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Salons è una rubrica
di commenti, interviste, immagini disparate su cui viene elaborata prosa.
Cronache di visite immaginarie, visioni, recensioni, stemmi, ninnoli,
celebri quadri, disegni, frammenti di templi et cetera.
Dal più straordinario conoscitore dei giochi della lingua
(Don Bendazzi), alle città del gioco di Paolo Petitto, autore del
delizioso "Città fantastiche" (2000) per i tipi della
Unicopli di Milano, al breve saggio di Sara Circassia, che si occupa di
iranistica, sul saggio del Prof. Panaino su una delle più antiche
fonti orientali del famosissimo gioco dell'oca. |
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DON
BENDAZZI di Franco Gàbici
A Ravenna, la sua città di adozione e dove ha vissuto praticamente
quasi tutta la sua secolare vita, don Anacleto Bendazzi è sempre
stato chiamato don Bendazzi. Anche quando lo promossero monsignore
lo chiamavano don Bendazzi, perché don Bendazzi era
don Bendazzi e basta. Io mi ci sono divertito parecchio su questo don
Bendazzi, un prete bizzarro che riusciva perfino a imbizzarrire
le idee degli altri tantè che ero partito con lidea
di scrivere un saggetto per una rivista (una decina di cartelle e non
di più) e alla fine mi sono trovato fra le mani, belle stampato,
un libro di quasi trecento pagine, che sarebbe stato sicuramente uno schifo
di libro se non avesse avuto la fortuna di una presentazione
di Stefano Bartezzaghi, grande enigmista e bendazziano di provata fede,
e un titolo capolavoro partorito dalla fertile mente di Franco Costantini,
che mi ha aiutato a curare le note relative ai Quaderni del
nostro don che chiudono il libro.
Don Bendazzi nasce a Fornace Zarattini il 25 gennaio 1883, una data che
di per sé non dice nulla ma che il don volle caricare
di significato affermando di essere nato un mese dopo il Bambino
(Gesù Bambino, per chi non lo avesse capito). E quel bambino
determinò veramente la sua vita, perché bambino
don Bendazzi lo fu sempre e quando era sulla soglia dei centanni
gli scappò di dire: Come è lontana la mia infanzia!.
Lui non lo ha mai scritto, ma il don nacque nello stesso anno
in cui usciva il Pinocchio, mentre lanno dopo sarebbe
uscito Peter Pan, il bambino che mai volle crescere. E il
nostro don fu un po Pinocchio e un po
Peter Pan, o forse non fu nessuno dei due. Diciamo allora
che fu don Bendazzi e basta. Però la dimensione del bambino,
che si è realizzata nel gioco linguistico, non lha mai abbandonata.
Don Bendazzi morì quando avevo trentanove anni e se dico questo
non è certo per la presunzione che il dato possa interessare i
lettori ma per dire che in trentanove anni avrei potuto avere moltissime
occasioni per incontrarlo e soprattutto per parlargli. Don Bendazzi, però,
incuteva timore e rispetto, girava quasi sempre solitario e sopportava
solamente la compagnia del suo compaesano don Terzo Benedetti, chiamato
Trapacì, che secondo alcune testimonianze di prima
mano pagava perché lo accompagnasse senza parlare. Evidentemente
don Bendazzi non si poteva definire un chiacchierone. Lho sempre
visto con il suo sguardo svagato, perfino quando sfilava nelle solenni
processioni, dondolante sulle sue scarpe di misura oltre la media. Per
questo non ho mai parlato con lui e credo che non mi sia mai nemmeno passato
per la testa di compiere una azione simile. Mi pareva quasi di profanare
una sacralità vivente. Però sapevo chi fosse, perché
il padre di un mio amico aveva in casa le sue Bizzarrie letterarie
e la volta che leggemmo qualche pagina ci vennero i crampi dal ridere.
Era proprio un don straordinario, che acchiappava la nostra
lingua e la stiracchiava da tutte le parti come se fosse di gomma, con
anagrammi e giochi che ti lasciavano veramente di stucco.
Don Bendazzi ha sempre giocato con le parole, con i numeri, con le situazioni,
con la vita. E se il cielo gli concesse di nascere in una data qualsiasi
(25 gennaio 1883), lui volle far conoscere a tutti la sua identità
enigmistica facendo uscire le sue Bizzarrie letterarie il
15 gennaio 1951 (toh, il 1951 è anche lanno delluscita
de Il giovane Holden), una data che scritta con le cifre suona
15.1.51 e che speciale non è affatto perché
se la leggete alla rovescia ve la trovate ancora fra i piedi. E in quel
libro vi inserì una vita di Cristo in mille anagrammi, un lavoro
che probabilmente convinse addirittura il Padreterno a prenderlo con sé
in un giorno particolare. Don Bendazzi, infatti, morì il 28 febbraio
1982, una data che si scrive 28.2.82 e che fa il paio con quella delluscita
delle sue Bizzarrie.
Don Bendazzi fu una figura ottocentesca che forse mai si inserì
nella sua realtà. Fu un prete tutto particolare, intelligentissimo
e geniale. Dalla battuta sempre pronta. Aveva sempre in tasca mozziconi
di matite e foglietti perché se unidea gli passava per la
testa, zac, la infilzava al volo e la appiccicava sulla carta. Ed era
felice quando lidea era geniale e allora lo si vedeva unir le mani
nel gesto di chi si autocomplimenta.
Mi verrebbe quasi voglia di dire che per raccontare la vita di don Bendazzi
bisognerebbe scrivere un libro, ma il libro lho già scritto,
nel 1996, una data che forse a don Bendazzi non sarebbe piaciuta perché
è una data senza anima enigmistica e invece eliminando le cifre
del millennio resta un 96 che potete capovolgere e trovarvelo
ancora fra le mani! Io non ci avevo proprio pensato e me ne sono accorto
solamente in questo istante. Don Bendazzi, probabilmente, si è
divertito a compiere un piccolo miracolo e allora non posso fare altro
che concludere che il don era veramente straordinario.
Don Bendazzi! Alla sua morte Giampaolo Dossena scrisse: Scompare
con lui il più strabiliante e sconosciuto maestro di giochi verbali
che abbia avuto lItalia nellultimo secolo mentre don
Francesco Fuschini lo immortalò così: A novantanove
anni suonati aveva gli estri dei sogni e la matematica dei calcolatori
elettronici. Pochi amici, anzi uno solo, don Terzo Benedetti: un prete
disinformato sui giochi verbali dove lAnacleto senza pari era un
mago. Lo visitava tutte le sere alla stessa ora. Attraversava la piazza
e nel bar puntavano lorologio
. Lorologio della
piazza, in certe sere di nebbiolina, sembra una luna piena caduta fra
le case. Batte le ore e nessuno al bar punta più lorologio
sui passi dondolanti del don. Il grande orologio batte le
ore, ma la Ravenna senza il don Bendazzi non è più quella
di prima. |
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L'INCUBO
DELLE CITTÀ DEL GIOCO
da Yul Brynner alle lucertole
di Paolo Petitto
Quando vidi per la prima volta Il Mondo dei Robot, un film implacabile
e terrorizzante diretto nei primi anni Settanta dal romanziere Michael
Crichton, mi chiesi se davvero il concepire una città come luogo
esclusivo dedicato al gioco e al piacere potesse fare a meno dellincubo.
E mi risposi che sì, poteva farne a meno. È vero che non
vè gioco o passatempo o utopia (vè differenza
a livello del pensiero?) che sfuggano al bisogno di simmetria e di regole
astratte, tanto da creare magari involontariamente, mi dicevo
degli inferni in cui chi era costretto a lavorare o a giocare era anche
costretto a subire i ritmi di un nuovo mondo più grande di lui,
che col tempo ha avuto bisogno delle macchine per mantenersi e propagarsi;
ma era altrettanto vero, per un adolescente qual ero, che unire due archetipi
apparentemente opposti quali la città, luogo dellordine e
del lavoro, e il gioco, atto della spontaneità e della creatività,
dava modo di inventare un ordine spontaneo, un lavoro creativo. Un esempio
per tutti: il kibbutz. Erano gli anni Settanta, dicevo.
Col tempo mi sono accorto che non è così: ogni città
progettata come luogo del gioco diventa inevitabilmente un universo artificioso,
in cui le regole possono e anzi devono essere violate allo stesso modo
delle leggi della città. Le macchine si ribellano alluomo
e inventano giochi crudeli che luomo non aveva sospettato e di cui
sùbito egli si approfitta per altri fini.
Ma mi si obietterà a Disneyland o a Mirabilandia
non impazzisce nessun robot con le sembianze di Yul Brynner. Grandi e
piccini colgono loccasione di scandire qualche ora in totale relax,
e nientaltro. Eppure il Paese dei Balocchi contamina tutti gli altri
paesi, nel senso che circoscrivere il divertimento entro confini determinati,
far sorgere cioè piccole o grandi Las Vegas nel deserto, non può
non avere conseguenze sul resto del mondo, che da allora in avanti pare
abbia invece in sorte la routine, il lavoro, il dolore. Al nostro corpo
se dobbiamo credere a Marcuse era successa una cosa simile
allorquando, con lavvento della rivoluzione industriale e il sistematico
sfruttamento delluomo sulluomo, da zona erogena integrale
era stato separato nelle funzioni del piacere e del dovere. Si riuscì
ad acuire il piacere limitandolo per così dire geograficamente,
negli organi sessuali, e si riuscì a limitare il piacere acuendolo.
Non credo che gli integralisti islamici volessero colpire Las Vegas per
via di tali speculazioni etico-estetiche; tuttavia credo che anche in
essi sia presente una sia pur minima consapevolezza dellillusorietà
di ogni città basata sul gioco e sul piacere fini a se stessi.
Andate in quei luoghi, provate; e ritornerete a casa con la vaga sensazione
di essere usciti, se non da un incubo, da un sogno inconsistente e non
meno crudele, come quando si scopre con rammarico che il bambino con cui
avete giocato ha a sua volta straziato per gioco la sua amata lucertola.
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LA
NOVELLA DEGLI SCACCHI E DELLA TAVOLA REALE
di Sara Circassia
Affrontando il tema dei giochi, mi è sembrato opportuno trattare
di un testo edito nel 1999 a cura delliranista Antonio Panaino intitolato
La novella degli scacchi e della tavola reale, unantica fonte
orientale sui due giochi da tavola più diffusi nel mondo euroasiatico
tra Tardoantico e Medioevo e sulla loro simbologia militare e astrologica.
Il libro offre una nuova edizione critica del testo Pahlavi del Wizarisn
i catrang ud nihisn i new-ardaxsir La spiegazione degli scacchi
e la disposizione del backgammon. Si tratta di un testo fondamentale
per la storia di questi due giochi nellantichità, specialmente
per quanto concerne gli scacchi, che vengono per la prima volta descritti
in modo sistematico. Le parti principali del WCN risalgono al periodo
tardo-sasanide (VII sec.) e lo si comprende non solo dal fatto che la
lingua risulta relativamente corretta ma anche, anzi soprattutto, per
il valore letterario che il testo riveste. Infatti, la breve vicenda raccontata
nel libro il confronto tra due re, liranico Xusraw anosag-ruwan
e il fittizio re indiano Dewisarm, esplicato attraverso labilità
nel gioco dei loro due migliori campioni, Wuzurgmihr e Tataritos
sviluppa un tema epico, già attestato in molte letterature, basato
fermamente su presupposti ideologici: la superiorità morale, culturale
e militare iranica. Il saggio e semi-leggendario Wuzurgmihr infatti mostra
la sua innata sapienza giocando al catrang, gli scacchi indiani
(caturanga), sconfigge per la
prima volta il suo avversario indiano Tataritos e si suppone anche che
inventi il backgammon (new-ardaxsir), che era invece già
conosciuto in occidente sotto il nome di ludus duodecim scriptorium,
alea, tabula, table. Lideologia imperialista
sasanide è chiaramente rappresentata in una favola allapparenza
innocente: la decisa superiorità della sapienza sasanide, trionfante
sulle terre adiacenti, e capace di assorbire vari generi di prestiti culturali,
come accade per i giochi stranieri che a loro volta, come nel nostro caso,
vengono iranizzati. Il libro presupponeva un pubblico diverso dagli zoroastriani
di epoca islamica, ma composto piuttosto da giovani nobili di epoca sasanide,
fieri del proprio status ed educazione; elementi religiosi sono presenti
nel testo, ma non sono al suo centro, segnato invece dal valore metaforico
degli scacchi (intesi come intelligenza razionale e militare) e del backgammon
(il destino), come se si trattasse di una sorta di paideia
per giovani nel pieno vigore, tema che diverrà un topos letterario
arabo e medievale.
Il libro di A. Panaino analizza i problemi della datazione dellopera,
il background storico sotteso alla leggenda, ovvero le relazioni politiche
e culturali indo-sasanidi, e soprattutto si sofferma sui protagonisti
del testo: il re indiano Dewisarm, Tataritos e il saggio Wuzurgmihr. Difficile
è lidentificazione di questultimo. Egli infatti non
può essere associato al famoso Burzoy, il medico di Xusraw I che
tradusse il Pañcatantra e altre favole sanscrite nel Kalilah wa
Dimnah e vi sono argomenti anche contro lidentificazione di Wuzurgmihr
con lastrologo omonimo che tradusse le Antologia di Vetio Valente
in Pahlavi.
Un breve capitolo è dedicato al confronto letterario della struttura
narrativa del WCN con le versioni tràdite dallo scrittore
persiano Ferdowsi e dallo storico arabo Thaalibi e spiccano alcuni
elementi presenti nella versione originale pahlavi e trascurati nelle
altre.
Due capitoli più lunghi affrontano il problema dellorigine
e dello sviluppo degli scacchi e del backgammon; giochi come il polo (caw[la]gan)
e i giochi da tavolo (catrang, new-ardaxsir, hastpay) erano molto
importanti nella vita quotidiana della corte sasanide, come è documentato
da molte fonti. Gli scacchi sasanidi si basavano fortemente su un modello
indiano, per cui lantica divisione quadripartita degli eserciti
(hasty-asva-ratha-padatam, elefanti, cavalli, carri e fanti),
non più usata a quel tempo, influenzò larrangiamento
di questo gioco di guerra. Se siano venuti prima gli scacchi
tradizionali con solo due giocatori o gli scacchi a quattro mani (giocati
con i dadi) è un tema brevemente discusso con una cauta preferenza
per la prima soluzione. Lautore offre poi un sommario di alcuni
problemi generali riguardanti in particolare i proto-scacchi (con riferimento
anche alle scoperte archeologiche di Nisapur, Afrasiab, Dalverzine-tepe
e alle rappresentazioni artistiche di giochi da tavolo trovate in India
e in Asia centrale) e la loro supposta, ma improbabile, origine greca,
indiana o cinese. Sfortunatamente il paragrafo 10 del testo, dove si descrivono
i pezzi del gioco, presenta non pochi problemi filologici; infatti soltanto
quattro pezzi sono descritti con chiarezza: il re (sah), lelefante
(pil), il cavallo (asp) e il fante (payadag); diversamente,
i due restanti pezzi strategici, quelli che diverranno la torre e la regina
erano rispettivamente: il madaya ministro, associato
con il termine rox parte, lato, fianco, e il frazen
guardia, protettore, generale. Se questa soluzione è
corretta, allora gli scacchi sasanidi (o, per meglio dire, quella varietà
descritta nel WCN che non necessariamente doveva essere lo standard
assoluto) mostrano la presenza di un generale in capo vicino
al re.
Lautore si sofferma anche a considerare il colore (rubino rosso
e verde smeraldo) delle pedine degli scacchi e il loro valore simbolico.
Lultimo capitolo si occupa del new-ardaxsir, la variante
sasanide del backgammon; sono analizzate le varie forme in cui si presenta
questo gioco da tavolo, in particolare le fonti greche, come lAntologia
Palatina, IX, 428, dove un epigramma di Agazia Scolastico (528-580
ca.) descrive un gioco praticato dallimperatore Zenone dal quale
si possono ricavare anche alcune regole. Lipotesi che la descrizione
simbolica del backgammon (attestata nel WCN) si basasse su un modello
greco, è fortemente
supportata dalle fonti greche più tarde come Kedrenos, Isacco Porfirogenito
e Suda. Da ultimo è analizzato il simbolismo astrologico e deterministico
del backgammon, seguendone gli sviluppi arabi e medievali nella cosiddetta
tradizione degli scacchi astrologici. |