, West, South; Emerald City), autonomi ma tra loro collegati come in una sorta di ipertesto, e un evento speciale finale (Eye of the Cyclon) che ne racchiuderà esperienze, tematiche e rilanci possibili.
Dopo aver debuttato nel 2007 in Macedonia e ad Amburgo con Dorothy. Sconcerto per Oz, de Angelis-Lagani lo stanno portando in Italia, scorporandone una parte, Him. If the Wizard is a Wizard you will see, per presentarlo al pubblico anche come spettacolo autonomo. E Him riesce pienamente a sostenere la scena, anzi, proprio la limpida essenzialità dell’idea drammaturgico-registica e la straordinaria bravura dell’attore ne fanno un piccolo capolavoro.
L’unico attore in scena, Marco Cavalcoli, si presenta vestito e con baffetti alla Hitler, si inginocchia davanti al pubblico, rievocando subito esplicitamente la nota scultura di Maurizio Cattelan che dà il nome anche allo spettacolo, “Him”: un piccolo Hitler in ginocchio, solitario, un simbolo del male genuflesso dall’arte davanti al Grande Mistero. Poi Him apre un microcomputer (sul quale scorrono le immagini del film sincronizzate alla proiezione, ma che lui non guarda quasi mai) che posa davanti a sé e impugna una bacchetta da direttore d’orchestra, mentre dietro le sue spalle si accende il grande schermo e appaiono le prime immagini del film Il Mago di Oz di Victor Fleming. Inizia lo spettacolo, l’attore-direttore si rivela in realtà un doppiatore perché il film è proiettato muto ed il pubblico sente soltanto la sua voce dal vivo, in lingua inglese come nell’originale, che dà vita sonora alle immagini.
Ma si tratta di un doppiatore particolare, di un doppiatore egocentrico, velleitario e tiranno che vuole l’impossibile: riprodurre da solo tutte le voci, i suoni, i rumori e le musiche del film. E questo produce un effetto straniante e sorprendente, lo spettatore è interdetto tra il guardare l’attore che con un’espressione esaltata, ipnotica, infantile e lievemente ironica tesse l’arazzo sonoro del film, senza quasi prendere fiato e con un ritmo incalzante “solfeggiato” dalla sua bacchetta-scettro; oppure guardare lo schermo, rivedere la mitica pellicola dell’immaginario infantile americano, con un occhio nuovo perché l’orecchio insegue i frammenti di dialogo, i rumori e le musiche simulate. Se l’occhio si sofferma troppo sullo schermo (e poco alla volta lo spettatore ne viene risucchiato), ci si dimentica l’artificio, la voce dell’attore diventa la vera colonna sonora del film, Cavalcoli è così bravo da caratterizzare perfettamente ogni personaggio, vento e galline compresi, senza alcuna esitazione, confusione o sbavatura, pare egli stesso un “omino di latta”, un computer. Se invece ci si ferma sull’attore la sua performance assume qualcosa di surreale, di sciamanico, come se egli fosse un medium grottesco che evoca mondi interi, affollati cantori dell’invisibile e dell’irrapresentabile. Se invece l’attenzione rimbalza continuamente tra lo schermo e l’attore, ne nasce un incrocio essenziale e minimalista ma straordinariamente efficace, nonché singolarmente originale, tra i due linguaggi, teatro e cinema. Fino a rovesciare anche il senso di entrambi i linguaggi, la serialità del cinema riscopre l’unicità irripetibile dell’evento, e il teatro evoca una deleuziana “ripetizione differente dell’uguale”. La meraviglia è che il mago-ciarlatano vince la sua missione impossibile di restituire la fitta complessità sonora di un kolossal semi-musical, il suo patetico e comico inseguire tutte le voci-suoni-rumori del film riesce comunque a creare una trama sonora che intrappola il pubblico, e trasforma con un incantesimo teatrale lo spettatore che ascolta in un ascoltatore che vede. Questa è la magia del tiranno – sembra dire il sottotesto dello spettacolo – la capacità di essere attore (non a caso Hitler aveva studiato recitazione, provava da attore i suoi discorsi e adorava i grandi attori), la capacità di mentire in modo così ostentato da apparire veri, la megalomania e il narcisismo che trasformano la scena in un unico grande specchio dove non l’attore-Narciso, ma il suo pubblico resta intrappolato e soggiogato.
La scelta della favola-film del Mago di Oz, non solo offre la sponda perfetta di questo disegno drammaturgico, ma identifica una mappa di temi e personaggi archetipici che fornisce la materia prima del grande progetto complessivo Oz di Fanny & Alexander, giacché oggi non nell’immaginario del mito ma nel mito dell’immaginario si ritrova la grande illusione di un riscatto del reale, luogo utopico (ma privato di ideologia) di sua ridefinizione o s-definizione, fanta-coscienza di un mondo in ombra che cerca luci artificiali e rischia di creare nuovi mostri travestiti da nuovi maghi.

       
       
Torna ad inizio pagina   Onnipotenza e illusione, se il Mago di Oz ha le sembianze di Hitler
      Rita Borga, Krapp's Last Post - Teatro tra le nuvole, www.klpteatro.it, 22 settembre 2008
       
     

Solitamente all’arrivo degli spettatori in sala, nonostante - come sempre più spesso accade - gli attori siano già in scena, imperversa un gran brusio: rumore di borse, cellulari che si spengono… Solo al calare delle luci arrivano il silenzio e l’attenzione. In questo caso, però, il vociferare svanisce rapidamente, non appena lo sguardo raggiunge l’altezza del palcoscenico.
Vestito e cravatta marroni, baffetti, capelli neri e lisci che cadono sulla fronte, in ginocchio, immobile al centro del palco, Marco Cavalcoli impersona Adolf Hitler, Him.

Difficile distogliere lo sguardo, la presenza è inquietante. Se la posizione in ginocchio da penitente riprende l’opera-scultura di Maurizio Cattelan, le mani, anziché essere giunte in un atto di preghiera, stringono una bacchetta da direttore d’orchestra. Sullo schermo alle sue spalle scorrono le immagini di The Wizard of OZ, ossia Il mago di Oz, nella versione di Fleming del 1939.
Il dittatore/direttore dirige il film, se stesso e le reazioni del pubblico. Il doppiaggio che ne segue è sorprendente, megalomane, e lascia senza fiato.
Him/Cavalcoli riproduce dal vivo, in perfetta sincronia, voci, suoni, rumori e canzoni. Riesce ad essere Dorothy, lo spaventapasseri, l’uomo di latta, il leone, il cane Toto, la strega buona e quella cattiva e ogni singolo personaggio della pellicola, caratterizzandolo, senza mai perdere il ritmo. Il tutto in lingua originale.
Da spettatore non si sa se guardare l’orchestratore o il film, a volte ti dimentichi di uno a volte dell’altro, ma quando riesci ad avere la visione completa, il virtuosismo che ne deriva è esilarante e spaventoso allo stesso tempo: una prova di onnipotenza che, fortunatamente, trova un suo “the end” nella conclusione del film.

Him è uno spettacolo che combina cinema e teatro, il bianco e nero della realtà con i colori vivaci della fantasia, in cui ognuno può trovare varie analogie tra il mago ciarlatano, ventriloquo, esperto d’illusioni della storia di Oz e il protagonista indiscusso della nostra storia, tra la prova d’attore di Cavalcoli e quel “talento naturale” che si attribuisce a Hitler.
Him è anche parte di un più grande progetto teatrale, ideato da Luigi de Angelis e Chiara Lagani, che verrà sviluppato fino al 2010 in sei spettacoli (Kansas, North, East, West, South, Emerald City) e un evento finale, Eye of the Cyclon, che racchiuderà domande e tematiche di tutto il progetto.
Il consiglio è di non perdere l’inizio di questo viaggio. Him non è uno spettacolo che sorprenderà dal punto di vista emozionale, ma è geniale per la semplicità della costruzione scenica, la pulizia, il rigore della recitazione, da cui traspaiono una grande disciplina ed un’altrettanto importante attenzione di Fanny & Alexander per la qualità offerta allo spettatore.

       
       
Torna ad inizio pagina   Il teatro spericolato di Fanny & Alexander
      Simona Spaventa, www.luxury24.ilsole24ore.com, 23 ottobre 2008
       
     

In Aqua Marina avevano nascosto le attrici dietro sipari mutevoli, di plastica o velluto rosso, che lasciavano solo intuire i corpi e i movimenti, costringendo lo spettatore alla parte del detective o dell'involontario voyeur. In Vaniada il pubblico entrava in una sorta di imbuto stretto e buio, dove lo avvolgevano voci, suoni, perfino odori. È un teatro spericolato, in equilibrio tra performance, videoarte e installazione, quello dei Fanny & Alexander, compagnia (ma loro, Chiara Lagani e Luigi de Angelis, preferiscono definirsi "bottega d'arte") di punta della nostra ricerca già dagli anni '90, raffinatissimi alchimisti che mescolano linguaggi e allusioni senza indulgere al compiacimento, ma con rigore e necessità. Per questo, è una bella occasione quella che offre il Teatro Out Off di Milano (dove, peraltro, non capita così di frequente di poterli vedere), che dal 21 al 26 ottobre ospita due delle ultime creazioni del gruppo emiliano, tappe di due progetti distinti, uno sul Mago di Oz, l'altro su Tommaso Landolfi. Lavori diversissimi, eppure vicini per forza visiva e per l'uso di immagini sconvolgenti che vengono direttamente della cronaca e dalla storia recenti. In Him c'è un Hitler in ginocchio (omaggio a Maurizio Cattelan) che si ostina a doppiare bulimicamente tutti i personaggi, e perfino i rumori, del Mago di Oz, il film di Fleming del '39 con Judy Garland, proiettato alle sue spalle. Una prova estrema e sfinente per l'attore, Marco Cavalcoli, un gioco ironico e stupefacente per il pubblico, messo di fronte a una vertigine a prima vista senza senso, che pone domande scomode sul ruolo dell'artista e sul rapporto tra arte e potere. L'altro spettacolo si intitola K313 come la sonata per flauto e orchestra di Mozart, che aleggia distorta dai registratori di un uomo e una donna. Elegantissimi (gli abiti sono della stilista Monica Bolzoni) e glaciali, si scambiano le parole di amore impossibile del Breve canzoniere di Tommaso Landolfi. Nel frattempo, ripresi in diretta da una videocamera a infrarossi, indossano accessori inquietanti: una scintillante borsetta-esplosivo, dei passamontagna. E allora capiamo: sono i terroristi ceceni che nel 2002 presero in ostaggio il pubblico del Teatro Dubrovka di Mosca. Un "recital letterario" disturbante, che non concede sconti allo spettatore.

       
       
Torna ad inizio pagina   HIM
      Tommaso Chimenti, www.scanner.it, 15 febbraio 2009
       
     

Ci sono i baffetti, la divisa militare, il buio della guerra. Chi è il lui del titolo è presto detto. Lui, quasi innominabile. Ma senza sorprese, si capisce subito, si svela immediatamente il mistero. Quel “Him” (al Teatro Studio di Scandicci 13, 14 febbraio 2009) non è solo Hitler, che in fondo è solo il prodotto di quella cosa strisciante, di quel desiderio comune di sicurezza, di quell’affidarsi, concedersi, darsi totalmente nelle mani di un giocoliere, un alchimista. Forse un mago, che riesca a mutare le situazioni a nostro vantaggio, un angelo, un baro. Non importa, in che modo, che la massa vuole risposte, non per forza quelle giuste. Che i dittatori, in definitiva, sono lontanissimi dall’incarnare la figura dell’uomo ideale che vorrebbero cercare modellando e setacciando la comunità. La storia non insegna e si ripete. Him è anche un’opera dell’artista Maurizio Cattelan. Come il “Mago di Oz” che scorre sul grande schermo (già analizzato da Fanny & Alexander in “Dorothy. Sconcerto per Oz”) fa il paio con le parole mute e senza volume che il piccolo dittatore, qui molto chapliniano, vorrebbe dire ma che proprio non escono. Non si fermano nel gozzo ma si annullano, con stupore e meraviglia e una certa dose d’orgoglio, nell’ascoltare quello che avrebbe voluto dire. E non è più necessario farlo, basta doppiarlo. E’ stupido il nuovo dittatore che fa il verso a quelli passati. Questo Him rientra nella serie tematica delle piece dei Fanny & Alexander che contiene anche “East” e “Kansas”. Il direttore d’orchestra è buffo e fallibile. Tenta di riprodurre tutte le voci della pellicola, di portarla a termine da solo, di avere tutti gli applausi per sé. In definitiva non a comandare gli altri, ma a cancellarli, che la scena deve essere soltanto sua. Sta in ginocchio ma non chiedere perdono, è esilarante e fallimentare, come qualsiasi sogno d’epurazione, è megalomane e quindi perdente, è infantile, è frustrato e finge con se stesso di essere il migliore. Ha una bacchetta d’orchestra, ma è piccolo e fragile. Ossimoro: come non volergli bene? Voto 8.

       
       
Torna ad inizio pagina   Emerald City + HIM
      Renato Palazzi, www.delteatro.it, 28 aprile 2010
       
     

Che l'itinerario di ricerca di Fanny & Alexander dentro i testi affrontati - un itinerario fatto di "studi" successivi, di schegge, di punti di vista diversi e a volte vertiginosamente opposti su una stessa opera - sia soprattutto uno straordinario esercizio di scomposizione e ricomposizione linguistica era già evidente dai tempi del ciclo su Ada di Nabokov: ma è interessante vedere come alla dimensione per così dire orizzontale di questo metodo di lavoro - per cui ogni "studio" è un'aggregazione dei suoi elementi formali - si possa aggiungere una dimensione verticale, che accostando due "studi" ne ricava ulteriori prospettive di lettura.

Rappresentando insieme, ad esempio, questo doppio approccio al Mago di Oz di L. Frank Baum, Emerald City e HIM, il gruppo punta simultaneamente su un fattore di continuità e uno di folgorante discontinuità, che si integrano e interagiscono tra loro: la continuità è suggerita dalla presenza di quell'Hitler "bambino" che - mutuato da una provocatoria installazione di Maurizio Cattelan - incombe come un onnipresente fantasma dell'inconscio sull'intero percorso nella celebre fiaba (portata sullo schermo, va ricordato, nel '39): è un mago-imbonitore, un emblema dell'arte come inganno, tenero e inquietante, ambiguo, buffo, minaccioso.

La discontinuità totale, assoluta risiede invece nel simmetrico rovesciamento delle funzioni che questa figura assume nelle due performance. Nella prima, immobile in ginocchio, si limita alla sfera ossessiva dell'ascolto: è il destinatario, l'inerme terminale di una miriade di richieste, di suppliche, di confessioni in varie lingue che lo spettatore sente in cuffia e che riguardano violenze di guerra, strani disturbi del corpo o della psiche ma soprattutto - come nel successivo South-North - spiazzanti contrapposizioni tra cuore e cervello, alterne invocazioni di disattivare ora l'uno ora l'altro, da lui accolte con muti sorrisi, pianti, sguardi esasperati.

Nella seconda, alla passiva ricezione si sostituisce un irrefrenabile flusso verbale: mentre alle sue spalle scorrono le immagini del film di Victor Fleming, dall'inizio alla fine, con incredibile estro mimetico l'attore Marco Cavalcoli lo "doppia" alla perfezione, intona le musiche, canta le canzoni, dà voce - in inglese - a tutti i personaggi, mutando inflessioni, toni, accenti. Un'insensata, maniacale prova di talento, ma più ancora un sottile gioco concettuale basato sui costanti scarti tra parola e silenzio, tra pensiero e sentimento, tra cinema e teatro, che sorprendono senza tregua lo spettatore senza mai condurlo davvero da nessuna parte.

C'è qualcosa di frustrante, e insieme di esemplare, in questo andamento aperto, fluido, spezzettato. L'aspetto più significativo di procedure del genere sta nel fatto che Fanny & Alexander, per certi versi, vi celebra l'affermarsi di una sua particolare categoria di pensiero frammentario, che si espande, avanza a tappe, per concatenazioni e illuminazioni improvvise, ma non intende arrivare a dei risultati definitivi. E frammentaria, forse, diventa anche la percezione dello spettatore, che a teatro tende così ad andare per cogliere suggestioni sparse, non per assistere a uno spettacolo compiuto, dotato in sé di un autonomo significato.

       
       
Torna ad inizio pagina   La realtà, l'illusione, l'inganno
      Francesca Brancaccio, www.persinsala.it, 4 maggio 2010
       
     

Un solo attore, due spettacoli: al Teatro i Fanny & Alexander danno tridimensionalità allla topografia della Città di Smeraldo, lasciando la parola al suo creatore, il Mago di Oz. Stupore ed emozione per l’ultima, magnifica creatura ispirata alla fiaba di Frank Baum.

Basterebbero poche righe per descrivere la serata, quello che si è visto, quello che si è sentito. Quello che succede sul palco nei due spettacoli che la compagnia Fanny & Alexander presenta al Teatro i potrebbe essere presto detto, le azioni, i contenuti, le idee, le innovazioni potrebbero essere ricordate e raccontate senza fatica e senza spreco di tempo. Ma per parlare delle emozioni che ogni spettatore ha provato, delle sensazioni particolari, dei significati e e dei pensieri, non si trovano le parole.

Il punto di partenza per entrambe le performance è la famosa fiaba di Frank Baum, Il Meraviglioso Mago di Oz, testo che la compagnia ha scelto come perno e fonte d’ispirazione negli ultimi anni, producendo così una decina di spettacoli aventi tutti Oz come filo conduttore. Ogni volta è un tema diverso a essere messo in scena, un diverso punto di vista o una diversa componente. In questo caso, è il centro stesso – sia topografico che tematico: la Città di Smeraldo e il suo fondatore, il Mago del titolo.

Tutti conoscono almeno i personaggi della storia. L’ingenua Dorothy, lo Spaventapasseri senza cervello, l’Uomo di Latta senza cuore e il Leone senza coraggio. Tutti sanno che gli eroi vanno dal Mago per chiedergli in dono ciò che ad ognuno di loro manca, che dopo estenuanti prove essi ottengono quello che volevano in formato placebo, e che questo basta per farli sentire forti, completi e felici; che alla fine della storia Dorothy riesce a tornare a casa e che, come in ogni libro per bambini, tutto finisce bene.

de Angelis immagina che tutta l’umanità si rechi dal Mago a chiedergli un dono; e lo spettatore sente (in cuffia, e quindi individualmente, in solitudine) le preghiere di questa moltitudine sofferente. C’è chi vorrebbe non sentire più il suo cuore, chi si accontenterebbe del coraggio di dire no, chi spera «in una perdita di controllo, una perdita di lucidità».

Ognuno ha un suo tono di voce, una sua lingua, una sua storia, un suo dramma. Il pubblico ascolta impotente il dolore del mondo, proprio come un Mago impostore può aver ascoltato le richieste di Dorothy e dei suoi compagni, ascolta le parole del desiderio ancestrale di trovare un mago, umano o divino, che si faccia portatore di tutti i problemi e le croci, un capro espiatorio con la bacchetta magica.

E mentre ascolta, mentre le esperienze di sofferenza si sommano e si accumulano nelle orecchie e nell’aria, sul palco, con gli occhi puntati verso la sala buia, un fragile Hitler inginocchiato mostra instancabilmente le reazioni che i racconti provocano sul suo viso. Attraverso la mimicry (o lingua non-verbale della mimica facciale) il suo volto diventa «riflesso condizionato di tutte le voci umane, miste eppur discrete», come si legge nel programma di sala.

Eppure, purtroppo, Emerald City, la Città di Smeraldo, la meta del pellegrinaggio, il santuario a cui si arriva sperando di esere assolti non è nient’altro che un miraggio, o peggio, un’impostura, un’illusione che il Mago stesso ha creato. Così, per entrare nella città, dobbiamo indossare degli occhiali 3D, proprio come nel libro di Baum gli occhi dei personaggi sono costretti a guardare attraverso delle lenti verde smeraldo.

Niente è come sembra, quindi; ma se si guarda con attenzione, si può scoprire con angoscia che dietro alla purezza, alla gioia, all’amore fraterno e alla serenità si nascondono i loro contrari. Ed è proprio per non provare questa angoscia, sembra voler dire il regista, per non veder cadere i bei muri dell’illusione, che a volte non si tolgono gli occhiali, non si aprono gli occhi.

Secondo spettacolo, seconda finzione. Per rappresentare il Mago, cioè colui che della finzione ha fatto la sua reggia e la sua stessa identità, Fanny & Alexander sceglie di utilizzare il film che ancora più del libro ha consacrato il Mago di Oz come storia nazionale americana: quello di Victor Fleming del 1939. Già finto proprio per sua natura, in quanto film; finto una seconda volta perchè a colori, in Technicolor (ai tempi in cui è stato girato, il colore identificava gli eventi fantastici, irreali), e una terza perchè i suoi personaggi invece che parlare si esprimono cantando, The Wizard of Oz (questo il titolo originale del film ) diventa emblema della finzione perchè associato al doppiaggio in diretta di un unico attore, lo stesso del primo spettacolo negli stessi panni, quelli di Hitler, quelli del Mago. Come un direttore d’orchestra, Marco Cavalcoli dirige ed interpreta le voci di tutti i personaggi e addirittura la colonna sonora, con una performance di incredibile bravura e fatica – l’attore, per tutto il tempo in cui il film scorre alle sue spalle, recita, in inglese, muovendo le braccia, in ginocchio.

Si prova ammirazione per la pellicola e per l’attore, ma soprattutto si ride, e poi si esce sorridenti, assuefatti dall’inganno.

Forse, tutto è proprio come sembra. Se solo aprissimo gli occhi.

       
       
Torna ad inizio pagina   Him e gli applausi
      Vincenzo Branà, L'Informazione, 28 luglio 2011
       
     

Hanno applaudito a lungo i bolognesi al termine di Him, lo spettacolo di Fanny & Alexander che martedì sera è andato in scena in piazza Maggiore. E se quella messa in campo da Comune e Cineteca, raccogliendo la bella proposta della curatrice Elena Di Gioia, era sulla carta una scommessa ardita, è un dovere dire, a posteriori, che la scommessa è stata vinta. «Piazza Maggiore è un luogo che riesce a ricostruire l’intimità di un teatro» aveva detto fiduciosa Elena Di Gioia alla vigilia dell’evento. E questo senz’altro è vero, e forse è stato perfino un elemento determinante per la conquista del risultato. Ma la perplessità risiedeva altrove: i Fanny & Alexander sono una compagnia “di ricerca”, tanto eccellente (Him è uno spettacolo visto in diverse città europee) quanto lontana dai tradizionali codici della narrazione. Il rischio insomma poteva essere quello che è uno spettacolo dal linguaggio troppo ostico fosse in definitiva inconciliabile con l’aspettativa di intrattenimento del bolognese che la sera, dopo il lavoro, si reca in piazza Maggiore. Ma già questa perplessità - che serpeggiava con un ghigno tra gli “addetti ai lavori” - soffriva a sua volta di un’aberrazione, dalla quale lo stesso direttore della Cineteca, Gian Luca Farinelli, metteva in guardia nel presentare l’evento: «Il Cinema sotto le stelle - diceva Farinelli - ha abituato il pubblico ad un’offerta di qualità. E ha dimostrato che la qualità paga». Farinelli ha senz’altro ragione: i gioielli del cinema muto accompagnati dal vivo dall’orchestra sinfonica o i grandi capolavori restaurati non sono certo didascalici o popolari. Ma il passato - specie se raccontato per capolavori - gode di un rispetto a priori nello spettatore, tutt’altro che
scontato quando in scena va il contemporaneo, o addirittura la “famigerata” avanguardia. La scommessa insomma stava tutta lì: come si reagirà al “nuovo”? Certo Him, nel suo articolarsi a cavallo tra cinema e teatro, attutiva la discontinuità dell’offerta. Ma non è alla pellicola che i bolognesi hanno gridato “bravo” una volta che lo spettacolo è finito. “Bravo” era Marco Cavalcoli, protagonista di una prova d’attore strabiliante, quasi sovrumana. “Bravo” era chi quell’idea l’aveva concepita e chi, incontrandola a teatro, l’aveva immaginata in grande, un giorno, in piazza Maggiore. E “bravo” era ovviamente chi quella visione l’aveva accolta e resa possibile. Regalando l’immagine di una piazza-teatro fitta e partecipe, primo segnale di sereno nell’orizzonte di un sistema teatrale punito da tanto disamore, del pubblico e della politica.

       
       
Torna ad inizio pagina   Valle Occupato, successo per "Him", tra Hitler e il Mago di Oz
      Francesca Santarelli, Nuovo Paese Sera, 19 settembre 2011
       
     

In scena Marco Cavalcoli, che ha realizzato un tableau-vivant dell'opera di Cattelan Him, un Adolf Hitler inginocchiato, alle cui spalle è stata proiettata la celebre versione cinematografica del 1939 di Victor Fleming del Mago di Oz di Frank Baum. La programmAzione del Valle continua oggi e domani con Buio in sala, due serate dedicate ai capolavori del cinema muto

"Non potete mica dormire qui per sempre", questo ha detto Marco Cavalcoli nel colloquio con gli spettatori che ha seguito lo spettacolo Him. Si rivolgeva agli occupanti del Valle, e non aveva certo l'intonazione che gli avrebbe dato l'assessore Gasperini: alludeva alla necessità che ha ogni attore di fare esperienze formative che gli restino dentro e gli forniscano benzina per la sua difficile carriera, oggi più che mai ostacolata dalla scure fiscale del Governo. Oltre al suo valore "politico", questo sarebbe il senso individuale che può fare da scintilla per le singole carriere artistiche.

Ma facciamo un passo indietro, al singolare spettacolo che ha entusiasmato il pubblico, come sempre numeroso. Cavalcoli si è presentato in scena realizzando un tableau-vivant dell'opera di Cattelan Him, un Adolf Hitler inginocchiato, alle cui spalle è stata proiettata la celebre versione cinematografica del 1939 di Victor Fleming del Mago di Oz di Frank Baum. All'inizio del film Cattelan/Hitler si è animato e ha effettuato un doppiaggio perfettamente sincrono, dando voce, canto e suono a ogni sequenza, guadagnandosi in alcuni momenti gli applausi a scena a aperta di un uditorio attento e divertito. Una performance vocale straordinaria, il cui senso apparentemente oscuro ha provato a spiegare Chiara Lagani, drammaturga della compagnia teatrale Fanny & Alexander dialogando a lungo con gli spettatori alla fine della proiezione: la rappresentazione è parte di una serie di spettacoli incentrati sul libro di Baum e che vedono nella protagonista Dorothy non tanto un personaggio messo in scena, quanto una metafora dello spettatore, vero protagonista del viaggio fantastico nel mondo della drammaturgia.
Ancora oltre è andato Cavalcoli, quando una spettatrice si è complimentata con lui per aver fatto dimenticare, perfino "sparire", con la sua interpretazione, l'icona orribile che stava incarnando, e che sul palcoscenico era sempre in primo piano rispetto alla pellicola. E' quello che accade nella nostra vita continuamente, le ha spiegato, quando tutti i messaggi dai quali siamo invasi e sommersi ci fanno dimenticare troppo spesso chi sia a inviarceli.

E per oggi e domani il Valle Occupato ha in programma Buio in sala, una due giorni di cinema per presentare i grandi capolavori del cinema muto e musica dal vivo, con alcuni tra i film fondatori della storia del cinema (come Viaggio nella Luna di Méliès e Assalto al treno di Porter). I grandi film del muto saranno presentati lunedì 19 e martedì 20 dalle 21, preceduti rispettivamente dalla "scoperta del cinema di Terrence Malick" grazie al "detective cinematografico" Mario Sesti e da proiezioni a sorpresa e un'assemblea aperta sul cinema indipendente in Italia (martedì alle 17).

       
       
       
     

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