Novissima
       
     

Rubrica sulle cose future, o sulle ultime; calendario e notizie sui nuovi progetti del gruppo.

In questo numero la presentazione del libro "Ravenna viso-in-aria" di recentissima uscita.

       
   

Guardare l’aria

di Marco Cavalcoli

Quando Enrico Fedrigoli e Luigi de Angelis hanno scattato la prima foto c’ero anch’io. Posso dunque testimoniare. Luigi aveva portato Enrico al Cimitero Monumentale, uno strano posto notturno, lambito dal canale del porto, circondato dalle cisterne e dalle ciminiere delle industrie. Luogo di scorribande notturne da adolescenti, saltare il muro di cinta è facilissimo, basta non impressionarsi poi tra i riflessi delle lapidi quando stride un cancello di ferro o si sentono battere i passi di una presenza invisibile. È un gatto, è il vento… I riflessi ci sono anche senza la luna, la notte è dei colori arancioni e violetti delle lampade e dei fumi delle industrie.
Insomma, Luigi ha deciso di far cominciare Enrico da lì. Aveva in mente uno spettacolo, un evento da costruire intorno alla musica, e si sarebbe fatto al Cimitero. Requiem era ancora un’idea lontana, ma qualunque cosa sarebbe stata, l’avremmo fatta tra quei mattoni rossi ottocenteschi, sporcati dalle increspature di luce delle onde nere e da quel rumore di gas.
È l’autunno 1999. Un secolo fa. Enrico Fedrigoli lo abbiamo già conosciuto ad Interzona di Verona, complice Egizia Franceschini, e poi ha fotografato Sinfonia Majakovskiana due anni prima, chiamato dal Teatrino Clandestino. Ma è solo da una manciata di settimane che ha fatto le prime fotografie per Fanny & Alexander, durante Prototipo, il muro di Piramo Tisbe Romeo Giulietta ridotto in macerie dietro metalli sfolgoranti, nere figure, gatti fantasma. Probabilmente non si immagina a cosa sta dando inizio con quel primo scatto sul canale, ma è un orsaccio sensibile, l’incantesimo deve averlo sentito subito.
A proposito di Ottocento, la macchina fotografica è di quelle che si vedono nelle immagini d’epoca: il treppiede, la scatola con il soffietto, la pompetta per lo scatto, le lastre. Il banco ottico. Si usa per lo still life, o per le foto di architettura, Enrico lo usa per dipingere con la luce. Nell’immensità di uno schermo cinematografico, quanti particolari, quante immagini si leggono in un singolo fotogramma, spalmate su metri e metri di tela bianca. La pellicola del cinema è grande 35 millimetri, i sistemi più dettagliati arrivano a 70 millimetri; le lastre del banco ottico sono 100 per 120 millimetri. L’emozione più grande è guardarle con la lente di ingrandimento, sembra di poter sprofondare nella figura all’infinito, un particolare dentro l’altro.
Quella sera Enrico fa guardare anche me dentro l’obiettivo, prima di scattare. Ritiro l’occhio vagamente perplesso: non si vede niente. Un vasto campo nero quadrettato con oscure macchie di colore. Ho imparato poi che ci vuole la sensibilità di un Euclide artista per vedere a colpo d’occhio l’invisibile, tracciare percorsi geometrici, accavallare e districare proporzioni e tempi di esposizione. La luce di notte entra un po’ per volta, a gruppi di pigri fotoni, talvolta lo scatto dura quaranta minuti, a volte un’ora e mezza. Intanto si sta in silenzio, si guarda, si chiacchiera, ci si fa mangiare vivi dalle zanzare, o si battono i denti nella jeep mentre fuori infuria la neve. Perché quella sera d’autunno era dolce e ventilata, ma nei tre anni e mezzo che sono seguiti Giove Pluvio è stato implacabile.

   

Dunque quella sera Enrico e Luigi piazzarono il cavalletto a lato del muro di cinta, quasi sul canale. Enrico armeggiò vertiginosamente con gli assi e le parallassi, per mettere al posto giusto un pino, per disegnare le linee, e quando la geometria fu mossa a suo piacimento fotografò il signore arancione in mattoni e volute depositato sul Candiano dal 1817 o giù di lì. Poi voltò la macchina di 180 gradi, la affacciò sulle cisterne e le ciminiere dirimpetto, e dopo altre sapienti mosse scattò di nuovo. Un’immagine bifronte, a suggellare la nascita di un paesaggio urbano paradossale, da estrarre negli anni come da una miniera, nella maniera in cui chiedeva di essere guardato.
Prende forma col tempo un mosaico di visioni e corpi notturni, metallici, liquidi, sospesi tra il giorno e la notte nel bianco e nero di antiche vestigia, nel colore sfavillante o rugginoso della città industriale, nei deserti d’acqua delle valli, nelle visioni teatrali esplose e inondate da cascate di luce. L’immagine della città viene ridipinta con mano felice, e parla di sé con una lingua dell’anima che la fotografa nella sua crudeltà magica.
È Ravenna che si affaccia nei suoi cento volti, sospesa a mezz’aria, Ravenna viso-in-aria, come la battezza Marco Martinelli. Vi posano sopra lo sguardo, sedotti e convinti, il Comune di Ravenna, Ravenna Festival, l’Editore Longo. Un progetto di Luigi de Angelis, Marco Martinelli e Ermanna Montanari trasforma il mosaico in una mostra ospitata da Ravenna Festival, e in un libro, pubblicato da Longo.

Ecco, volevo dire solo questo: esiste questo libro, Ravenna viso-in-aria, che dalle librerie guarda curioso avanti a sé con le facce dei cinque artigiani del Sogno di una notte di mezza estate (ndr. lo spettacolo del Teatro delle Albe). Benvenuto alla luce.

 

    RAVENNA VISO-IN-ARIA
Fotografie di Enrico Fedrigoli
A cura di Luigi de Angelis e Marco Martinelli
Testi di Marco Martinelli, Claudio Spadoni, Cristina Ventrucci, Luigi de Angelis
Conversazioni con Cristina Mazzavillani Muti e Enrico Fedrigoli
Longo Editore Ravenna 2003
Euro 24.00 ISBN 88-8063-390-2
Presentazione pubblica martedì 18 novembre
alla Sala Melandri di Ravenna in via Paolo Costa.
     
       
     

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