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  Rassegna stampa - Spettacoli
       
      Ardis II
       
     

Rodolfo Sacchettini, Ada e Van, insetti incestuosi

       
       
    Ada e Van, insetti incestuosi
      Rodolfo Sacchettini, Lo Straniero, luglio 2004
       
     

Fanny & Alexander proseguono il loro ambizioso progetto su "Ada, cronaca familiare", lo sterminato romanzo di Vladimir Nabokov, con "Ardis II" che ha debuttato al Kunsten Festival des Arts di Bruxelles, confermando l'attuale situazione disastrosa di politica teatrale in Italia che costringe molti gruppi italiani (spesso i migliori) a cercare contatti all'estero per realizzare e far girare i propri spettacoli.

Con "Ardis II" siamo giunti alla quarta tappa di un esteso progetto che prevede sette "aperture", tra veri e propri spettacoli e performance-installazioni. Niente a che vedere però con una messa in scena del romanzo di Nabokov. Perché "Ada" non è solo un testo, ma appare, per il gruppo di Ravenna, come una delle più intime e ricorrenti ossessioni (e passioni), tanto che "Ardis Hall", la storica villa dove si ambienta l'amore tra i due protagonisti del romanzo, Ada e Van, è stato scelto come nome per la loro sede teatrale a Ravenna.

"Ada" va ad aggiungersi a quella fauna di creature che hanno attraversato e continuano ad attraversare l'immaginario del gruppo diretto da Luigi de Angelis e Chiara Lagani. Insieme alla carrolliana "Alice" e ai bergmaniani "Fanny e Alexander". Una sorta di macro-personaggi tra l'infanzia e l'adolescenza a contatto con l'eros e la morte, la pornografia e il gioco, il mostruoso e il favolistico. Presenze vive e durature, fili invisibili che in modo differente ritornano in tutti gli ultimi lavori, da "Requiem" (2001) ad "Alice vietato ai maggiori" (2003) e poi "Ardis I" (2003) e "Ardis II" (2004).

La storia narra di Ada e Van e il loro amore è come l'intrecciarsi di due rose rampicanti, prima o poi comparirà la spina. Ada e Van sono fratelli, Ada ha dodici anni e Van quattordici. Una passione infuocata li travolge, un amore molto fisico ed esclusivo, ma non per questo privo di tradimenti e gelosie. "Ardis II" recupera direttamente "Ardis I", mostrano entrambi più o meno la prima parte del romanzo e vederli uno dopo l'altro alle Cavallerizze di Torino in occasione del Festival delle Colline Torinesi è una buona occasione per intrecciare i lavori, confrontarli e poter osservarli come fossero un dittico. Come uno specchio, anzi, perché "Ardis II" appare quasi lo specchio di "Ardis I", ma uno specchio tinto di nero e tragicamente andato in frantumi.

"Ardis I" è una piccola stanza. Van è seduto su una seggiolina ad ascoltare e a osservare una parete immobile, la scena è raccolta, bidimensionale, le aperture sono come piccole ferite di un quadro, da dove compaiono parti del corpo, bocche e orecchie, lingue e occhi. Anche "Alice vietato ai maggiori" era una room ristretta, seppur raggelante e in bianco e nero. "Requiem" aveva uno sterminato muro rosso infernale che faceva sprofondare la storia in una dimensione, mitica e oltretombale. "Ardis II" in qualche modo diviene tridimensionale e il costo della tridimensionalità dello spazio sembra essere quella dell'intrusione di un vuoto opprimente. "Ardis II" ha la scena strutturata su tre centri composti da scatoloni impilati. Non vi è più un muro. È come se il muro fosse crollato. Le facce degli scatoloni sono dipinte e vanno a comporre nel vuoto una piccola scenografia artificiale. Così vediamo le scale, la porta, il lampadario, la vasca da bagno, ma anche parti del corpo: un orecchio, un occhio, l'ombelico.

Due video al centro (realizzati da A. Zapruder filmmakersgroup) mostrano dei rebus e dei palindromi (costruiti con la collaborazione di Stefano Bartezzaghi) che vengono piano piano risolti dalle voci degli attori, i quali lentamente - lettera dopo lettera - scandiscono parole e frasi. Sono immagini eccessive e dissonanti - quelle dei video - dove il gesto di una mano o la torsione di un busto viene accelerato e iterato a tal punto da acquisire un'energia meccanica e inquietante. Spesso i corpi sono nudi, pornografici, parziali e sempre algidi. Gli attori sono dentro gli scatoloni. È come se la stessa scena avesse inghiottito i personaggi. Una mano spunta dalla scatola, una gamba, un busto. Ancora una volta si mostrano solo delle parti di una unità frantumata, di un corpo sempre parziale. Gli scatoloni scivolano sulla moquette, compongono figure, accostandosi l'uno all'altro. Lo spazio, come un discorso, pare suddividersi in vere e proprie unità linguistiche, costretto quasi fisicamente a ricostruire un tessuto (o testo) andato in pezzi. Come lo spazio così anche il linguaggio appare destrutturato in lettere e sillabe, risolvere i rebus e i palindromi significa tentare di sciogliere l'enigma, instaurando davvero un linguaggio "altro" sulla scena, fatto di associazioni oniriche e intuitive. Ma qual è realmente l'enigma? Sciogliere i rebus forse non rivela nessun segreto. Ogni rebus risolto non rassicura né chiarisce un bel niente: "la vita davanti", "ingrata donna trapasserotti il cuore", "è vano ad amor ardente negarsi", "lucette intermittenti"... E allora l'inghiottirsi degli attori negli scatoloni, dello spazio nel vuoto, è anche lo sprofondare del linguaggio nel rebus e lo sciogliere l'enigma non porta a nessuna consolazione, piuttosto tende ancor più il linguaggio, disegnando crudeli e violenti perimetri di senso.

Per questo forse "Ardis II" appare davvero come un suicidio. Se la scena scomposta e destrutturata trascina ancora l'occhio nelle pieghe della storia, è il linguaggio a decretare un'evidente frana. Il rebus è un gioco di parole. Ma non ha niente del ludico e del divertente proprio del gioco, è invece terribilmente perverso, come l'amore incestuoso tra Ada e Van. I rebus e i palindromi iterati, illustrati, intuiti, definiscono il linguaggio della scena, rifuggendo da ogni tipo di possibile comunicazione. Il rebus è un nuovo linguaggio stravolto, che si appella a un'intelligenza mostruosa, associativa, pedante e incredibilmente intuitiva. Un'intelligenza a tratti autistica.

Se il circolare del linguaggio non agguanta nessun centro, sono gli occhi e lo sguardo a tracciare solchi violenti sulla scena, a disegnare linee curve di senso dove il soggetto e l'oggetto sfumano nella percezione perché riflessi e continuamente sdoppiati. "Ardis I e II" sono occhi da guardare e che guardano. Ed entrambi i lavori paiono esaurire in sé anche il guardarsi, possedendo lo sguardo riflessivo e autistico di Van che, come il pubblico, rimane seduto immobile a un lato della scena a osservare per tutto il tempo lo spettacolo.

In "Ardis I" alcune tapparelle si aprono, compaiono gli occhi degli attori che guardano il pubblico. "Ardis I" è una tappezzeria inquietante di occhi viventi. Ci sono particolari insetti che hanno un numero altissimo di occhi, ma alcuni di essi sono solo apparenti. La natura li ha creati per difesa, perché il possederne tanti è davvero un'arma e un numero sterminato di occhi che ti guardano è terribile. "Ardis I" è un insetto pieno di occhi, alcuni reali altri apparenti e insect è l'anagramma di incest (come appare su un video) e Ada ha una viscerale passione per le larve. "Ardis II" ha due grandi occhi dipinti sugli scatoloni, indossati da due attori. Compaiono sulla scena come due occhi viventi, due corpi con al posto della testa un occhio dipinto, enorme. Come in un film di fantascienza di serie B. Ma qui l'impatto è forte. Funziona. L'occhio è feroce e quando guarda ferisce.

In "Ardis II" sono gli occhi del pubblico a essere investiti per due volte da una luce accecante. Un flash ripetuto con ossessione, come i lampeggianti delle sirene di un'autombulanza. L'impatto è violentissimo ed è impossibile guardare, ma il divieto della luce abbagliante non fa altro che aumentare lo sforzo di tenere gli occhi aperti. Lo spettacolo a momenti non vuol farsi guardare e ricorda quel flash che concludeva la tappa romana della "Tragedia Endogonidia" della Societas Raffaello Sanzio, flash intercalato da una voce meccanica che ripeteva "non guardare". Che ricorda quel "non guardare" di "Vellutto blu" di David Lynch, urlato e ripetuto dal sadico alla compagna masochista in un film dove ancora una volta è l'occhio del giovane adolescente a disegnarne i contorni, tra visione e realtà.

Potremmo dire in conclusione che l'ultimo lavoro dei Fanny & Alexander è tanto feroce quanto angosciante. Un precipitare in una botola senza alcuna possibilità di riemergerne. Discendendo nelle contraddizioni e nelle mostruosità del linguaggio, il pubblico viene totalmente estromesso. Rimangono gli echi e i resti di una spirale ossessiva e autistica che spinge la propria ricerca al limite, allo stravolgimento. Il tema della morte e del terrore è certo ricorrente nel lavoro dei Fanny & Alexander, ma se in "Requiem" in fin dei conti la morte era nell'iper-barocchismo ancora generatrice di archetipi e di immagini, in "Ardis II" la morte declina su se stessa, non lascia nessuna speranza nell'ossessione del tema e nemmeno nei corpi, come amputati e di cui restano solo alcune parti. Ma se davvero di qualcosa in particolare la morte deve significare, allora, forse, "Ardis II" mostra la morte dell'intelligenza. È un'orazione funebre per un linguaggio privo di ogni sostanziale comunità generatrice, capace di esprimersi solo nella sua cripticità, nel codice segreto, duale ed esclusivo, che Ada e Van inventano per il loro rapporto epistolare e che i Fanny & Alexander intendono creare sulla scena.

       
       
     

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